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07 marzo 2025

Viaggio nel Sahara, l'abbraccio infinito. Ricordando Francesca.

 Viaggio nel Sahara, l'abbraccio infinito. Ricordando Francesca.

 



Dopo essere arrivati ad Algeri facciamo un breve giro della città, un ottima cena in un locale tipico e, a sera inoltrata, si riparte con destinazione Djanet. Qui, ad attenderci i  Tuareg, "I Signori del deserto, i figli del cielo": Djaba, Bachir, Azum, Kalia e Idda, che da quel momento saranno le nostre guide, i nostri cuochi, i nostri musicisti, i nostri amici per tutta la durata del viaggio.
  


Un ricordo particolare che ho di quella notte e di questo incontro è la straordinaria accoglienza e il sentirmi al sicuro, il potermi fidare, come ci si fida delle persone conosciute, anche se solo attraverso i loro occhi, l'unica parte del viso scoperta.
 
 

Dopo qualche ora di riposo in hotel, una doccia e la colazione, si va alla scoperta di questa oasi, Djanet, la perla del Tassili, a 1000 metri di altitudine, caratterizzata da basse case di fango e da palmeti.
 


 

Un breve passaggio al mercato tipico, giusto il tempo di acquistare un colorato tagemust (una fascia di cotone lunga dai 3 ai 5 metri da avvolgere sul capo in modo da formare un turbante e un velo).
 


Le jeep 4x4 ci attendono, cariche di bagagli, vettovaglie, cibo, acqua, coperte, tende, tappeti, stuoie e tutto ciò che servirà per i prossimi giorni.
Ci lasciamo
Djanet alle spalle, direzione sud est, seguendo il corso dell'Oued Amais, percorrendo una hammada (area rocciosa) attraversiamo il Tassili N'Ajjer (altopiano montuoso presso il confine con la Libia ) e vari guadi fino a raggiungere la grande zona fluviale del Berjen.
 


Tra cespugli di tamerici l'Oued Tabaraket: terrazze fluviali da cui sporgono insolite rocce che sembrano figure umane, cattedrali di pietra, profili di enormi animali, sassi parlanti, minuscoli frammenti di rocce che parlano di un tempo che è stato e un susseguirsi di ampie distese di sabbia e dolci dune dorate.
 


Percorriamo ancora l'Oued Berjen, in un susseguirsi di piante e arbusti di vario tipo, con i grandi rovi fioriti di zilla spinosa, con i colori che vanno dal bianco al viola intenso (un evento raro con questa intensità e vastità) e poi enormi giacinti gialli, (cistanche tubulosa) fino all'oued Udad, dove si può ammirare una bella guelta incastonata tra le rocce e importanti pitture e graffiti.        



Lasciato il Berjen, una traversata avventurosa tra le dune ci conduce a Tibenkar dove lo sguardo si perde tra gli Erg di dune fino al Messak Mellet, una zona ricca di affascinanti paleosuoli e di arte rupestre neolitica.
Arriviamo alla zona di Tiknewen, le sorelle! Due rilievi identici che spuntano in lontananza dalla sabbia dorata, e poi ancora anfiteatri di dune circondate da rocce appuntite.

 


Il nostro viaggio continua fra dune che colorano di oro, che si alternano a paesaggi rocciosi  dove i colori, le forme, le ombre, gli imponenti torrioni arenarici ci offrono uno spettacolo, il più bello di tutto il Sahara.


"Quando il sole cala è il momento di salire su una duna e sedersi sulla cima.

Davanti agli occhi appare uno scenario unico e straordinario che si estende all'infinito, IL SILENZIO è interrotto solo dal rumore del vento." 

               


L'arrivo a Mulenagha nel Tadrart-Acasus  è una emozione che non si riesce a descrivere: quello che appare è incredibile, un paesaggio di una bellezza lunare.



La sabbia diventa sempre piu' rosa, fino all'esplosione del rosso delle grandi dune di Tin Merzouga, dove giungiamo in serata per goderci un tramonto indimenticabile: il SILENZIO si impadronisce del deserto, sorvegliato dalla cupola di stelle e dalla scia luminosa della via Lattea.

 


 

Tutto appare nuovo, diverso, profondo, è un attimo perdersi! (Per questo ognuno di noi ha con sé un fischietto).
Accanto al fuoco, nelle mani di Bachir, contempliamo il rito della preparazione del the, in attesa di assaporarlo; le note della chitarra di Idda ci coinvolgono in una canzone che parla del mula mula (uccellino del Sahara).

 



La prima sera nel Sahara: i Tuareg organizzano il campo e accendono il fuoco, Kalia, il cuoco, prepara la cena a base di zuppa di verdure e pane, cotto nella cenere sotto la sabbia, deliziandoci anche con le sue frittelle di mele.   
Noi ne approfittiamo per sgranchirci un po', esplorando la zona circostante, curiosi di trovare il nostro spazio, pensando ad eventuali bisogni fisiologici.
 


Personalmente vengo improvvisamente colta da una sorta di "panico", un misto di paura, sorpresa, emozione pura, libertà; c'è un silenzio a cui non sono allenata, sento il mio battito che accellera, sto piangendo, respiro profondamente una, due, tre volte, cerco di tranquillizzarmi... Nicola poi mi prende per mano e mi dice che è il SAHARA.


 

"Il deserto è il luogo centrale dell'angoscia, del desiderio e della vertigine".

(RACHID BOUJEDRA, scrittore algerino)


                                    
Ritornando indietro, verso nord, si giunge nella zona di Bohedienne, con dune rosse, ocra e nere, dove visitiamo  un sito del periodo bovidiano, caratterizzato da eleganti bassorilievi.
 


Tra gole profonde, muraglie di roccia, suggestive figure di pietra scolpite dal vento e dalla sabbia, le alte pareti arenariche dell'Oued costituiscono una delle gallerie a cielo aperto di arte rupestre del Sahara, Patrimonio Unesco dal 1985 (la famosa giraffa accucciata, scene di vita pastorale, buoi bicromi, immagini di caccia, bovidi, elefanti, uomini e donne).
 


Attraversando la pista che conduce in Libia si arriva all'Oued Teini, ricco di cespugli di piante profumate, da dove si può ammirare il profilo della falesia del Tassili.

 


Riprendendo la pista per Djanet arriviamo a Terarat, dove, alla base di un faraglione roccioso, ammiriamo un vero capolavoro risalente a 7000 anni fa: La vacca che piange.

 


Il viaggio sta per terminare ma ancora le meraviglie non sono finite, dune multicolori, tombe solari, pietre, grandi faraglioni che spuntano fra le onde di un mare di sabbia.

Mentre rientriamo a 
Djanet, dove trascorreremo l'ultima notte, una sorta di nostalgia inonda i miei pensieri.
Penso a questi giorni trascorsi, insieme agli amici, ai Tuareg, insieme a mia figlia, in mezzo a tanta sorprendente ed inusuale bellezza. 

 


 

Un viaggio dentro me stessa, con una miriade di sfumature, capace di esplorare e smuovere macigni emozionali: acqua e fuoco, terra, aria e vento, orme, storie senza confini nel silenzio assoluto dell'Universo.   
 

"Mi è sempre piaciuto il deserto, ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualcosa risplende nel silenzio".
                                             (Antoine de Saint-Exupéry)



 

Lunedì sera  6 marzo 2017.
Così scrive Francesca sulla sua pagina FB:

Appena rientrati nella realtà!
Ho lasciato un pezzo del mio cuore nel SAHARA.
Un viaggio indimenticabile...Grazie Laura, Paolo, Tiziana, Milly, Nicola, Djaba, Kalia, Idda, Bachir e Azum.

E' stata l'ultima volta che ho abbracciato Francesca.
L'anno successivo, Paolo, Milly e Nicola, ritornati nel Sahara, l'hanno ricordata, insieme ai Tuareg, su quelle dune.
Il suo copricapo rosso rubino è là, sepolto sotto la sabbia che i suoi piedi leggeri e graziosi hanno calpestato.    

 


Quando ripenso a questo viaggio, sicuramente il più emozionante che io abbia fatto, e non potrebbe essere diversamente, sono consapevole di aver avuto il dono di trascorrere questi giorni con  Francesca.
Condividere con lei lo stupore grande, in uno spazio che è difficile raccontare se non ci sei stato, salire sulla cima di una duna, coricarsi fianco a fianco, senza dire parole, oppure come in un gioco rotolare giù, ridere, cantare, ballare, piangere all'improvviso, è stato un grande dono!
 


Nel deserto occorre entrare in punta di piedi per non rompere il silenzio che lo caratterizza. Quante volte diciamo che anche il silenzio è comunicazione!
Lo spazio che non ha fine, la sabbia con i suoi colori, la luce con i suoi chiaroscuri, il contrasto tra il giorno e la notte, alcune dune sono così affilate da tagliare l'ombra, la storia scritta sulla pietra stratificata nei millenni, il cielo che ti sembra di toccarlo, le note che porta il vento, e poi ancora il deserto in fiore e il prendersi cura prudente e gentile dei Tuareg.
 


In alcuni momenti la stanchezza si è fatta sentire, ma era tutto così nuovo, come un richiamo continuo a lasciarmi andare, a rimanere in ascolto delle mie sensazioni, a respirarle profondamente, accorta per non perdere nulla di questi momenti, consapevole che tutto questo era vero, ero io, lì, la mia anima  nel Sahara, con mia figlia.
 

A volte mi dico che ci vorrei tornare... 

 

Laura Passerini 

 


 











06 marzo 2025

Eleonora Giorgi, l'antidiva che piaceva a tutti.

Eleonora Giorgi,

l'antidiva che piaceva a tutti.

 


 Eleonora Giorgi ha rappresentato un'epoca, un certo filone cinematografico della nostra Italia post Anna Magnani, Sofia Loren e altri grandi di quel periodo appena precedente al suo.

Erano anni in cui Cinecittà stava bene, decenni in cui il cinema italiano ha sfornato capolavori che rimarranno nella storia, uno dietro l'altro. Non facciamo un excursus della carriera di Eleonora, che bene o male tutti conoscono, diciamo solo che non fu la classica bella ragazza che sognava di diventare attrice, lei voleva diventare una restauratrice. Casualmente viene notata da un noto produttore del tempo che nel suo viso vede qualcosa di speciale. E come dargli torto, non era solo bella, aveva il dono di rappresentare molte delle angosce comuni, che accompagnano la vita di tutti, con ingenuità, leggerezza, dolcezza, spesso in maniera scanzonata.

 


Per questo fu spesso ritenuta la classica attrice da commedia di intrattenimento ma forse molti non sanno che fu sceneggiatrice, produttrice, regista.

 


Era una donna intelligente, semplice, che non ha fatto della sua bellezza un bene di consumo, e che ha affrontato con estrema dignità anche il momento finale, assai impegnativo, del suo cammino.

 


Officina Coolturale vuole ricordarla mentre entra alla storica Capannina in Sapore di Mare con il cagnolino in braccio o quando delusa dalla vita e dall'amore si mangia una pizza fredda, seduta in terra col suo abito da sera, insieme a un ragazzo molto più giovane di lei, o quando, nelle vesti di una strega, seduce il classico tontolone.

 


Filmetti, diremmo oggi, che erano però lo specchio di ciò che eravamo, di ciò che sognavamo, delle sfighe di cui eravamo vittime quotidianamente, film che che ci hanno raccontato verità spesso scomode facendoci sorridere.

Giovanna Anversa

 

 


 

Eleonora Giorgi e gli intrecci con il mondo della musica


 Nel suo percorso professionale l’attrice ha incontrato diverse volte il mondo della musica incidendo qualche canzone. Nel 1980 il brano Magic, scritto da Detto Mariano, per la colonna sonora del film Mia moglie è una strega. Il brano, pur rimanendo inedito su disco, è diventato un piccolo cult tra gli appassionati di cinema e musica.
 


Nel 1981 ha pubblicato il primo e unico 45 giri della sua carriera con i brani Quale appuntamento e Messaggio personale, scritti da Cristiano Malgioglio, Pino Presti e Corrado Castellari.
 


Importantissimo anche il sodalizio con Carlo Verdone, che la dirige nel 1982 in Borotalco, il film che le vale il David di Donatello come Miglior Attrice Protagonista. Proprio in quel film, il legame con la musica si rafforza: la pellicola è permeata dalla presenza delle canzoni di Lucio Dalla, con la protagonista interpretata da Eleonora che è una grandissima fan del cantautore e cerca in tutti i modi di incontrare il suo idolo musicale.
 


La colonna sonora include brani iconici come Grande figlio di puttana degli Stadio, scritta da Lucio Dalla, Gaetano Curreri e Giovanni Pezzoli, che vince il David di Donatello e il Nastro d’Argento per la miglior colonna sonora originale.

Stefano Superchi

 



05 marzo 2025

Così eravamo. Guccini cantautore e scrittore.

 Così eravamo.

Guccini cantautore e scrittore.





Una raccolta di racconti, tra ironia e nostalgia che imprigionano, attraverso piccoli momenti di vita, i cambiamenti di un'epoca ormai lontana.

 


Guccini racconta cinque episodi che vanno dall'infanzia alla giovinezza, ognuno legato a esperienze personali e collettive. Si parte da un bambino che perde un compagno di scuola, per arrivare a un gruppo di giovani alle prese con un lavoro difficile, scherzi crudeli e sfide sociali. Ogni storia si intreccia con il cambiamento della società, dalla nascita della televisione alle trasformazioni delle città.

Quando si pensa a Francesco Guccini viene naturale associarlo subito alla sua musica e all’impronta permanente che ha lasciato nella storia della musica italiana. Eppure, da anni, il Maestrone è anche un apprezzato scrittore, con il suo stile unico e riconoscibile. La sua ultima opera, “Così eravamo”, è una raccolta di cinque racconti che apre una finestra sul passato, su un mondo spazzato via dal progresso e dai mutamenti della storia.
 


 

Cinque istantanee di vite vissute fra giovinezza e dopoguerra, fra l’Appennino e Modena, in un intreccio di nostalgia e ironia: il compagno di scuola scomparso troppo presto, il giovane cronista affamato di futuro, la notte di un pittore e un redattore in cerca di emozioni, l’orchestrale di balera (categorie ormai estinte) tartassato di domande da un giornalista assillante, il sottotenente ignaro di un disastro sfiorato.
Piccole storie che, sullo sfondo della Storia con la S maiuscola e attraverso una scrittura capace di dare profondità e poesia agli oggetti più comuni e agli episodi più ordinari, restituiscono un’epoca in cui forse tutto sembrava più semplice.

 


Piccoli dettagli che diventano simboli di una vita passata, come un portacenere rosso, gadget di una famosa bibita, o la musica di una balera. Così Guccini riporta alla luce le emozioni di un tempo trascorso, mostrando con malinconia ma anche con profondo affetto i momenti felici vissuti nella sua terra, tra la guerra e il dopoguerra.

Non è un caso che “Così eravamo” sia stato definito una sorta di “Spoon River“ in prosa: ogni racconto porta il segno della memoria e dello sguardo di Guccini, delle sue terre e della sua giovinezza.

E se la malinconia (così come i dubbi) è inevitabile, alla fine nelle parole dello stesso Guccini rimane una certezza: «Meglio esserci stati, meglio avere visto e vissuto».

Stefano Superchi



03 marzo 2025

FLORA. Alla fondazione Magnani-Rocca l’incanto dei fiori nell’arte italiana.

FLORA

L’incanto dei fiori nell’arte italiana dal Novecento a oggi

 


15 marzo – 29 giugno 2025
Fondazione Magnani-Rocca, Mamiano di Traversetolo – Parma


 


 I fiori, con la loro bellezza temporanea e le metafore che rappresentano, hanno ispirato tanti artisti. La Fondazione Magnani-Rocca, con l’approssimarsi della primavera, stagione dove i fiori esplodono i loro colori e i loro profumi, li celebra con una mostra dedicata: oltre 150 opere, dai maestri del Simbolismo all’Arte contemporanea, trasformano la Villa dei Capolavori in un giardino d’arte e poesia.



La mostra FLORA. L’incanto dei fiori nell’arte italiana dal Novecento a oggi è in programma dal 15 marzo al 29 giugno 2025 alla Villa dei Capolavori, sede della Fondazione Magnani-Rocca a Mamiano di Traversetolo (Parma), immersa nello splendore del Parco Romantico, appena restaurato.

 

Col suo giardino all’italiana, il giardino all’inglese, il biolago e il nuovo giardino contemporaneo ispirato al New Perennial Movement, il Parco offre un’esperienza multisensoriale che cambia con il susseguirsi delle stagioni.
 


La mostra presenta oltre 150 capolavori “floreali” dei grandi maestri dell’arte italiana, da fine Ottocento fino alla contemporaneità. Le Ortensie di Segantini, Longoni e Fornara, le Dalie di Previati e Donghi, l’esplosiva Flora magica di Depero e i mazzi ipnotici di fiordalisi, papaveri e margherite di Casorati, il Gladiolo fulminato di de Pisis e i Crisantemi di de Chirico e Cremona. Accanto a queste meraviglie, le sale della Villa ospitano un percorso che attraversa Simbolismo, Futurismo, Realismo magico, Astrazione e le nuove forme d’arte contemporanea.

 



Il fiore non è mai solo un fiore. Potrebbe sembrare una frase banale, un luogo comune, ma non è così per gli artisti esposti in questa mostra. Per Boldini il fiore è un simbolo di grazia, per de Pisis un’esplosione di colori e una riflessione sulla caducità della vita, per Morandi una meditazione silenziosa.

 


FLORA esplora l’evoluzione di questo soggetto nell’arte italiana, dalla ricchezza simbolica di Segantini e Previati all’avanguardia di Balla e Depero, fino ai linguaggi contemporanei di Kounellis, De Maria, Gilardi, Schifano e Paolini.

 


Le sale della Villa dei Capolavori, si trasformano quindi in giardini segreti, evocati dalle opere di Pellizza da Volpedo, Chini, Nomellini, Moggioli, Boccioni, per ospitare fiori dipinti o scolpiti del Novecento, da quelli simbolici a quelli futuristi, da quelli recisi a quelli silenziosi fino ai fiori inquieti.
 


Il tutto affiancato dagli spazi che custodiscono i capolavori di Monet, Renoir, Cézanne, Dürer, Tiziano, Goya, Canova, Burri appartenuti a Luigi Magnani.

 


Il fiore ha una presenza importante nella mostra e il fiore più simbolico, la rosa, è addirittura protagonista di un’intera sezione: le Rose di Morandi dialogano con quelle di Funi, Oppi, Cagnaccio, Pirandello e Mafai.



 

La mostra, immersa nel Parco Romantico che circonda la Villa (un gioiello paesaggistico unico in Italia) nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Magnani-Rocca e il Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, ed è curata da Daniela Ferrari e Stefano Roffi. È realizzata grazie al contributo di Fondazione Cariparma e Crédit Agricole Italia. 

 



Parallelamente viene presentato il restauro del Parco Romantico che si estende per dodici ettari e che comprende un giardino all’inglese, un giardino all’italiana e il nuovo giardino contemporaneo.



Un patrimonio verde con centinaia di nuovi alberi, arbusti e fiori, con piante esotiche e monumentali a circondare la villa che fu dimora di Luigi Magnani. Il Parco Romantico conserva anche tre esemplari maestosi iscritti nell’Elenco degli alberi monumentali d’Italia: Cedrus libani, Sequoia sempervirens, Platanus hybrida, che sono stati oggetto di cure speciali. 




Le opere provengono da importanti musei, istituzioni pubbliche e collezioni private come il Museo del Novecento di Milano, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, il Museo Novecento di Firenze, il Museo Morandi di Bologna, i Musei comunali di Ferrara, il Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux di Firenze



    “Non c’è pittrice o pittore del Novecento che non abbia dipinto fiori, seguendo una vocazione intima e una personalissima interpretazione, una sfida rappresentativa. Il fiore è un soggetto semplice, ma è anche un universo di simboli complessi, di forme sofisticate e per questo irresistibile” 
Daniela Ferrari

 

 



A cura di Stefano Superchi

 





Viaggio nel Sahara, l'abbraccio infinito. Ricordando Francesca.

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