Dopo qualche ora di riposo in hotel, una doccia e la colazione, si va alla scoperta di questa oasi, Djanet, la perla del Tassili, a 1000 metri di altitudine, caratterizzata da basse case di fango e da palmeti.
Un breve passaggio al mercato tipico, giusto il tempo di acquistare un colorato tagemust (una fascia di cotone lunga dai 3 ai 5 metri da avvolgere sul capo in modo da formare un turbante e un velo).
Le jeep 4x4 ci attendono, cariche di bagagli, vettovaglie, cibo, acqua, coperte, tende, tappeti, stuoie e tutto ciò che servirà per i prossimi giorni.
Ci lasciamo Djanet alle spalle, direzione sud est, seguendo il corso dell'Oued Amais, percorrendo una hammada (area rocciosa) attraversiamo il Tassili N'Ajjer (altopiano montuoso presso il confine con la Libia ) e vari guadi fino a raggiungere la grande zona fluviale del Berjen.
Tra cespugli di tamerici l'Oued Tabaraket: terrazze fluviali da cui sporgono insolite rocce che sembrano figure umane, cattedrali di pietra, profili di enormi animali, sassi parlanti, minuscoli frammenti di rocce che parlano di un tempo che è stato e un susseguirsi di ampie distese di sabbia e dolci dune dorate.
Percorriamo ancora l'Oued Berjen, in un susseguirsi di piante e arbusti di vario tipo, con i grandi rovi fioriti di zilla spinosa, con i colori che vanno dal bianco al viola intenso (un evento raro con questa intensità e vastità) e poi enormi giacinti gialli, (cistanche tubulosa) fino all'oued Udad, dove si può ammirare una bella guelta incastonata tra le rocce e importanti pitture e graffiti.
Lasciato il Berjen, una traversata avventurosa tra le dune ci conduce a Tibenkar dove lo sguardo si perde tra gli Erg di dune fino al Messak Mellet, una zona ricca di affascinanti paleosuoli e di arte rupestre neolitica.
Arriviamo alla zona di Tiknewen, le sorelle! Due rilievi identici che spuntano in lontananza dalla sabbia dorata, e poi ancora anfiteatri di dune circondate da rocce appuntite.
Il nostro viaggio continua fra dune che colorano di oro, che si alternano a paesaggi rocciosi dove i colori, le forme, le ombre, gli imponenti torrioni arenarici ci offrono uno spettacolo, il più bello di tutto il Sahara.
"Quando il sole cala è il momento di salire su una duna e sedersi sulla cima.Davanti agli occhi appare uno scenario unico e straordinario che si estende all'infinito, IL SILENZIO è interrotto solo dal rumore del vento."
L'arrivo a Mulenagha nel Tadrart-Acasus è una emozione che non si riesce a descrivere: quello che appare è incredibile, un paesaggio di una bellezza lunare.
La sabbia diventa sempre piu' rosa, fino all'esplosione del rosso delle grandi dune di Tin Merzouga, dove giungiamo in serata per goderci un tramonto indimenticabile: il SILENZIO si impadronisce del deserto, sorvegliato dalla cupola di stelle e dalla scia luminosa della via Lattea.
Tutto appare nuovo, diverso, profondo, è un attimo perdersi! (Per questo ognuno di noi ha con sé un fischietto).
Accanto al fuoco, nelle mani di Bachir, contempliamo il rito della preparazione del the, in attesa di assaporarlo; le note della chitarra di Idda ci coinvolgono in una canzone che parla del mula mula (uccellino del Sahara).
La prima sera nel Sahara: i Tuareg organizzano il campo e accendono il fuoco, Kalia, il cuoco, prepara la cena a base di zuppa di verdure e pane, cotto nella cenere sotto la sabbia, deliziandoci anche con le sue frittelle di mele.
Noi ne approfittiamo per sgranchirci un po', esplorando la zona circostante, curiosi di trovare il nostro spazio, pensando ad eventuali bisogni fisiologici.
Personalmente vengo improvvisamente colta da una sorta di "panico", un misto di paura, sorpresa, emozione pura, libertà; c'è un silenzio a cui non sono allenata, sento il mio battito che accellera, sto piangendo, respiro profondamente una, due, tre volte, cerco di tranquillizzarmi... Nicola poi mi prende per mano e mi dice che è il SAHARA.
"Il deserto è il luogo centrale dell'angoscia, del desiderio e della vertigine".
(RACHID BOUJEDRA, scrittore algerino)
Ritornando indietro, verso nord, si giunge nella zona di Bohedienne, con dune rosse, ocra e nere, dove visitiamo un sito del periodo bovidiano, caratterizzato da eleganti bassorilievi.
Tra gole profonde, muraglie di roccia, suggestive figure di pietra scolpite dal vento e dalla sabbia, le alte pareti arenariche dell'Oued costituiscono una delle gallerie a cielo aperto di arte rupestre del Sahara, Patrimonio Unesco dal 1985 (la famosa giraffa accucciata, scene di vita pastorale, buoi bicromi, immagini di caccia, bovidi, elefanti, uomini e donne).
Attraversando la pista che conduce in Libia si arriva all'Oued Teini, ricco di cespugli di piante profumate, da dove si può ammirare il profilo della falesia del Tassili.
Riprendendo la pista per Djanet arriviamo a Terarat, dove, alla base di un faraglione roccioso, ammiriamo un vero capolavoro risalente a 7000 anni fa: La vacca che piange.
Il viaggio sta per terminare ma ancora le meraviglie non sono finite, dune multicolori, tombe solari, pietre, grandi faraglioni che spuntano fra le onde di un mare di sabbia.
Mentre rientriamo a Djanet, dove trascorreremo l'ultima notte, una sorta di nostalgia inonda i miei pensieri.
Penso a questi giorni trascorsi, insieme agli amici, ai Tuareg, insieme a mia figlia, in mezzo a tanta sorprendente ed inusuale bellezza.
Un viaggio dentro me stessa, con una miriade di sfumature, capace di esplorare e smuovere macigni emozionali: acqua e fuoco, terra, aria e vento, orme, storie senza confini nel silenzio assoluto dell'Universo.
"Mi è sempre piaciuto il deserto, ci si siede su una duna di sabbia. Non si vede nulla. Non si sente nulla. E tuttavia qualcosa risplende nel silenzio".
Lunedì sera 6 marzo 2017.
Così scrive Francesca sulla sua pagina FB:
Appena rientrati nella realtà!
Ho lasciato un pezzo del mio cuore nel SAHARA.
Un viaggio indimenticabile...Grazie Laura, Paolo, Tiziana, Milly, Nicola, Djaba, Kalia, Idda, Bachir e Azum.
E' stata l'ultima volta che ho abbracciato Francesca.
L'anno successivo, Paolo, Milly e Nicola, ritornati nel Sahara, l'hanno ricordata, insieme ai Tuareg, su quelle dune.
Il suo copricapo rosso rubino è là, sepolto sotto la sabbia che i suoi piedi leggeri e graziosi hanno calpestato.
Quando ripenso a questo viaggio, sicuramente il più emozionante che io abbia fatto, e non potrebbe essere diversamente, sono consapevole di aver avuto il dono di trascorrere questi giorni con Francesca.
Condividere con lei lo stupore grande, in uno spazio che è difficile raccontare se non ci sei stato, salire sulla cima di una duna, coricarsi fianco a fianco, senza dire parole, oppure come in un gioco rotolare giù, ridere, cantare, ballare, piangere all'improvviso, è stato un grande dono!
Nel deserto occorre entrare in punta di piedi per non rompere il silenzio che lo caratterizza. Quante volte diciamo che anche il silenzio è comunicazione!
Lo spazio che non ha fine, la sabbia con i suoi colori, la luce con i suoi chiaroscuri, il contrasto tra il giorno e la notte, alcune dune sono così affilate da tagliare l'ombra, la storia scritta sulla pietra stratificata nei millenni, il cielo che ti sembra di toccarlo, le note che porta il vento, e poi ancora il deserto in fiore e il prendersi cura prudente e gentile dei Tuareg.
In alcuni momenti la stanchezza si è fatta sentire, ma era tutto così nuovo, come un richiamo continuo a lasciarmi andare, a rimanere in ascolto delle mie sensazioni, a respirarle profondamente, accorta per non perdere nulla di questi momenti, consapevole che tutto questo era vero, ero io, lì, la mia anima nel Sahara, con mia figlia.
A volte mi dico che ci vorrei tornare...
Laura Passerini