Leo Longanesi
intellettuale poliedrico.
Un ricordo a 120 anni dalla nascita
Nasceva il 30 agosto di 120 anni fa a Bagnacavallo, nel ravennate Leo Longanesi, all’anagrafe Leopoldo, versatile intellettuale italiano del Novecento.
Fu scrittore, giornalista, editore, pittore, disegnatore, e creatore di aforismi. Rampollo di una facoltosa famiglia della borghesia agraria romagnola, studiò a Bologna nei primi Anni Venti, frequentando i caffè letterari di cui all’epoca la città era ricca, e dove conobbe il pittore Giorgio Morandi, che ne indirizzò la ricerca artistica. Ma fu il giornalismo letterario, il campo d’azione più marcato di Longanesi, che vi si accostò fin dagli inizi utilizzando un umorismo caustico, mantenendo però un fondo di conservatorismo; coerente e aperto al dialogo pur con le radici ben piantate a destra, era difficilmente definibile, ma si può dire che Longanesi fu un uomo libero.
Nel frattempo fondò, nel 1926 a Bologna, L’Italiano, rivista storico-letteraria tradizionalista e patriottica, promotrice della autenticità paesana contro le minacce della civiltà moderna, anche se, in apparente contraddizione con quanto sopra, lo scopo della rivista era “impedire l’imborghesimento del fascismo, di sostenerne le finalità rivoluzionarie, di colpire a fondo gli avversari di Mussolini, d’inventare un’arte e una letteratura fasciste”. Da queste parole si deduce come Longanesi rispettasse del fascismo un carattere riformista che avrebbe potuto rappresentare per l’Italia un cambiamento dal punto di vista della giustizia sociale, pur mantenendo il carattere fondamentalmente agrario della società italiana; come sappiamo le premesse del 1919 non si realizzarono, deludendo più di un sostenitore.
Nell’Italiano si potevano trovare sia le poesie di Ungaretti che la traduzione di opere straniere, l’autarchia culturale e la rivoluzione fascista. La sua amicizia personale con Mussolini non gli impedirà di sottolinearne gli errori, evitando quindi di essere un complice del regime. La sua onestà intellettuale fu riconosciuta e alla fine della guerra non fu incriminato o indagato per collaborazionismo o comunque per un particolare atteggiamento di favore verso il fascismo.
Anche l’aspetto grafico era innovativo, gli articoli erano corredati dalle fotografie di Cesare Barzacchi, in formato più grande rispetto alle altre riviste italiane. Politica estera, cinema, letteratura, musica e architettura erano gli argomenti principali, affrontati liberamente e senza seguire le severe linee guida del Minculpop, il Ministero della Cultura Popolare del regime fascista.
Una spregiudicatezza pagata a caro prezzo il 28 gennaio del 1939 quando, a seguito di un articolo di Alberto Savinio, Omnibus fu chiuso; l’articolo in questione, “Il sorbetto di Leopardi” dedicato al poeta recanatese a 102 anni dalla scomparsa, venne giudicato troppo irriverente. Lo stile del settimanale, quindi lo stesso Longanesi, da tempo attenzionato dal Minculpop, aveva assunto nei confronti del regime una posizione percepita come troppo indipendente e autonoma, e ne pagò le conseguenze, come si evince dal telegramma del Ministro della cultura popolare al Prefetto di Milano, del 2 febbraio 1939: “Prego V.E. Disporre che settimanale “Omnibus” edito da Rizzoli-Milano sospenda sue pubblicazioni per revoca riconoscimento del gerente responsabile Leo Longanesi causa atteggiamento tenuto periodico in questi ultimi tempi”.
Anche nel campo dell’arte l’orizzonte di Longanesi fu particolarmente ampio, andava dalla tradizione della stampa popolare italiana dei lunari e degli almanacchi, agli stili di Daumier, Toulouse-Lautrec, Grosz, fino al contemporaneo Mino Maccari. Partecipò anche a diverse mostre, fra cui la II Mostra del Novecento italiano a Milano (1929), la Mostra del decennale della rivoluzione fascista a Roma (1932), la I e II Quadriennale (1931 e 1935), la XIX Biennale di Venezia (1934), e la Mostra del disegno italiano a Berlino (1937). Da scrittore regalò esempi della sua pungente capacità d’osservazione; il suo libro più esemplificativo fu “In piedi e seduti” del 1948, un romanzo che racconta l’arco temporale dal 1919 al 1943; una ricostruzione sociale impietosa del costume e del malcostume italiani venata di brillante umorismo.
Il giorno della caduta del fascismo, il 25 luglio 1943, scrive, assieme a Mario Pannunzio e Arrigo Benedetti, un articolo di fondo sul "Messaggero" in cui celebra la libertà. Dopo l'8 settembre si stabilisce a Napoli, dove con Soldati e Steno si impegna nella propaganda antifascista.
Ma presto si mostra insoddisfatto del nuovo clima:
"Il vero guaio è che non abbiamo perduto abbastanza: ci sentiamo quasi vincitori".
Nel 1950 fonda "Il Borghese", rivista sul costume intellettuale degli italiani. Vi collaborano alcune delle migliori firme del paese: Ansaldo, Prezzolini, Missiroli, Flaiano, Montanelli, Parise, Prezzolini.
Le sue diffidenze nei confronti della nuova classe dirigente e della democrazia stessa, sono tra le ultime testimonianze di una vita febbrile, da battaglia. Muore di infarto a Milano, il 27 settembre 1957, a soli 52 anni.
La sua visione fu sempre sinceramente conservatrice, convinto che il caotico sviluppo industriale degli anni Cinquanta snaturasse l’identità nazionale, che per lui rimaneva contadina. Guardandoci indietro, dal consumismo alla società di massa, forse Longanesi non era completamente fuori strada.
Ma la sua sfiducia non era tanto verso lo sviluppo industriale in se stesso, quanto nelle capacità della classe politica italiana di traghettare con oculatezza e onestà il Paese dall’economia agraria a quella industriale; lo scempio del paesaggio, la corruzione, le “cattedrali nel deserto” sorte in particolare nel Mezzogiorno, ci fanno pensare che forse tutti i torti non li aveva.
Longanesi temeva che il servilismo continuasse ad avvelenare anche l’Italia democratica e un suo celebre aforisma scolpisce i suoi dubbi nella pietra:
“Non è la libertà che manca; mancano gli uomini liberi “.
Quello che lo faceva amaramente sorridere fu la disinvoltura con cui tutti indossarono prontamente la casacca dell’antifascismo, così come la corruzione che cominciava a incancrenire il tessuto produttivo del Paese; con un’inchiesta del «Borghese» svelò i metodi corruttivi dell’ENI e il conflitto d’interessi fra l’ente e il quotidiano Il Giorno, attirandosi il biasimo generale, ma insegnandoci che la nostra società ha sempre bisogno di voci libere e critiche come appunto fu Longanesi.
Stefano Superchi