Eleonora Duse - The Greatest, ritratto di una Diva
Qual è il significato del termine diva? Esistono ancora oggi le dive? Per quale motivo sentiamo la necessità di scavare nel trascorso di donne vissute in epoche così distanti dalla nostra? Una risposta potremo averla il 3 febbraio, all’uscita nelle sale del documentario “Duse - The Greatest” diretto da Sonia Bergamasco (a sua volta attrice e interprete di cinema e teatro), che va sulle tracce della diva che ha stravolto irreversibilmente il mestiere dell’attrice: Eleonora Duse.
Helen Mirren, intervistata nel documentario, dice che il segreto della Duse era la grande naturalezza: lei non recitava. La voce di Lee Strasberg interviene incisiva: «Non faceva nulla di recitato, quella era la sua grandiosità». In questi anni vanno molto i reality, con le persone che mettono in piazza la loro vita privata e i loro disastri affettivi spiattellati ovunque, che fatalmente si rivelano fallimentari e patetici. Le donne si svestono sulle piattaforme in cambio di soldi, eppure, nella stessa epoca, sentiamo la necessità di tornare sulle orme di una donna che di sé ha lasciato una sola (!) pellicola cinematografica – “Cenere”, un film muto del 1916 – qualche rarissima fotografia e alcune lettere.
La Duse ancora oggi è un mistero. Se torniamo indietro nel tempo a cercare “le dive” è forse perché nessuna è più capace di segretezza e discrezione, le molle della curiosità. Nell’era dei social nessuno è più predisposto alla privacy, si pensa che l’unico modo di farsi notare sia mostrarsi senza lasciare nulla d’intentato. Così, dopo picchi di attenzione smisurata ma brevissima, su certe star crolla tragicamente il sipario lasciando solo buio e rovine. Il lavoro della Bergamasco ci fa riflettere sul fatto che no, oggi non ci sono più le dive (forse l’ultimo “esemplare” rimasto è Mina). L’era delle dive è finita.
Eleonora Duse invece, in scena, era in grado di trasmettere il dolore della morte con la vibrazione di una mano, era capace di generare intensità senza drammatizzare, semplicemente vivendo. «Io non ero preparato a un tipo di recitazione come quello della Duse, si aveva l’impressione di una verità sconcertante» confessa Luchino Visconti nel documentario.
E la gente percepiva questa “verità”. Ecco, la Duse era incapace di essere finta. Le donne volevano essere lei, anche Anna Magnani e Marilyn Monroe tenevano una sua immagine nel camerino. E lei andava in scena con coraggio, libera, spettinata, senza trucco, orgogliosa delle sue rughe, con i capelli bianchi. Tutto il contrario di quello che fanno molte attrici oggi, per non parlare delle influencer, incapaci di sottrarsi all’ostentazione sui media.
Il fatto che della Duse non ci siano testimonianze (non rilasciava interviste) rende questo personaggio carismatico ancora più intrigante anche a cent’anni dalla sua morte. C’è ancora voglia di andare in cerca dei segreti che la riguardano ed è proprio questo a renderla immortale. La capacità di non rivelarsi che l’ha resa un personaggio attraente. È stata la Duse a cambiare per sempre il rapporto fra attrice e spettatore. La diva che amava le statue, che possedeva 2mila libri e usava i fiori come segnalibro, la donna nata a Vigevano che conquistò l’America e che non volle lasciare traccia del suo privato.
Amministrando la sua immagine con religioso mistero ha fatto di sé un mito. Un modello di cui ancora abbiamo bisogno, oggi che la comunicazione della propria immagine, sfruttata fino all’esaurimento e spogliata di ogni riservatezza, genera frane e l’ineluttabile oblio.
Stefano Superchi
Nessun commento:
Posta un commento