Seul protesta a suon di K-pop
Le boy band come simbolo di impegno civile
Esprimere dissenso politico sulle note dei successi delle proprie boy band preferite. Quello che non è successo in Occidente ai tempi di Backstreet Boys, Spice Girls e Take That, è diventato realtà in Corea del Sud in occasione delle proteste contro il governo del presidente Yoon Suk-yeol.
Decine di migliaia di giovani scesi in piazza a Seul facendo proprio il linguaggio e i simboli del K-pop, il genere musicale che negli ultimi anni la Corea del Sud sta esportando in tutto il mondo. Suoni incalzanti e testi leggeri, ma che non c’entrano nulla con la politica, anche perché in Corea del Sud gli artisti politicamente schierati sono oggetto di disapprovazione pubblica.
Malgrado tutto questo, fuori dall’Assemblea Nazionale, si protesta cantando «Impeach, impeach, impeach Yoon Suk-yeol» al ritmo dell’ultimo brano techno della girl band Aespa, “Whiplash”, con tanto di bastoncini luminosi e piccole coreografie che hanno fatto il giro del mondo tramite i social network. Un linguaggio semplice e spensierato, che farà sorridere chi associa musica e impegno sociale ad artisti come Bob Dylan, Joan Baez e a tutto mondo del Greenwich Village newyorkese degli anni Sessanta.
Il tedesco Émile Durkheim, uno dei padri della sociologia, la chiamava «effervescenza collettiva».
È quel senso di euforia che si manifesta durante i riti religiosi (ma anche civili in generale) e che porta una società a fortificare i propri valori identitari attraverso azioni e simboli ben codificati.
Per i manifestanti coreani il K-pop sembra essere proprio questo: un simbolo condiviso dalle persone comuni che si contrappone alla classe politica del presidente Yoon Suk-yeol, che, al contrario, rappresenta corruzione e autoritarismo.
Il paragone con il Sessantotto occidentale, quindi, non appare così azzardato considerando che la Corea del Sud ha un passato democratico piuttosto giovane e tormentato, segnato dal susseguirsi di sanguinose dittature militari durante la Guerra fredda, e soltanto dal 1987, grazie anche al movimento per i diritti civili, ha intrapreso un graduale processo di democratizzazione.
Non si può ignorare la componente di emancipazione legata a questa protesta. Come ricorda Stephanie Choi, ricercatrice presso l’Università statale di New York a Buffalo, «il K-pop è uno spazio a predominanza femminile e le richieste femministe hanno plasmato l’estetica e le performance del K-pop». Un fattore da non sottovalutare, considerando che il presidente Yoon aveva promesso di abolire il Ministero dell’Uguaglianza di genere.
Di sicuro questa protesta in salsa pop appare decisamente più accessibile rispetto ai cortei violenti che spesso sfociano in disordini. Non tutti i giovani in piazza a Seul sembrano però condividere questo risveglio della coscienza politica: uno striscione fra i più appariscenti recitava “Date a noi nerd la libertà di preoccuparci solo di cose nerd”. Non certo un obiettivo di impegno sociale.
Stefano Superchi
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