SEZIONI

08 dicembre 2024

Giuseppe Boles, il Marabù a Teatro

 Giuseppe Boles,

il Marabù a Teatro

 


  Che sia istrionico lo si sa da tempo, ma non è solo questo. Instancabile alchimista della parola Giuseppe Boles, per tanti Giupi, non lascia correre il tempo senza montarvi a cavallo e spronarlo, senza lasciarvi una impronta. Casalmaggiore ne porterà il nome ai posteri grazie alla finestra sul Po e alle targhe dei proverbi e per chissà cos'altro, chi lo conosce sa che la sua mente è sempre in viaggio.

 



Tra le tante attitudini c'è quella di saper tenere il palco grazie ad una spiccata presenza scenica e ad una sensibile capacità scrittoria ed attoriale, il tutto condito da un timbro di voce caldo e calmo che tiene l'attenzione senza sforzo.
E proprio queste qualità lo hanno portato, mercoledì 4 dicembre, sul palco del Teatro Valli a Reggio Emilia per la serata evento "Marabù Glory Days" dedicata al MIRE, il dipartimento materno-infantile che sta sorgendo nell'area dell'Arcispedale Santa Maria Nuova.

 


Lo spettacolo ha fatto il tutto esaurito confermandosi come appuntamento imperdibile per gli amanti della iconica discoteca Marabù che ha allietato più generazioni. Una serata sospesa tra nostalgia e voglia di condivisione davvero fuori dall’ordinario per il nostro Giuseppe Boles, artista non professionista che, alla presenza di oltre mille spettatori, ha recitato un monologo di cui è anche autore. Incentrato sulla stagione delle discoteche, quando la loro presenza era di fatto elemento imprescindibile della vita giovanile, il testo portato in scena rimarca con poeticità le caratteristiche di un mondo sempre più lontano. Il MARABU’, sito "Tra la Via Emilia e il West" è stato vero e proprio baluardo della vita emiliana a partire dal 1977 anno della sua apertura fino al 2000.


E’ fuori di dubbio che Boomer e Generazione X, ovvero i nati a partire dagli anni 50 fino ai primi anni 80, legano ancor oggi buona parte dei loro ricordi più piacevoli a quella cattedrale pagana del piacere che è stata la discoteca e ancor prima la balera. Accanto a nomi iconici del passato come Nomadi, Ivana Spagna e Tracy Spencer anche Giuseppe Boles ha potuto mettere in mostra il proprio talento attoriale e autorale di fronte ad un pubblico entusiasta che ha letteralmente inondato platea e spalti.

 


Gli spettatori hanno cantato a gran voce inni oramai entrati nella storia della musica italiana per poi riflettere sulle parole che Boles, che quegli anni li ha cavalcati in prima persona, con il suo stile da dandy ha offerto a più di duemila orecchie attente.  Un grazie sentito Giupi lo rivolge a Cristiano Desy che lo ha voluto in quel gruppo di artisti al quale lui stesso ha partecipato chiudendo con una jam session dei brani più famosi degli ultimi 40 anni. Ad inserire l’intera serata in un ancor più ampio quadro  di valore artistico ed etico, una considerevole somma da offrire in beneficenza.

Giovanna Anversa


foto di Jacopo Orlo ©


Se vi chiedessi cos’è (o meglio cos’era) la DISCOTECA, se potessi entrare dentro i vostri ricordi, scendere giù giù sul fondo della vostra memoria, ditemi: cosa vedrei?
Grandi sale, luci strobo, ressa, volume alto? No, non credo. Fosse soltanto questo non saremmo qui stasera così in tanti.
Quindi, la domanda resta: Che cosa mai vedrei se vi chiedessi cos’è (o meglio cos’era) la DISCOTECA?

Amo pensare che mi apparirebbe qualcosa di molto simile ad un flash, una luce così breve e abbagliante da farmi chiudere gli occhi e alzare gli angoli della bocca con nostalgica dolcezza. Capite, non un sorriso sguaiato, no… soltanto l’accenno perché in fondo la nostalgia è soprattutto come dire… SFUMATURA.
 


Quella luce, quel flash sapete, arriverebbe dal profondo, da lontano, da quella vita sempre più sbiadita che non avremmo voluto abbandonare. Oddio, come singoli non avevamo tutti un corpo perfetto, nessuna gran carriera alle spalle, forse eravamo semplicemente PERSONE NORMALI. Eppure, una volta entrati, quelle grandi sale, le luci strobo, la ressa, il volume alto ci permettevano di brillare. Tony era solamente un garzone, uno che tirava a campare dentro un banale colorificio, ma il sabato sera indossata la giacca lui, Tony, diventava Tony Manero. E sapete perché? Perché la DISCOTECA aveva il potere di concedergli qualcosa che il mercato del lavoro non gli avrebbe mai permesso: la “LIBERTÀ”, la libertà di sentirsi tutti quanti un po' Tony Manero o chiunque altro volessimo.
 


Era lei, la DISCOTECA ad accendere il nostro io più nascosto e quindi sincero, anticonformista, ribelle…
Uno scrigno luminoso, questo era, pronto ad accogliere chiunque avesse voluto mettersi alle spalle la noia di giornate sempre uguali nella speranza che quella sera sarebbe stata LA SUA SERA.

Ed era davvero per tutti perché per tutti c’era una discoteca. LEI era già QUEER prima ancora che il termine queer venisse inventato. Pensateci, ne sono state create per qualunque gusto. Per chi beveva poco e per chi beveva troppo, per chi ballava tutta la notte sbattendosene altamente dell’orario. Per chi fuori poi litigava e subito dopo magari s’abbracciava. Ma soprattutto per chi ci avrebbe finalmente provato, con una donna, con un uomo o semplicemente indossando un vestito fuori dal comune. Là, in pista o sciallati sui divanetti non c’era nessun telefono tra noi e l’oggetto dei nostri desideri. Mani, labbra, lingua… erano loro i nostri LIKE e la DISCOTECA diventava come per magia il social cui tutti partecipavano.

 


Lì, in bilico tra due mondi, l’antico e il moderno, quelle grandi sale, le luci strobo, la ressa, il volume alto sapevano regalarci una pausa dalla logica della vita, lontani dal tran tran quotidiano. Con la mente annebbiata i freni inibitori si allentavano e ci si buttava con più coraggio. A volte funzionava, altre meno. Ma che importa? In fondo la DISCOTECA, pagana cattedrale del piacere sarebbe tornata ad aprirci le sue porte. Lo avrebbe fatto la settimana seguente e quelle seguente ancora perché la DISCOTECA era molto più di un semplice luogo, era diventata UNA CERTEZZA.


Lo so, so bene cosa state pensando, quale pensiero vi frulla per la testa: quello strano tizio al centro del palco sta parlando di un’epoca che non esiste più. Vero. Un’epoca in cui la solitudine aveva meno raggio d’azione e checché se ne dica la SPENSIERATEZZA vantava una forma, un senso, direi quasi un valore. Beh, mi piace pensare che parte del merito vada proprio alla DISCOTECA capace di garantire all’Italia, nostro nobile e decadente paese, mezzo secolo di democrazia del divertimento. Gente come Sandro Gasparini, Ivo Callegari e tanti tanti altri costruendo quelle grandi sale, installando luci strobo, facendo entrare la ressa, alzando al massimo il volume della casse non hanno fatto altro che difendere il nostro sacrosanto diritto al divertimento. E non è una cazzata.

 

Sandro Gasparini (co-fondatore del Marabù)


Nella Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d’America (4 luglio 1776) veniva messo in chiaro che tutti gli uomini avrebbero dovuto poter godere di un diritto inalienabile, un diritto talmente potente che di lì a poco entrerà a far parte dell’articolo 1 della loro costituzione: IL DIRITTO ALLA FELICITÀ. Quindi chiamatelo come volete, diritto alla felicità, diritto al divertimento, non importa. Sandro Gasparini, Ivo Callegari ce lo hanno concesso e noi, grazie a Dio, possiamo dire di averlo esercitato. Insieme, realmente insieme, carnalmente uno fianco all’altro perché tutti quanti abbiamo BALLATO E SBALLATO almeno una volta nella vita dentro quelle grandi sale, sotto lo strobo, mischiati alla ressa, intontiti dal volume. Certo, qualcuno ha esagerato ma la stragrande maggioranza ha goduto.

Ecco perché ognuno di noi continuerà ad avere un enorme DEBITO di riconoscenza nei confronti del nostro amato, indimenticabile Marabù e di tutte le altre discoteche d’Italia e del mondo. Perché senza quelle grandi sale, le luci strobo, la ressa, il volume alto molti, moltissimi dei nostri ricordi più belli SEMPLICEMENTE NON ESISTEREBBERO.


foto di Jacopo Orlo ©

Forse Marabù non è semplicemente un nome

Forse Marabù nasconde un segreto 

Forse Marabù è stato un acronimo 

Meglio Avere Ricordi Antichi Beatamente Unici

 

Giuseppe Boles

 

 

 



Nessun commento:

Posta un commento

Erri De Luca su Fabrizio De André

  Erri De Luca su Fabrizio De André   Noi oggi, noi piccole serpi di Officina Coolturale , non vogliamo, su queste parole gigantesche rivol...