Sono già due...
Ma sono solo due
Il secondo compleanno di Officina Coolturale
Il nostro blog è figlio di molte anime, in particolare di una, che ha accolto la nostra nascita davvero come una nascita, e il Natale, guarda un po', celebra una nascita. Coincidenza? Coincidenza che i nostri cuori allo scoccare dei due anni si sentono ancora di più in connessione con alcune anime che oggi scriverebbero ciò che noi non sapremmo mai scrivere.
Ma le l'abbiamo le loro parole non scritte, proprio così, noi abbiamo le loro parole non scritte.
Sono nei nostri cammini e nelle ombre al nostro fianco, sono nell'amicizia che ci lega, nella empatia e nella rabbia verso le ingiustizie, sono nei piatti e nei bicchieri consumati insieme, sono nella voglia di esserci attraverso l'inchiostro, nella voglia di scrivere racconti e leggere racconti come quelli di Geppa, come questo di Stefano.
Giovanna Anversa
LA NOTTE DEI MIRACOLI
Alla mezzanotte del 31 dicembre, quando i botti fecero tremare i vetri e la nebbia, salendo dal Po, si mescolava ai fuochi, Cristina era preoccupata. Molly era scappata già da più di un ora; come tutti i cani era impaurita, ma era impossibile che fosse colpa di quei maledetti boati, quando hanno iniziato era già sparita.
Quasi contemporaneamente qualcuno giurava di aver visto un uomo col passo tranquillo, la barba lunga, un taccuino in mano e una cagnetta a fianco, camminare lungo l’argine come in una delle sue solite “uscite di servizio”. In silenzio, un po’ in disparte come ha sempre fatto, con quella discrezione quasi francescana che lo teneva lontano dal protagonismo.
Qualcuno assicurava di averlo notato davanti alla porta di un ambulatorio dell’ospedale, accarezzare con lo sguardo l’ecografo che porta il suo nome, con un sorriso amaro, pensando a quante storie di cura nascono in silenzio, senza comunicati stampa. Altri dicevano di averlo visto passare poi per Casa Giardino mentre sbirciava i volti di chi lotta e di chi accompagna, sussurrando quasi impercettibilmente “finché qualcuno si muove verso gli altri, nessuno è davvero solo”.
Qualcuno lo riconobbe in piazza, o credette di farlo. C’era un uomo che lo aspettava, con una tonaca sgualcita e quello sguardo che sembra attraversare le persone fino in fondo: il prete che ha sempre messo casa, tempo e cuore a disposizione degli ultimi.
Sembrano confabulare come due vecchi amici, ricordano la Casa dell’Accoglienza, le notti passate tra letti improvvisati e documenti da sistemare, i volti stanchi ma vivi di chi bussava senza sapere se qualcuno avrebbe aperto. L’uomo con la barba ricorda le sue pagine dedicate agli ultimi, quelle in cui la cronaca si piegava per lasciare spazio alle persone.
Insieme si domandano se la città saprà ancora tenere quella porta socchiusa, pronta a spalancarsi.
Un uomo, timidamente, si avvicina: “Ma… Nazza? Don Paolo?”. Loro alzano le spalle, fanno quella mezza smorfia che tiene insieme ironia e tenerezza, e rispondono: “Siamo ancora qua e siamo con voi, no? Allora vuol dire che non abbiamo scritto, predicato, amato invano”. Ai pochi passanti che si fermano incuriositi non parlano di sé, chiedono dei bisognosi, dei malati, dei ragazzi che non trovano spazio, delle famiglie che non arrivano a fine mese, delle persone che ogni giorno attraversano la vita con il peso delle proprie paure.
Poi, Don Paolo scompare dietro all’angolo della strada, inghiottito dalla notte, Nazza invece, come faceva nei suoi pezzi migliori, si toglie dalla scena e lascia cadere un foglio con scritte poche righe, brevi come un occhiello in prima pagina:
“Buon 2026 a chi non si piega, a chi non volta lo sguardo, a chi fa spazio agli ultimi anche quando costa. Buon anno a chi continua a raccontare la verità delle vite normali, perché è lì che passa la storia. E se ogni tanto vi manco, fate una cosa semplice: guardate dove c’è più fatica e mettetevi lì, in prima fila ma un po’ in disparte. Il resto, fidatevi, viene da sé… Andòm”.
Stefano Superchi
All’approssimarsi del secondo compleanno del nostro blog vogliamo dedicarvi questo breve racconto onirico, che parla di due uomini importanti per il nostro territorio, che non hanno bisogno di presentazioni: Nazzareno Condina, che tanto ha fatto per tutti e anche per questo blog, dandoci fiducia e spronandoci a dare corpo a quella che era solo una vaga idea, e Don Paolo Antonini, il prete degli ultimi, che, almeno a noi, manca molto, soprattutto in questo periodo di “cattivismo”, di doppia morale ed egoismo.
E in qualche modo vuole essere un invito, in special modo ai giovani, ma non solo a loro, a non aspettare “il momento giusto” per cambiare le cose. Iniziate oggi, qui, dove vivete, prendete in mano il territorio come ha fatto Nazza, raccontatelo, difendetelo, fate volontariato, inventate modi nuovi per stare vicino a chi è fragile, perché il futuro di questa terra ha bisogno del vostro coraggio e della vostra voce.
Per questo, il vero augurio per il 2026 non è solo di pace e serenità, che dovrebbero essere sempre l’obiettivo comune, ma di impegno civile, nel nome di due uomini che tanto hanno fatto. Nazza ha difeso il bene comune, l’ambiente, le relazioni, trasformando la sua professione in servizio, ha portato aiuti diretti alle popolazioni terremotate di Amatrice e a quelle alluvionate della Romagna, ha raccolto fondi per il Day hospital oncologico e per altri reparti, per la Casa Giardino, per gli animali, ha insegnato che “gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”.
Don Paolo ha aiutato tutti quelli che ha potuto, spogliandosi di tutto, incapace di dire di no ma fermo nei suoi principi, che vorremmo diventassero universali.
Entrando nel nuovo anno, l’invito è semplice e radicale: scegliamo una causa e portiamola avanti, con meno parole e più gesti, meno “like” e più concretezza.
Partecipiamo alla vita comune, a un’associazione, impegnamoci con tenacia in un progetto, anche piccolo, vigiliamo sulle scelte del territorio, prendiamoci cura di chi è solo, senza azioni eclatanti, basta un piccolo gesto, moltiplicato tante volte quanti più saremo.
Sosteniamo le realtà che continuano le opere di Nazza e Paolo, sarà un modo concreto per non limitarsi a ricordarli, ma per farli ancora camminare con noi, dentro la storia quotidiana di Casalmaggiore e delle nostre terre.
















































