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08 dicembre 2025

COSI' CONOBBI E MI INNAMORAI DI FABER

COSI' CONOBBI E MI INNAMORAI DI FABER

 



“Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale di speciale disperazione”. (Smisurata preghiera)

 



Di Faber tutto è già stato detto e scritto, della sua poetica, della sua musica, della sua personalità, di Faber 9,9 persone su 10 si sono innamorate, tutti lo cantano, tutti lo ascoltano, tutti lo leggono perché lui è l’artista, è il poeta, è “l’amico fragile” di ogni età, di ogni decennio, di ognuno di noi.


 

Ebbi tre//quattro incontri chiave con la musica e la poesia di Fabrizio De André, il primo a nove anni, quando mi iscrissi a un corso di chitarra all’Estudiantina e i primi accordi imparati accompagnavano la Canzone di Marinella; non sapevo di chi fosse questa canzone, che mi parve subito bellissima, né tanto meno conoscevo Faber.


 

Lo incontrai nuovamente in seconda media, quando, un allora professore di musica, ben più giovane e più moderno della secolare Signora Forte, al posto della Montanara, ci fece cantare e suonare La Ballata del Miché, Geordie e La Canzone dell’Amore Perduto. Fu in quel momento che mi incuriosii e volli sapere chi fosse questo De André, che cantava canzoni così tristi e intense, che attraverso una voce calda e unica, una melodia inebriante e a volte simile alle ballate dei chançonniers francesi, che mio padre e mia zia sovente ascoltavano, ti entrava nella pelle e ti bruciava come fuoco.

 


Piccola com’ero non ero in grado di capire cosa mi rapisse tanto di lui, e nemmeno me lo chiedevo, a quell’età ascolti una canzone perché ti piace e basta. L’adolescenza, si sa, ha il potere di amplificare le emozioni ma in questo caso di amplificato non c’era nulla, oggi al sentirlo provo ancora le stesse cose. Se ci penso ora, credo sia stato il suo saper coniugare così bene la semplicità della musica popolare, della ballata con la raffinatezza dei testi, elementi che abbinati a quella voce tanto bella mi portarono a consumare le cassette. Posso dire quindi che Faber mi rapi’ così, senza un perché, mi prese proprio attraverso le reazioni a catena che mi suscitava: piacere, brivido, estasi, malinconia.

 


Il terzo incontro avvenne in seconda superiore e fu determinante: estate, Marina di Massa con una amica di classe, una compagnia numerosa in spiaggia, come normalmente accadeva allora, e tra questi un ragazzo, la sua chitarra, il suo amore per De André, la sua bravura, la sua voce, ovviamente non uguale ma simile. Fu lui a raccontarmelo, fu lui a dirmi chi era, fu lui a cantarmi tutte le altre canzoni che ancora non conoscevo e fu lui a spiegarmele, a dirmi quanto a Fabrizio piacevano Brassens e Brel, ma anche Cohen e Dylan, quanto amava la sua Genova, quanto era intelligente, geniale, ribelle, un po' vanitoso, fu lui a dirmi che la lettura del libro “L’Unico e la sua proprietà”, scritto dal filosofo tedesco Stirner, fu probabilmente l’imput che lo avvicinò all’ideologia anarchica.

 



Il quarto incontro avvenne grazie ai fratelli e alle sorelle degli amici e amiche che frequentavo, i quali, più grandi di noi, avevano tutti i dischi, in particolare quello del live con la PFM che ascoltammo fino alla nausea e che mi diede il colpo di grazia. Da quel momento non smisi più di interessarmi al suo pensiero, volli capire meglio i suoi testi, comprai ogni suo album fino ad Anime Salve, l’ultimo suo grande capolavoro, l’ultimo suo grande inno agli ultimi, agli emarginati, ai diversi, ai bistrattati, agli abusati, agli offesi.

 



Faber, soprannominato così dall’amico Paolo Villaggio, per la sua passione per i pastelli e le matite della Faber-Castell e per l’assonanza col suo nome, piace a tutti: a tutte le generazioni, ai musici, ai poeti e ai profani, a chi sta a destra, a sinistra o in centro, allo snob e all’umile, al borghese, al nobile e al semplice, al credente e al miscredente.

 


A ventisei anni dalla sua scomparsa il suo genio è ancora qui a scaldare il cuore delle generazioni che verranno perché Faber…. non è morto.

Giovanna Anversa






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