Ken Loach
89 anni con la schiena dritta
Kenneth (Ken) Loach nasce il 17 giugno del 1936 a Nuneaton, nel Warwickshare ed è la punta di diamante del cinema di impegno civile britannico, derivato negli anni ‘60 dal lascito del decennio precedente del Free Cinema.
Proveniente da una famiglia operaia, abbraccia gli studi di Legge a Oxford, ma l’ingresso nel gruppo teatrale universitario, di cui diventerà ben presto presidente, gli fa abbandonare l’università per dedicarsi alla recitazione e alla regia. Assunto nel 1963 come regista alla BBC, si fa subito notare tra gli autori di uno dei programmi più celebri della TV inglese, The Wednesday Play, per cui tra il 1965 e il 1969 realizza dieci documentari sceneggiati dedicati a questioni sociali, tra cui spiccano Up the Junction (1965), che gli vale il premio come miglior regista dell’anno della British Television Guild, e Cathy Come Home (1966), che segna la nascita del suo sodalizio con il produttore Tony Garnett, col quale condivide le idee politiche e che segnerà tutta la prima fase della sua produzione.
È in questo periodo infatti che Loach esordisce nel cinema con Poor Cow (1967), tratto da un romanzo di Nell Dunn, dedicato a una giovane sottoproletaria londinese, e realizza Kes (1969), dramma sociale dedicato a un ragazzino dello Yorkshire, che lo fa notare dalla critica, inaugurando il dialogo tra attenzione umanistica e tensione sociale che diventerà la linea del suo cinema.
Fondata assieme a Garnett la casa di produzione Kestrel Films, realizza Family Life (1971), che lo pone sulle posizioni dell’antipsichiatria raccontando il dramma di una ragazza schizofrenica segnata dalle disfunzioni familiari. Dopo un provvisorio riavvicinamento alla produzione televisiva (Days of Hope, 1975 e The Gamekeeper, 1980), negli anni ‘80 Loach realizza per il cinema l’avventuroso Black Jack (1979) e Uno sguardo e un sorriso (Looks and Smiles, 1981), col quale affronta i problemi del lavoro. L’intreccio tra questioni storiche ed esistenziali al centro di Fatherland (1986) e L’agenda nascosta (Hidden Agenda, 1990, Premio della Giuria a Cannes) introduce l’interesse per l'impellenza delle tematiche sociali indotte nel paese dal thatcherismo, che segnerà un nuovo slancio produttivo e poetico del suo cinema negli anni ‘90.
Riff-raff (1991), Piovono pietre (Raining Stones, 1993, Premio della Giuria a Cannes) e Ladybird Ladybird (1994) sono opere in cui l’interesse per le figure proletarie in difficoltà si congiunge con la puntualità dell’analisi socio-politica.
Nel 1995 si concede una pausa con un tuffo nel passato, rievocando in Terra e libertà (Land and Freedom) il 1936 della guerra di Spagna vista attraverso lo sguardo dei volontari internazionalisti del Partito Operaio di Unificazione Marxista. Si dedica poi alla guerra che oppone Contras e Sandinisti, recandosi in Nicaragua a girare La canzone di Carla (Carla’s Song, 1996). Il film segna anche l’inizio della prolifica collaborazione con lo sceneggiatore Paul Laverty, che nel 1998 lo porterà di nuovo nei sobborghi proletari di Glasgow per My Name Is Joe.
Nel 2000 con sua produttrice ormai abituale Rebecca O’Brien e Paul Laverty, crea la Sixteen Films, che produrrà tutti i suoi film successivi. Si reca così a Los Angeles tra gli immigrati clandestini messicani di Bread and Roses (2000), per poi tornare a concentrare la sua attenzione sulle difficoltà sociali, occupandosi di un gruppo di operai ferroviari in Paul, Mick e gli altri (The Navigators, 2001), dello smarrimento adolescenziale in Sweet Sixteen (2002) e dell’integrazione tra comunità differenti in Un bacio appassionato (Ae Fond Kiss…, 2004).
Nel 2006 torna a guardarsi indietro e racconta le origini della questione irlandese in Il vento che accarezza l’erba (The Wind That Shakes The Barley), vincendo la Palma d’Oro a Cannes.
Seguono In questo mondo libero (It’s a Free World…, 2007), Il mio amico Eric (Looking for Eric, 2009), L’altra verità (Route Irish, 2010) e La “parte” degli angeli (The Agnels’ Share, 2012, Premio della Giuria a Cannes), in cui affronta questioni sociali attraverso drammi personali intimi o commedie dal tono lieve, ma non prive delle sue abituali argomentazioni.
Dopo il ritorno all’Irlanda della Guerra Civile con Jimmy’s Hall – Una storia d’amore e libertà (2014), nel 2016 Loach vince di nuovo la Palma d’Oro a Cannes con Io, Daniel Blake (I, Daniel Blake), che rappresenta il compendio tematico e stilistico del suo cinema.
Nel 2019 realizza Sorry We Missed You affrontando le storture dell’economia globale attraverso la vita di un corriere freelance, e nel 2023 firma quello che il regista ha dichiarato sarebbe stato il suo ultimo film: The Old Oak, in cui si occupa di integrazione sociale e spirito di convivenza in una piccola comunità dello Yorkshire.
Una vita spesa a far comprendere le storture della società capitalistica, del benessere apparente, che sommerge gli ultimi e se ne dimentica.
Ken Loach non se ne dimentica e ce li ha sbattuti in faccia ad ogni film, perché non potessimo dire di non sapere.
Stefano Superchi
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