Sedie Saccenti
Le Sedie si raccontano al Museo Diotti
Il racconto della performance diffusa nelle sale del museo casalasco dove dialogano design, contesto storico e letteratura.
Non so quanti di noi casalesi si rendono conto del preziosissimo museo che abbiamo in città, il Museo Diotti, che contiene opere meravigliose esposte nelle sale di un palazzo altrettanto stupefacente, tanta è la sua bellezza. È uno spazio museale curato e accudito che ospita pezzi di grande magnificenza e mostre che non hanno nulla da invidiare ai vernissage di città.
Oggi si è chiusa l'esposizione dedicata alle sedie che hanno fatto epoca con l'intervento dei corsisti del laboratorio teatrale “Il Teatro dei Granelli”, guidato da Stefano Donzelli:
"Le Sedie Saccenti", rappresentazione pensata per il Museo Diotti, all'interno della mostra bellissima e costruita nei minimi dettagli, dedicata alle cadreghe.
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Stefano Donzelli |
Durante la visita si è potuto assistere a una performance che ha reso lo spazio museale un luogo dove incontrarsi, dove sostare, dove assaporare la bellezza e permanere il più a lungo possibile.
Spesso la visita a un museo si consuma nel percorrere l'esposizione, ne si fruisce profondamente o distrattamente, poi si esce e si va da un'altra parte. Nell'idea di Stefano invece il museo è un luogo di incontro, dove arte e cultura sono i padroni di casa che accolgono e intrattengono.
All'interno dell'esposizione quindi, i momenti di teatro dei corsisti del Teatro dei Granelli, prevalentemente giovani, hanno accolto i visitatori, quasi come nell'ora del tè all'inglese, animando e facendo vibrare, attraverso loro scritti o stralci di opere teatrali, le meravigliose sedie esposte.
Pezzi tratti da Giorgio Gaber ("la sedia da spostare"), di Alda Merini, Bruno Munari e il suo divertente articolo per Domus e infine una piccola scena tratta da "Le Sedie" di Ionesco dove un ospite invisibile, rappresentato da una sedia vuota e trasparente, viene intrattenuto da due coniugi in un apparente nonsense tipico del teatro dell'assurdo. Gli attori stanno nello spazio espositivo, non sono identificabili perché non indossano costumi né tantomeno portano un trucco evidente, appaiono come comuni visitatori che all'improvviso prendono voce e raccontano qualcosa.
Gli interventi, pensati per ognuno degli spazi espositivi, sono sorti sulla base di un'associazione di idee mentre un audio con la voce ipnotica di Stefano Donzelli trasporta il visitatore in una dimensione altra. L'attenzione è rivolta alla sedia che diviene specchio di una realtà da cui fuggire o luogo stanziale, di comodità e di quiete.
Dare vita alle opere esposte, un modo differente di vivere la visita a un museo, di coinvolgere il pubblico: tra il visitatore e l'opera si crea un "intreccio di amorosi sensi", un dialogo, uno scambio di emozioni.
È la prova tangibile che l'opera d'arte non è qualcosa di statico ma qualcosa che parla, che si esprime, che comunica con chi la guarda.
Un gran bel lavoro, diretto da Stefano Donzelli, voluto da Roberta Ronda con la collaborazione di Giuseppe Romanetti e di una manciata di giovanissimi e talentuosi ragazzi. E così la cadrega ha fatto sfoggio di sé e delle varie epoche attraversate, lei, oggetto di comfort e di arredo che da secoli ospita le umane natiche.... e di questo chissà quanto ancora avrebbe da dirci.
Giovanna Anversa

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