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26 febbraio 2025

CARAMELLE che passione!

CARAMELLE

che passione!

 


 Ci sono cose, che hanno un posto sicuro e inoppugnabile nella rosa dei ricordi e delle emozioni semplici. Chi come me ha avuto un padre che ha lavorato tutta la vita in una fabbrica, che dire azienda non mi piace, in una meravigliosa fabbrica di caramelle, le porta dentro, e non solo nello stomaco, tutta la vita, ci costruisce storie ed amoreggia con la loro carta.

La forza emotiva che una semplice caramella ha sulle persone è sorprendente e spesso non ce ne accorgiamo. Non si acquistano solo per golosità, sono le emozioni che il più delle volte guidano le nostre scelte. Emozioni, ricordi e sentimenti semplici, la magia dei colori delle loro cartine, ecco, le caramelle sono soprattutto questo.

 


Come quando la nonna te le dava di nascosto perché lei ti amava sempre, non importava cosa avessi fatto, se fossi in castigo o se ti facevano male, lei ti regalava quella gioia rubata e tu la tenevi in mano prima di mangiarla, la toccavi, la nascondevi in tasca e sceglievi con cura il momento per mangiarla, che goduria... e la carta? Mica la si buttava, si faceva la raccolta.

Per questo abbiamo deciso di fare una classifica delle caramelle più amate che circola sul web mettendoci però del nostro, non da ultimo qualche antica splendida pubblicità.

 



ROSSANA

Una delle caramelle della nonna. Le mode cambiano, i gusti si evolvono ma il loro guscio croccante e il ripieno goloso alla nocciola l’hanno resa la regina indiscussa della bon-bon, lei è quella di classe, è regale...

 


 

GOLEADOR

Le famosissime gommose bislunghe ispirate al mondo del calcio. Sono ancora così tanto famose e amate che non esiste negozio, bar o tabacchino che non le proponga.

 


 

GELEES ALLA FRUTTA / FRUIT JOY

Vera e propria istituzione, morbide e dolcissime impastano la bocca e si attaccano ai denti, ma con quel cuore morbido catturano.

 


 

MOU / ELAH

Sono un piacere sconvolgente, scioglievoli, fondenti, dal gusto inconfondibile di caramello e panna. Vero paradiso dei golosi da 0 a 90 anni, un vero paradiso dall’incarto vintage.

 


 

KREMLIQUIRIZIA

Versione menta e liquerizia di quelle sopra, creano dipendenza dal lontano 1909. Questo toffee si scioglie in bocca sprigionando tutto il suo inconfondibile sapore.

 


GALATINE

Tavoletta al latte che ci accompagna da oltre 60 anni. Vero e proprio emblema della confetteria made in Italy, i suoi ingredienti sono così semplici che si fa fatica a crederci. Il resto è storia!

 


 

SELZ

La “frizzosità” bella brusca che entra nel naso. Al gusto di arancio, limone e cola inonda le fauci di una effervescenza che dà un misto di piacere e fastidio a cui non puoi rinunciare.


PIP

Le storiche “caramelle del fumatore” risalgono addirittura agli anni ’40 e furono studiate per un target di consumatori, i fumatori appunto, con lo scopo di rinfrescare e ripulire l’alito dal sapore del tabacco.

FONDENTI

Un altro superclassico dell’infanzia; alla frutta assortita o alla menta, è zucchero fondente, morbido e avvolgente.

 

 

GINEVRINE / GINEVRONI

Gocce di zucchero duro, immortale ricordo di bimbo, dentro a quei giganti vasi di vetro, nello scaffale dietro al bancone del droghiere, che le vedevi subito, un arcobaleno di coriandoli dolci.

 


GOLIA / SAILA / TIC TAC / TABU / MENTAL

Ex equo, confettini magicamente freschi da buttarsi in bocca in ogni momento dentro in graziose scatoline.

 






ZIGULI’ E VALDA

Ex equo, erano quelle della farmacia, non te le compravano sempre, costavano di più di quelle che vendeva il tabaccaio, ma erano più buone.




SANAGOLA

Nello storico stick, le trovavi alla, frutta, alla liquirizia e alla menta, quadretti gommosi duri come il muro, durava un sacco in bocca.



AMBROSOLI / RABABARO / ORZO

Sono esattamente come la madeleine di Proust.




LEONE

Dette anche le dissetanti, piccoli quadratini di gesso di tutti i colori e di tutti i sapori.



HARIBO

I gommosi per eccellenza che se ne apri un sacchetto lo mangi tutto.



STRINGHE E ROTELLE

La liquirizia dell’oratorio e del cinema.

 

MOROSITAS

La liquirizia gommosa più erotica della storia.

 


DUFOUR

Le miste per eccellenza, dure, gommose e di tutti i gusti.

 


MENTA E ANICE

Rettangolari e dure come un mattone, le ciucciavi per ore.


Ce ne sarebbero tante altre, le varie balsamiche, col ripieno di frutta, latte e menta ecc., la lista è infinita ma quelle sopra più di altre, sbloccano ricordi fantastici e chi, quando le vede in qualche scaffale, non le compra?

Esposte in qualsiasi negozio sprigionano ancora la stessa magia.


Giovanna Anversa

 

24 febbraio 2025

JOEL MEYEROWITZ, "A Sense of Wonder" in mostra a Brescia

 JOEL MEYEROWITZ

A Sense of Wonder

Fotografie 1962-2022

 

Brescia, Museo di Santa Giulia

dal 25 marzo  al 24 agosto 2025



L’esposizione, a cura di Denis Curti e realizzata in collaborazione con il Joel Meyerowitz Photography Archive di New York, ripercorre attraverso oltre 90 opere l’intera carriera del fotografo americano, dagli anni Sessanta del secolo scorso ai nostri giorni.

Per la prima volta in Italia, saranno presentati gli autoscatti realizzati durante il periodo del lockdown del 2020.

 


A Joel Meyerowitz (New York, 1938), uno dei protagonisti della scena fotografica contemporanea, Brescia dedica un’ampia retrospettiva – la prima vera antologica mai organizzata in Italia – in grado di ripercorrere l’intera sua carriera, lungo sei decenni di attività, dagli anni Sessanta del secolo scorso ai nostri giorni.
 

 


La mostra dal titolo JOEL MEYEROWITZ. A Sense of Wonder. Fotografie 1962-2022, in programma al Museo di Santa Giulia a Brescia dal 25 marzo al 24 agosto 2025, a cura di Denis Curti, è promossa dalla Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Joel Meyerowitz Photography Archive di New York. L’iniziativa è l’appuntamento più atteso dell’VIII edizione del Brescia Photo Festival, promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana.

 

La rassegna presenta oltre 90 immagini organizzate per capitoli tematici e propone molte delle fotografie che hanno contribuito a ridefinire il concetto di Street photography, all’interno del quale Joel Meyerowitz fa il suo ingresso introducendo l’uso del colore per interpretare e cogliere appieno la complessità del mondo moderno.
 

A cominciare dagli anni Sessanta, Meyerowitz emerge come uno tra i giovani fotografi d’avanguardia più interessanti di New York. La sua ricerca corre in parallelo con quella di altri grandi autori quali Robert Frank, Gerry Winogrand, Diane Arbus. L’arte di Meyerowitz si distingue per una peculiare capacità d’immedesimazione e d’immersione totale in ciò che il suo occhio vede e il suo obiettivo traduce in immagine.
 

La cifra più caratteristica della sua fotografia si può definire con il termine inglese intimacy, ovvero l’abilità di avvicinarsi il più possibile alla scena per cercare di catturare l’intimità del momento, per accogliere e riconoscere l’inaspettato. Esemplari a tal proposito sono quelle realizzate negli Stati Uniti, durante la guerra del Vietnam, che offrono un punto di vista originale della società americana del periodo, contribuendo a riflettere sull’identità del paese in un momento di profonda crisi, usando l’immagine per interrogarsi sul rapporto tra individuo e società, tra guerra e pace.


 



Non mancano poi le fotografie degli anni Ottanta in cui Meyerowitz allontana progressivamente il suo sguardo dalla strada in favore della natura – come quelle scattate a Cape Cod, sulla costa atlantica del Massachusetts, che si distinguono per il respiro ampio e per la contemplazione meditativa dei luoghi – o le sue Still life, dal forte potere evocativo, o ancora le immagini scattate da Meyerowitz, unico fotografo autorizzato a documentare il distretto del World Trade Center di New York, nei giorni successivi agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.


 

Un focus è dedicato ai 365 autoscatti, mai proposti in Italia, che Meyerowitz si fece, giorno per giorno, durante il lockdown del 2020.

 


Anche in queste opere più recenti, Joel Meyerowitz ricorda quanto la fotografia possa essere un mezzo di riflessione sul vissuto del singolo e della collettività, un dispositivo per riscoprire il presente in ogni suo aspetto.

a cura di Stefano Superchi

 

 

 

 

 








20 febbraio 2025

Robert Altman, il sovversivo intransigente

Il sovversivo intransigente



Oggi avrebbe compiuto 100 anni il regista Robert Altman



 

Il 20 febbraio 1925, esattamente cent’anni fa, nasceva a Kansas City (nel Missouri), uno degli autori più originali della storia di Hollywood, un autore alla continua ricerca della realtà e della verità, in grado di influenzare più di una generazione di registi per la sua libertà espressiva. Scomparso nel 2006, Robert Altman ha tracciato un solco nella storia del cinema per il suo stile intransigente e per il suo carattere sovversivo, fra lampi satirici e impegno politico, senza che ne risentissero la ricerca stilistica e la bellezza estetica di molti suoi film.
 


Nella sua lunga carriera Altman non si è mai piegato alle convenzioni di Hollywood, da perfetto iconoclasta ha portato avanti la sua ricerca stilistica con coerenza, sperimentando dal punto di vista sia narrativo che tecnico. Spostandosi tra i generi, all’inizio degli anni Settanta ha realizzato una serie di film, da “M*A*S*H*” (1970) a “Nashville” (1975), atti d’accusa feroci e senza filtri all’America di quel Richard Nixon che avrebbe poi riabilitato sedici anni dopo in “Secret Honor” (1984).

 


Nel mezzo non si è fossilizzato, girovagando fra i generi, dal western (“I compari”) al melodramma (“Images”), dal noir anni Quaranta (“Il lungo addio”) al poliziesco nei tempi della Grande depressione (“Gang”).

 


L’originalità del cinema di Altman è legata a doppio filo al suo percorso. A differenza di molti colleghi, non aveva frequentato scuole di cinema di nuova concezione, ma veniva da una lunga carriera nei film industriali e in televisione. Altman si è accostato a giovani registi come Francis Ford Coppola, Peter Bogdanovich e Martin Scorsese, divenendo un punto di riferimento per l’incompatibilità con il cinema mainstream e con il sistema che lo sosteneva. Un’insofferenza che gli è costata lo strappo con quell’industria cinematografica dopata di effetti speciali e film commoventi.

 


Ma è proprio questo amore per il rischio a rendere unico il lascito di Altman. Il già citato “M*A*S*H*” era stato rifiutato da Kubrick, Pollack, Lumet, Hill e Kelly. E non è un caso che, nonostante le lampanti differenze fra una pellicola e l’altra, abbia sempre considerato le sue opere come capitoli dello stesso libro. I suoi film sono riconoscibili per le caratteristiche che sono diventate un marchio di fabbrica, i tanti personaggi, le diverse trame, la narrativa tranquilla ma anche il gusto di non rifugiarsi nel “politically correct” e di metterci quella irriverenza che serve. Dal punto di vista tecnico Altman è ricordato invece per il suo uso pionieristico del suono e per l’utilizzo innovativo dello zoom.

 


Del botteghino, così importante per alcuni suoi colleghi, a lui è sempre fregato poco, era l’ultimo dei suoi problemi. Intervistato da Ron Mann per un documentario a lui dedicato, si era espresso così: «Ho semplicemente continuato a fare la stessa cosa. Ogni tanto quello che faccio incontra il gusto del pubblico e diventa un grande successo. Poi torno a essere un fallimento, un “quello lì che ha fatto” e poi incrocio di nuovo il gusto del pubblico. Ma io vado sempre dritto. Dalla mia prospettiva, procedo in linea retta».

Senza mai scendere a compromessi.


 Stefano Superchi

 


Vita e opere (fonte: Treccani)

Dapprima autore e sceneggiatore di testi radiofonici, esordì nella regia con i documentari The delinquents (1955) e The James Dean Story (1957).

Talento tra i più poliedrici, sembra avere però alcuni interessi costanti: da un lato la rivisitazione di generi cinematografici: Countdown (1968), That cold day in the park (1968), Mc Cabe and Mrs. Miller (I due compari, 1971), Thieves like us (Gang, 1973); dall'altro un'attenzione, lucida e ironica, per alcuni aspetti della società americana: così in M.A.S.H. (1970), Images (1972), California Split (California poker, 1974), Three women (1977), A wedding (1978), Quintet (1978), A perfect couple (1979).

 

La capacità di descrizione si unisce al gusto intellettuale dell'allusione o della metafora fantasiosa (Brewster McCloud, Anche gli uccelli uccidono, 1971) e porta Altman a cimentarsi con classici di genere (The Long Goodbye, 1973, dal romanzo di Raymond Chandler). Queste doti sembrano convergere nel suo capolavoro Nashville (1975).

Ha diretto ancora: Streamers (Mancata apertura, 1983); The deviners, 1983; Fool for love, 1986; The player, 1992. Nel 1993 ha diretto Short cuts (America oggi, 1993), tratto dai racconti di Raymond Carver, una sorta di Nashville anni Novanta.

Anche i successivi Prêt-à-porter (1994), Cookie's fortune (1999), Dr. T and the women (2000) sono basati sull'assenza di un personaggio protagonista, su un tono dissacratore e volutamente sgradevole, su un divertito cinismo e su un'analisi impietosa dei rapporti di coppia.

 


Da ricordare, ancora, Kansas city (1996), omaggio alla musica jazz, e The gingerbread man (Conflitto di interessi, 1997), film giudiziario tratto da un romanzo di John Grisham. Nel 2006 ha diretto il film A prairie home companion (Radio America), che ha segnato un ritorno ai temi e alle atmosfere tipiche di Nashville. Ha ricevuto tre importanti premi alla carriera: il Leone d'oro a Venezia nel 1996, l'Orso d'oro a Berlino nel 2002 e l'Oscar nel 2006.

 

18 febbraio 2025

Mario Benvenuti e l'arte della fotografia: tra camera oscura e nuove tecnologie


 Mario Benvenuti e l'arte della fotografia: un talento tra camera oscura e nuove tecnologie

 


 Attratto dalla magia della macchina fotografica fin da bambino, quella di Mario Benvenuti per la fotografia è passione pura, oltre che talento, non certo semplice hobby.
 



Ricevuta a sette anni la sua prima macchina fotografica, una Kodak, ne rimane conquistato. Ovviamente, come accade a quell’età, fu vissuta come un gioco, tutto era fotografabile, il rullino durava pochissimo e c’era quella splendida emozione data dall’attesa e dal momento in cui andava a ritirarle dal fotografo e, togliendole dalla busta, se le guardava ancora prima di uscire dal negozio.
 



Allora servivano alcuni giorni prima che venissero sviluppate e questo rendeva il momento elettrizzante. Impara presto Mario a capire e ad usare i meccanismi della scatola magica monoculare ma l’adolescenza, con le sue priorità, mette in standby la passione per qualche anno e gli scatti diventano sporadici, in occasioni di vacanze e feste con gli amici.

 


 

La passione riesplode, questa volta in maniera violenta, dopo i vent’anni, in special modo alla nascita della figlia Debora. La smania di fotografare e di immortalare le fasi della sua crescita rende necessaria una attrezzatura adeguata: compera una Reflex Nikon, brand a cui rimarrà fedele fino all’arrivo del digitale, corredata di obiettivi, cavalletto, borsa e tutto il necessario.

 



 

Foto dopo foto, il range dei soggetti si allarga ed oltre alla figlia gli scatti catturano anche paesaggi.
 



Famosissime a tal proposito le foto al grande fiume ritratto nelle quattro stagioni, il ritratto ambientato, lavoro visionabile anche nel libro “Arti e Mestieri” pubblicato nel 1999, e soprattutto la fotografia di strada che ancora oggi è l’ambientazione che predilige, di cui riesce a fermare momenti unici; grazie a questo tema nel 2013 vince il primo premio al concorso indetto dal Sole 24 Ore e la foto premiata entra nella Top Selection di Street Photography in the World, certo cosa non da poco.
 


Come ogni talentuoso, per costruire la propria identità artistica e riconoscersi in uno stile proprio, ha sperimentato varie tecniche: dapprima il colore, poi la diapositiva, che lo ha impegnato per alcuni anni, approdando infine al bianco e nero con sviluppo e stampa home made in camera oscura. È qui che la pulsione artistica di Mario trova la sua ragione, la sua pienezza, il suo spazio, non si contano le ore passate nella camera oscura dove il tempo scorreva senza essere quantificabile.
 


 

Ma come tutte le cose l’era dello sviluppo del rullino, del negativo, della stampa su carta finisce e Il passaggio al digitale non è facile per Mario, ormai così in simbiosi con sua la camera oscura, un angolo intimo che gli manca ancora molto.

 



Il digitale ha cambiato la fotografia sotterrando tutte le tecniche e i percorsi precedenti di questa straordinaria forma d’arte, ma la rinuncia a fotografare per lui non era nemmeno da considerare.
 

 



Anche se a fatica, si adegua e si immerge nel mondo digitale: passa da Nikon a Fuji, si dota del corredo informatico necessario e soprattutto di una stampante perché, ok lo scatto con macchina digitale, ma la fotografia per lui rimane quella stampata su carta e al colore continua a prediligere il bianco e nero.
 

 



Per lui fotografare è un modo di vivere, tanto è vero che ha fatto sue le parole del grande fotografo americano Ansel Adams: “non fai solo una fotografia con una macchina fotografica. Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito, e le persone che hai amato”.
 


Ci si potrebbe chiedere come mai di questa passione, corredata da un talento naturale, non ne abbia mai fatto una professione. La risposta credo sia semplice: le foto di Mario Benvenuti sono davvero stupende, sono opera dell’anima di un artista, non di un semplice appassionato.
 


 

E sappiamo bene che l’artista vero produce su istinto, segue l’ispirazione, non calcola e fatica parecchio a costringere il suo talento dentro a recinzioni e regole commerciali e soprattutto non sa eseguire a comando. 


Giovanna Anversa




Mario Benvenuti






Viaggio nel Sahara, l'abbraccio infinito. Ricordando Francesca.

 Viaggio nel Sahara, l'abbraccio infinito. Ricordando Francesca.   Dopo essere arrivati ad Algeri facciamo un breve giro della città, un...