Diamanti
18 sfaccettature di una donna
“Creare può fare molto male, ti scortica l'anima. Ma la bellezza di una poesia che celebra i sentimenti o di un dipinto che ritrae l'estasi di un desiderio, ripaga di ogni sofferenza: nulla è paragonabile a un'opera d'arte e alla gioia che ti dà quando la ricevi in dono.”
Ferzan Ozpetek
Non voglio fare la lista della spesa elencando tutti coloro che hanno reso possibile "Diamanti", l'ultimo film di Ferzan Ozpetek di cui tanto si sta parlando, che da dietro le quinte hanno contribuito alla riuscita del film. Non voglio nemmeno fare biografie delle grandissime attrici e dei grandi attori che vi hanno recitato.
Diamanti, a mio avviso, oltre che un inno alle donne, è un inno a ciò che nel mondo c'è di femminile e quanto il femminile influenza lo scorrere della vita. Trovo riduttivo dire che è solo un omaggio alle donne, ci vedo una rappresentazione più alta che è quella dell'empatia, della coesione e della forza che si sprigiona quando si capisce che da soli si può combattere ma che insieme si può vincere.
Ma Diamanti è anche un'analisi socio-antropologica, è un'analisi delle relazioni e della difficoltà di tenere in piedi le relazioni, è un'analisi dei meccanismi del branco, siano essi femminili o maschili: questo film dimostra che il branco o la coesione sono un'arma che non ha genere, non ha sesso, vedi la scena dove due imberbi giovani vengono messi a disagio e obbligati a cantare da una schiera di impietose femmine. Se vogliamo vederci una distinzione maschio/femmina a tutti i costi, in questa scena Ferzan evidenzia che, le donne, anche quando prevalgono, alla fine soccombono alla "umana pietas" e tornano ad essere avvolgenti e rassicuranti.
Le protagoniste sono sicuramente la rappresentazione della donna: ognuna di loro esprime una delle tante sfaccettature che stanno in una donna, ognuna se ne prende un pezzo e ce lo restituisce così vero che non si può non identificarvisi. Le protagoniste si muovono all'interno di una sartoria di Roma che confeziona costumi per il teatro e il cinema, siamo negli anni settanta. Tutte indistintamente, dalle due sorelle, titolari della sartoria, alle dipendenti, indossano una maschera dietro la quale celano con tutte le forze, snervandosi all'inverosimile, una vita fatta di preoccupazioni, problemi e in alcuni casi di grandi dolori.
La maschera serve, non solo e non necessariamente, a fingere di essere qualcosa che non si è o a fingere che vada tutto bene, serve a sopravvivere, è l'armatura per proteggersi dalle enormi battaglie quotidiane. Poi accade la magia: la maschera, molto più debole dell'anima, e ancor più di tante anime insieme, cade, si sgretola e ogni fragilità, ogni paura, ogni dolore diventa forza e le anime che vi stavano dietro, un esercito vincente.
Più che la sorellanza femminile sono "la stessa barca, il mal comune e il mezzo gaudio" che muovono la sensibilità e l'empatia da tempo represse e schiacciate dai problemi. Ed ecco che da sarte diventano epiche eroine pronte a battersi per la loro autodeterminazione, per la libertà di mostrarsi fragili, per abbattere discriminazioni e pregiudizi, per uscire da ruoli pensati per loro da altri e sgretolare atavici codici di comportamento e leggi morali, scoprendo che farlo insieme è meno dura.
Tanti critici e tante opinioni rilevano che la figura maschile ne esce inutile e ridicola ma non è così, semplicemente vengono capovolte le situazioni il branco in questo caso è femminile semplicemente perché il maschio è numericamente inferiore. Questo ci dimostra che, oltre ad un substrato culturale, nella sopraffazione c'è qualcosa di più animale, più rustico e più istintivo e selvaggio che ha come base la legge del più forte.
Un'altra genialità del grandissimo Ferzan Ozpetek, che in questo film pare cambiare registro (ma chi lo ama lo riconosce), è data dai due piani di narrazione: lui stesso che raduna le attrici a cui vuole assegnare i ruoli del suo nuovo film e alle quali spiega l'idea e la storia narrata che ogni tanto viene interrotta dalla riunione, che come sempre si svolge attorno a un tavolo, in cui le attrici danno la loro disponibilità, altro elemento importante per assegnare i ruoli.
Come ho detto all'inizio non voglio perdermi nell'elencare le attrici e il loro talento o chi è stato dietro la macchina, ma una cosa la voglio sottolineare: in tutti i film di Ozpetek c'è un personaggio che non è mai quello principale, che tiene legata la storia; in Diamanti questo personaggio è Mara Venier che interpreta meravigliosamente Silvana, la domestica, colei che riordina, cucina, raccoglie e accoglie le confessioni e le confidenze di tutte, cerca come può, di aiutare dando supporto e consigli.
Mara è sorprendentemente bravissima, solo Ozpetek poteva convincerla a mostrarsi senza trucco, con le sue rughe e il decolté stropicciato, nelle sue rotondità, nella sua età. Mi ripeterei se dicessi che il cast è stellare, l'hanno detto tutti, ma io credo che ancor più stellare sia la regia, una regia sensibile, consapevole, artisticamente fine e raffinata, capace di una estetica forte nelle immagini, nei primi piani, nei colori, nella musica, che altrettanto forte arrivano e fanno a pezzi le nostre corazze più dure.
Diamanti è una bomba che esplode lenta e corrode come la goccia instancabile che scende dal rubinetto, Diamanti è un dolore e ogni diamante è una o uno di noi nei suoi momenti di lotta e di resilienza. Ferzan regala alle donne uno specchio vero e reale in cui riconoscersi, è una spinta alla positività, alla reazione, alla realizzazione, un invito a vivere i sentimenti, a lottare per le ingiustizie è la rappresentazione poetica del bello e del bene.
Ci sono due grandi occhi neri di bambino in questo film, un bambino nato da mille donne che ne porta il profumo e il cuore, un bambino che da loro ha compreso il mondo.
Giovanna Anversa
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