SEZIONI

23 dicembre 2024

Litfiba: 17 Re e le vedove inconsolabili della Trilogia

 Litfiba: 17 Re e le vedove inconsolabili della Trilogia

 


 Nel dicembre 1986, quando “17 Re” arriva nei negozi di dischi, i Litfiba non sono già più una cult band per pochi eletti. Non sono certo famosissimi, in quel periodo la testa delle classifiche se la giocano Europe, Duran Duran e Spandau Ballet, ma si sono comunque consolidati una robusta base di adepti nel circuito alternativo.
Nati nel 1980, hanno già vinto qualche festival rock italiano, hanno inciso il 45 giri Luna / La Preda con la Fonit Cetra (1982) e composto la colonna sonora teatrale per l’Eneide messa in scena dalla compagnia fiorentina Krypton. Si sono già fatti conoscere in tour per l’Italia e anche all’estero, soprattutto in Francia con la quale c’è un certo feeling.
Nel 1985 attirano l’attenzione degli addetti ai lavori con il primo album “Desaparecido”, che sarà proclamato “Disco dell’anno” dai lettori di Rockerilla.

 

Provengono da quel pentolone fiorentino dei primi ‘80 che ribolle di punk rock e new wave dal quale usciranno anche bands come Diaframma, Neon e Moda in un momento speciale e favorevole a incontri artistici e creativi. Vicino a Ponte Vecchio, in una grande cantina affittata in via De’ Bardi, il chitarrista Ghigo Renzulli aveva approntato una sala prove aperta, dove nascevano jam session improvvisate e dove nasce la storia dei Litfiba.
Renzulli, in uscita dai Cafè Caracas dove suonava con Raf, incontra il bassista Gianni Maroccolo, il vero Re Mida del rock italiano, ed intorno ai due si aggregheranno poi i futuri membri della band.



Le esperienze e le preferenze musicali dei due sono differenti, ma ciò non ostacola il progetto, anzi, le fonde arricchendolo. Renzulli predilige il classic rock, mentre il più giovane Maroccolo ama prog e new wave. Ognuno dei nuovi arrivati porta nel gruppo il proprio stile, il tastierista Antonio Aiazzi ha un’impostazione classica, mentre il cantante Piero Pelù, ultimo arrivato, è stregato dal punk. All’inizio si alternano diversi batteristi, ma dal 1983 il ruolo è affidato al talentuoso Ringo De Palma.
 


Il gruppo trova presto la strada e il suo stile, che parte dalla new wave ma si contagia con il rock e dei testi visionari in italiano. I primi concerti non passano inosservati, per la chimica che unisce i componenti del gruppo e per la presenza magnetica del frontman Piero Pelù che domina il palco con la sua voce e con le sue movenze da sciamano carismatico.
Ma se Pelù appaga l’occhio e attira l’attenzione, è l’amalgama del gruppo che fila come un treno a convincere il pubblico.
Come racconta Ghigo Renzulli nell’autobiografia dei Litfiba ”Utilizzavamo un sistema molto democratico di lavoro: si cominciava a suonare e ognuno faceva un po’ quel cazzo che gli pareva e piaceva finché, improvvisando, non si arrivava a qualcosa di interessante. A quel punto ci si fermava e si cominciava a sviluppare tutti insieme quell’idea. Il trio compositivo strumentale era normalmente formato da Antonio, Gianni e me, su cui Piero cantava in perfetta autonomia costruendoci sopra le sue melodie vocali e le sue liriche.”



Desaparecido è il primo tassello della band che ha già personalità da vendere e sa accoppiare sapientemente new wave e melodia, ma è solo il punto di partenza: il gruppo è consapevole dei propri mezzi ma sa che può ancora progredire.
Nel 1986 arriva “17 Re”, il punto più alto dello zenit dei Litfiba, un disco dove ogni cosa è al posto giusto e il livello di ispirazione è altissimo.
Ricorda Gianni Maroccolo, intervistato da Federico Guglielmi: 17 Re è stato la massima espressione libera dei Litfiba, nel senso che tutti e cinque siamo riusciti a inserirci ciò che volevamo: per noi questa cosa, che non è mai successa né prima né dopo, era il vero punto di forza del disco”.

 


Il risultato è un disco maestoso, sedici brani che fotografano l'entità dei Litfiba di allora.

Apre l’album la folgorante “Resta”, dedicata alla tragedia nucleare di Černobyl, tre minuti densi con i quali la band fiorentina sembra aprirsi a una nuova vita, pronta a scavalcare le atmosfere di Desaparecido e collocarsi in uno spazio più ampio e aperto a influenze diverse, senza snaturare il proprio percorso.



La trama ondulata del basso su cui si basa la successiva “Re del silenzio” si muove proprio in questa direzione, avvicinandosi al sound delle origini ma con le armonie di un rock dal respiro europeo.



È un attacco che mette subito in chiaro che, pur in continuità con il percorso della band, 17 Re è un disco che rompe con il passato, compiendo un salto in avanti. Sei anni di esperienza insieme, concerti e alchimie, consentono ai Litfiba di poter osare senza più il rischio di venire travisati, di sperimentare e permettersi sconfinamenti in territori inesplorati, giocando con la musica, i suoni, le melodie. Sperimentazioni che si sentono tutte in “Café, Mexcal e Rosita”.


Nel pezzo successivo ,“Vendetta”, si sterza e si cambia ancora direzione, iniziando con i lampi che covano sotto la cenere, passando per un ritornello ipnotico e un finale esplosivo con un assolo di chitarra infinito.


“Pierrot e la luna”, ispirata al Pierrot Lunaire di Arnold Schönberg e all’opera di Albert Giraud, è vera e propria poesia, che trasporta e coinvolge, grazie a un testo immaginifico e ad un’orchestrazione d'insieme intensa.


Se “Tango” è un pezzo dichiaratamente antimilitarista, tema sempre presente nella storia dei Litfiba, “Come un Dio” è un dipinto visionario e liberatorio che passa dal cupo alla luce in poche battute, scivolando verso la fine (“l’energia corre via / l’energia si trasformerà”).

 

“Febbre” percorre strade allucinate in continuo crescendo in un vortice dove si rimane storditi (“ferma la mia sete / bevi la mia febbre”).

Alle prime note di “Apapaia” si rimane rapiti dal pezzo che si può ben definire un inno generazionale, un classico irrinunciabile per ogni discepolo “indie” che si rispetti. Un salmo profondo e impegnativo, tecnicamente perfetto. Quando si arriva a questo punto del disco si ha la consapevolezza di avere in mano un album davvero imponente.



Toccato l’apice del disco, si comincia ad addentrarsi in territori sempre più audaci, come a marcare la potenza e le possibilità di un gruppo all’apice della creatività. Il girotondo ipnotico di “Univers” prende al cuore (stringi forte la mano con la mia / ti porterò lontano”) e ti porta nello spazio, poi si torna “Sulla terra”, facendo sentire ancora una volta forte e chiaro il messaggio pacifista, attraverso cui i Litfiba si confrontano con la musica d’autore di qualità. 


“Ballata” è l’ennesima perla luminosa prima che il disco prenda la direzione più cupa e dissonante di “Gira nel mio cerchio”, la ruvidezza corrosiva di “Cane” e le suggestioni orientaleggianti di “Oro nero” (“sono diviso in tre / Islam, Allah e Me”).
Il disco si chiude con le coraggiose innovazioni di “Ferito”, un manifesto delle potenzialità dei Litfiba.


 


66 minuti di musica dalle visioni teatrali, di tante cose diverse e complementari, l’apogeo creativo di un’esperienza unica.


Piero Pelù racconterà che “Il disco è stato un "legante". Non è un caso che si ponga tra Desaparecido, l’album più new wave, dal punto di vista artistico e musicale, e Litfiba 3, la porta che si è aperta verso i nostri anni '90 e verso la virata più rock. Dentro 17 Re c’è tutto: dalla psichedelica al punk, passando per la new wave, le canzoni più cantautorali e anche le ballate più melodiche […] davvero tanto stile, soprattutto del periodo artistico che stavamo vivendo. Dal 1983 avevamo cominciato a girare in tour in Francia. Il fatto di suonare all’estero è stato davvero un valore aggiunto, avevamo la fortuna di partecipare ai festival, soprattutto in quelli dove ci potevamo confrontare con musicisti provenienti da tutta Europa e dal mondo. Questo significa che tutte queste influenze sono confluite per la prima volta in un nostro album che abbiamo composto, tra l’altro, in un periodo relativamente molto breve. Componemmo la bellezza di molto di più di quelle canzoni, 16, che poi finirono sulle quattro facciate del disco, ognuna con la propria ragione di esistere”.

 


Tra i pezzi esclusi dalla scaletta finale c’è proprio la title track, “17 Re”. Del brano parla Maroccolo: “abbiamo registrato a livello di "demo" due o tre versioni di 17 Re. Durante la composizione del disco, registravo i provini su un 8 tracce a nastro e ricordo bene che alla fine fermammo una versione niente male. Ma anche quella alla fine non convinceva tutti e quindi lasciammo perdere. A mio avviso, a risentirla, non era così poi malaccio, anzi, direi che era proprio bella”.

Il nucleo storico dei Litfiba durerà ancora fino alla fine degli anni Ottanta, quando incompatibilità artistiche porteranno all’uscita di Maroccolo e Aiazzi, anche se il tastierista continuerà a collaborare a lungo. Un epilogo segnato dalla prematura scomparsa di Ringo De Palma, da cui nasceranno dei Litfiba nuovi guidati dai soli Renzulli e Pelù, che ne modificheranno la fisionomia raccogliendo vasti consensi di un nuovo pubblico, ma perdendo per strada chi, come me, rimane legato imprendiscibilmente al periodo irripetibile della trilogia “Desaparecido” – “17 Re” – “Litfiba 3”.

Stefano Superchi







Nessun commento:

Posta un commento

Litfiba: 17 Re e le vedove inconsolabili della Trilogia

 Litfiba: 17 Re e le vedove inconsolabili della Trilogia    Nel dicembre 1986 , quando “17 Re” arriva nei negozi di dischi, i Litfiba non...