Kraftwerk, "Autobahn"
L'autostrada verso il futuro
Anno domini 1974, nella Germania che organizza e vince i Mondiali di calcio contro l’Olanda più bella di sempre, brulicano (già da qualche anno) fermenti di musica elettronica, il terreno è pronto a far sbocciare i fiori algidi del kraut-rock. Non più musica elitaria per pochi eletti. Passando attraverso l'Autostrada dei Kraftwerk diventa "volkmusik", musica del popolo.
Ralf Hutter e Florian Schneider, i due fondatori (nel 1970) del gruppo di Dusseldorf, riescono in un'operazione che sembrava impossibile: amalgamare la black music con le atmosfere più rarefatte della musica bianca. Un'impresa proibitiva. Non per loro.
I Kraftwerk erano avanguardia, nel vero senso del termine ("stare avanti"), e non nella sua snobistica accezione di "musica di difficile ascolto". Dagli esordi fino all'approdo al pop sintetico, i due di Dusseldorf sono rimasti alla testa del gruppo, pedalatori infaticabili alla ricerca di nuove alchimie sonore. Androidi del rock, metà uomini-metà macchine, Ralf e Florian hanno percorso una loro personalissima "autobahn", spinti dalle pulsioni sperimentali di scuola teutonica (Stockhausen, la "kosmische musik") e proiettati verso qualcosa che ancora non c'era (la new wave, il synth-pop, l'hip-hop, la dance, la house, la trance, la techno).
Nel 1970, conclusi gli studi classici, i due giovani allievi di Stockhausen dirigono già una formazione chiamata Organisation, con tre percussionisti. "Tone Float" è l'unica opera pubblicata. Ralf e Florian allora decidono di puntare tutto sulla costruzione del Kling Klang Studio, capannone dedicato a installazioni grafiche e musica elettronica che, partendo da vecchi registratori e drum machine, diventa in breve tempo il motore del progetto Kraftwerk.
L'ingresso del Kling Klang Studio |
I primi due album ("1" e "2") prendono la scia della nascente scuola tedesca dei Tangerine Dream gettando le basi per la futura nascita della musica "industrial". "Ralf & Florian" del 1973, invece, è un lavoro di transizione, propedeutico all’arrivo del sound-Kraftwerk che è "Autobahn".
Arricchito dall'introduzione del Moog, "Autobahn" è un capolavoro senza pari nella storia del rock elettronico. Rumore e melodia, sperimentazione e pop, danze ancestrali e ritmi "concreti", umanesimo e cibernetica, tecnologia e arte. L'album è una sinfonia per motori che rombano in un'armonia ipnotica.
"Düsseldorf, la città in cui viviamo, è il centro della più grande zona industriale tedesca - raccontavano i due -. La nostra musica è quella della realtà urbana, con i ritmi e i suoni che producono le fabbriche, i treni e le automobili. Lavoriamo in questo contesto e ne siamo influenzati, come degli operai della musica, per otto-dieci ore al giorno nel nostro studio di registrazione. Amiamo i computer e le macchine che noi stessi ci siamo costruiti, con esse abbiamo una relazione semi-erotica".
L'amplesso tra uomo e macchina, dunque, come approdo della Nuova Musica. Ma in "Autobahn" si riaffaccia “Metropolis” di Fritz Lang, le profezie di un futuro cibernetico che ritroveremo in artisti basilari dell'elettronica, i Devo, gli Ultravox e il Bowie berlinese. Palesi anche le tracce del minimalismo di Brian Eno, Philip Glass e Steve Reich.
Suoni omogenei, compatti e asettici, vengono filtrati e metabolizzati attraverso un uso dell'elettronica che mira a creare una nuova arte "totale"con un linguaggio universale.
"Davanti a noi si distende una vallata larga/ il sole brilla con raggi sfavillanti.../ la strada è un nastro grigio con strisce bianche e bordo verde/ ora accendiamo la radio/ dall'altoparlante escono i suoni".
Ma dietro l'apparente nonsense, si palesa un ottimismo, forse ingenuo, dei Kraftwerk. Una visione del futuro figlia di un passato in cui si pensava che sarebbero arrivati anni ordinati, con le città organizzate, ricche di spazi verdi e autostrade a otto corsie regolate dai microchip.
Gli altri pezzi del disco divagano tra astrazioni cosmiche che richiamano i Tangerine Dream e Vangelis e momenti di maggiore intensità ritmica. Paesaggi sonori ambientali, un reticolo di effetti elettronici ed echi da vecchi film horror. La passeggiata mattutina di "Morgenspaziergang" chiude l'album, tra cinguettii d'uccelli, ruscelli (tutto rigorosamente elettronico) e le melodie del flauto di Schneider.
Un disco di non facilissimo ascolto forse, non per tutti almeno, seppur meno “ostico” dei precedenti, che però influenzerà in modo significativo moltissimi artisti. David Bowie, per sua stessa ammissione, si ispirerà ad "Autobahn" ibridando rhythm and blues ed elettronica nel suo disco "Station to Station" del 1976. E senza i Kraftwerk nessuno si sarebbe azzardato a fare musica pop mediante campionamenti. Tanta musica degli Ottanta e dei Novanta (dagli Ultravox ai Chemical Brothers) forse non sarebbe mai nata. Anche il rap e la techno si approprieranno delle loro intuizioni.
Il progetto dei Kraftwerk è stato un continuo salto verso il futuro, qualunque direzione musicale abbiano deciso di seguire. Anche gli album pubblicati nella seconda metà del decennio ("Radioactivity", "Trans Europe Express", "The Man Machine"), infatti, faranno epoca. Negli anni 80 con "Computer World” ed "Electric Cafè" comincia la parabola discendente, ma il loro contributo alla storia della musica l'avevano già dato. Senza mai prendersi troppo sul serio, anzi, ironizzando sempre su se stessi; nel 1978 apparvero come ospiti a Domenica In, il programma pomeridiano di Rai Uno condotto da Corrado: volti pallidi, labbra e camicie rosse, cravatte nere, con dei manichini, identici a loro, seduti tra il pubblico.
In fondo non erano solo macchine e gelida elettronica, erano il volto umano dell'avanguardia.
Stefano Superchi