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24 novembre 2024

"Il popolo delle donne. Il film" di Yuri Ancarani

"Il popolo delle donne. Il film"

di Yuri Ancarani


Il 25 novembre, lo sapete, è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. È superfluo dire che non è sufficiente ricordarsi solo in questa data che il tema della violenza è una emergenza sociale, ormai strutturale. Su questo argomento è stato scritto tutto, anche se, visiti i risultati, non è mai abbastanza. I numeri sono molto chiari, per chi li vuole vedere e non ne vuole fare un uso di mera propaganda politica.
Noi, che proviamo ad occuparci di cultura, vogliamo vedere la questione attraverso gli occhiali dell’arte, che non sono lenti deformanti ma ci aiutano a riflettere in modo diverso su questo fenomeno che ormai sembra inarrestabile.
Lo facciamo parlando di “Il popolo delle donne. Il film” di Yuri Ancarani.

Yuri Ancarani, nato a Ravenna nel 1972 è un video artista e film-maker italiano. Le sue opere nascono da una continua commistione fra cinema documentario e arte contemporanea e sono il risultato di una ricerca spesso tesa ad esplorare regioni poco visibili del quotidiano, realtà in cui l’artista si addentra in prima persona.


Il film di Ancarani porta alla ribalta per la prima volta il rapporto fra la crescente affermazione sociale delle donne e l’aumento della violenza sessuale maschile, fenomeni che nel corso del film vengono descritti come direttamente proporzionali.

Quanto più il mondo delle donne viene alla ribalta, tanto più si acuisce la violenza insofferente di una parte del mondo maschile. Un fenomeno opposto a quanto generalmente si supponeva anche in ambito scientifico.

Protagonista del documentario è la psicoterapeuta e psicoanalista Marina Valcarenghi, professionista che vanta quarantacinque anni di lavoro clinico. La Valcarenghi nel film sottolinea come l’insicurezza femminile sopravviva anche ai nostri giorni, nonostante la progressiva conquista di autonomia economica e sociale. Su questo argomento la psicoterapeuta ha scritto due volumi: Ho paura di me. Il comportamento sessuale violento (Mondadori 2009) e L'Insicurezza (Mondadori 2005), basandosi su un lavoro di anni che l'ha portata, per prima, ad introdurre la psicoanalisi in carcere, nei penitenziari di Opera e di Bollate, lavorando per più di un decennio nei reparti di isolamento maschile con detenuti in gran parte condannati per reati di violenza sessuale. 

 


L'incontro tra il regista e la Valcarenghi, che ha dato corpo e forma alla stesura de Il popolo delle donne, è avvenuto nel corso delle riprese per la realizzazione di Atlantide, documentario che Ancarani nel 2021 ha dedicato agli adolescenti del territorio veneziano e che ha richiesto, anch'esso, il supporto di professionisti della psicanalisi.

Ne "Il popolo delle donne. Il film", Marina Valcarenghi tiene una lectio magistralis in un cortile della Università degli Studi di Milano, documentata in presa diretta. La protagonista siede in cattedra, appare calma, la sua immagine è raccolta da tre angolazioni differenti e progressivamente l’obiettivo passa dal mezzo busto al suo sguardo. Gli unici elementi che entrano nella composizione sono i fogli di carta con gli appunti, una bottiglia e un orologio da polso. In alcuni momenti, l’inquadratura si apre accogliendo anche agli studenti che circondano la protagonista in un vero e proprio incontro generazionale.


La voce di Marina Valcarenghi, con le pause del suo discorso, scandisce il ritmo del film. Il sonoro include i suoni di un campanile, i rumori di sottofondo dell’università e alcuni brani acustici che aprono e chiudono la narrazione. Le parole della psicanalista ripercorrono stralci di testimonianze di uomini violenti, raccolte nei tribunali, nel corso di colloqui in carcere o durante le sedute presso il suo studio. Riflessioni sulle dinamiche relazionali degli ultimi trent’anni della storia italiana si mescolano a ricordi legati al lavoro di analisi, facendo emergere le paure della società legate alla dicotomia tra donna e uomo e lo sfociare di violenze private, fisiche e verbali.

 


Il titolo del film deriva da alcuni passaggi del monologo della protagonista e rappresenta un pensiero rivoluzionario che auspica un giorno le donne possano sentirsi parte di un’unica grande comunità, accomunata da istanze condivise e da battaglie da intraprendere in una dimensione collettiva.

Stefano Superchi 

 

 

 

 






 

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