La nuova vita di LIFE
che torna in edicola (e in rete)
È stato per anni il simbolo del giornalismo fotografico. Carta pregiata e grafica raffinata, ogni istantanea un personaggio con la sua storia. Una realtà non edulcorata, ma rappresentata con classe da immagini che parlavano da sole, raccontando più delle parole. Tra gli altri, fotografi come Robert Capa, Henri Cartier-Bresson e Robert Doisneau. Un modello esclusivo, praticamente un prototipo, il primo vero rotocalco globale che presto avrebbe suscitato ovunque tentativi di imitazione. Negli anni d’oro arrivò a vendere oltre cinque milioni di copie. Parliamo di “Life”, il magazine americano per eccellenza, che vide la luce nel 1936 e fu chiuso nel 2007.
Probabilmente, è questa la notizia, tornerà presto nelle edicole, per debuttare finalmente anche in Rete.
Sfogliarndo il suo prezioso archivio figurativo, ora accessibile in Internet (qui il link per accedere), ci possiamo immergere nel Novecento. Lo sbarco in Normandia, la Guerra Fredda, Kennedy, Marilyn, l’uomo sulla Luna, le rivolte dei neri, il Vietnam.
Life significa vita: l’esistenza umana, lieta o dolorosa, ripresa dal teleobiettivo di una America classica, ancora impregnata di identità anglosassone, tra John Wayne e Cadillac sproporzionate. Una finestra sul cortile del mondo.
Life, molto imitata ma mai raggiunta. In Italia la rivista che più si è avvicinata al “modello Life” è stata “Epoca”, per eleganza, veste e qualità di contenuti. Il ritorno di “Life” non potrà certo ridursi ad una nostalgica operazione di nicchia, visto l’impegno economico e la forza dei nuovi editori (Bedford Media e Dotdash Meredith). La duplice diffusione cartacea e digitale piuttosto conferma un certo generale distacco dal monopolio web, non solo nell’editoria, non proprio una completa controrivoluzione, ma una distanza dai comodi automatismi dell’informatica (e-book, audiolibri).
Si vuole riaffermare il profumo della carta e la tenace vitalità di un mondo in sofferenza, quello delle edicole, delle librerie e delle biblioteche. La coraggiosa scommessa della rinata “Life” punta anche su questa idea di temps retrouvé o (aggiornato) ritorno alle origini. Una linea di tendenza che si sta diffondendo in vari settori, un fenomeno sentimentale che, giocoforza, diventa anche commerciale.
In campo musicale è in atto un ritorno alle vecchie audiocassette e al disco in vinile (Lp e 45 giri), di cui si torna ad apprezzare il timbro caldo e pastoso, rispetto a certi riverberi un po’ metallici del Cd. La stessa cosa si può dire della fotografia, con la Leica che ha ripreso la grande produzione di macchine a rullino. C’è voglia di affrancarsi dallo smartphone, fonte di alienazioni, dipendenze e cortocircuiti mentali.
Ci sono ora filosofi, sociologi e tuttologi che, fiutando l’onda, editano manuali di “phone detox”, che dovrebbero salvarci dall’eccesso di dopamina da cellulare o che teorizzano un futuro da “collegati senza legami” isolati nel vuoto emotivo del digitale.
Fuga dall’informatica? Neoumanesimo post tecnologico? Se il problema è l’horror vacui da web per assenza di corpi concreti, proverà a salvarci la nuova “Life”, la vita nuova, con i suoi corposi fascicoli di carta patinata.
Stefano Superchi
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