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26 ottobre 2024

Dal 31 ottobre al cinema "Berlinguer - La grande ambizione" di Andrea Segre

 Dal 31 ottobre al cinema

Berlinguer - La grande ambizione

di Andrea Segre


 Esce il 31 ottobre al cinema “Berlinguer. La grande ambizione”, del regista Andrea Segre, che perlustra con profondità e delicatezza la figura di Enrico Berlinguer, leader del Partito Comunista Italiano negli anni Settanta, il più importante partito comunista occidentale con quasi due milioni di iscritti e più di 12 milioni di elettori.
 


La pellicola tratteggia il ritratto privato e pubblico del suo segretario carismatico. Da una parte c’è il Berlinguer uomo (interpretato da Elio Germano), padre di famiglia e marito; dall’altra il Berlinguer politico, impegnato nella difficile battaglia per realizzare un moderno socialismo in un’Italia divisa e ideologicamente incagliata nel passato.

 


Due mondi, quello intimo e quello collettivo, indissolubilmente legati fra loro, che dissolvono l’uno nell’altro così come visivamente succede alle toccanti immagini di repertorio documentaristico con quelle di finzione, con la fotografia straordinaria di Benoît Dervaux. La musica alchimistica del cantautore Iosonouncane si fonde nelle scene in modo naturale e consequenziale.
 


È il 1973, Enrico Berlinguer è a Sofia e sopravvive a un attentato dei servizi segreti bulgari. Un atto intimidatorio e mortale per uno dei passeggeri della sua auto. Il segretario fu sempre piuttosto reticente sull’incidente, pensando ad un attentato del KGB.

 


Il film parte da qui e diventa un viaggio in quel complicato decennio che ha ridefinito e cambiato il nostro Paese, tra campagne elettorali, relazioni contraddittorie con Mosca, copertine di riviste e le prime pagine dei giornali, fino al contrastato compromesso storico con la Democrazia Cristiana in conseguenza del rapimento del suo presidente Aldo Moro, nel 1978, da parte delle Brigate Rosse. Un compromesso che provoca insofferenze in molte delle basi del partito di Berlinguer, dagli operai in fabbrica agli studenti in aule e piazze (compresi i figli).

 


Tappe di un percorso che evidenziano la necessità di una faticosa indipendenza del Pci dall’orbita sovietica e un Berlinguer innovatore, riformista, in bilico fra pragmatismo, realpolitik e indipendenza. Questo cammino costò a Berlinguer una sorta di isolamento politico da parte di chi considerava compagno.
 


Tra i momenti più intensi del film c’è il periodo del sequestro Moro che, oltre a gettare lo Stato e le istituzioni in una profonda crisi, pone Berlinguer di fronte a un dilemma etico e morale. La decisione finale di non trattare con i terroristi, nel rispetto dei princìpi che lo guidano gli lascia forse un senso di colpa che Segre mette in scena con delicatezza. La stessa (eventuale) decisione di non trattare (come indicato esplicitamente da Berlinguer alla sua famiglia) l’avrebbe voluta anche per sé. Ma il ritrovamento del corpo senza vita di Aldo Moro segna un punto di non ritorno: non solo per la politica italiana, ma anche per il segretario comunista che ne esce profondamente segnato, tanto dal lato umano quanto da quello politico.
 


La narrazione cinematografica si chiude infatti emblematicamente e narrativamente qui, anche se alla fine, attraverso i titoli di coda, si rivivono i commoventi e partecipati funerali di Berlinguer che diventano simbolo di una morte più alta, quella di una speranza riformista spazzata via, di una mancata rivoluzione nell’alveo costituzionale, la cui interruzione ci avrebbe portato, negli anni a venire, su quel terreno viscido ed insidioso in cui il vecchio mondo era morto, mentre quello nuovo tardava a comparire. Ed in questa nebbiosa terra di mezzo sono nati i mostri politici che ci portiamo ancora attaccati alle caviglie e ci impediscono di prendere il volo verso l’utopia che avremmo voluto, ma non abbastanza per riuscirci.

Stefano Superchi





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