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29 gennaio 2024

GAIA'S CORNER #4 - Blackstar (2016) - David Bowie

Quarta puntata di GAIA'S CORNER, puntata col botto, roba forte quella di stasera. Gaia Beranti ci parla dell'ultimo gioiello del Duca Bianco David Bowie, un gioiello oscuro, da interpretare. 

Blackstar (2016)

Dipartite, digestives e navicelle di latta

 

Gennaio, il mese più lungo dell’anno, al fnès mai.
Musicalmente parlando, come disse il calzolaio al millepiedi, non si sa da che parte cominciare: un sacco di ricorrenze dove pescare.
La scelta è ricaduta su un artista che in gennaio di ricorrenze ne ha a bizzeffe: dischi fondamentali della sua carriera tra i quali l’ultimo, il suo compleanno e come i più grandi colpi di teatro mai visti, perfino la sua morte.


David Bowie.

Questi sono artisti che spaventano, è un attimo spararne una grossa e far la figura del cioccolatino, tanto ci ha lasciato su questa terra questo marziano bislacco che non basterebbe una vita per raccontare tutto. Artista che amo alla follia, talmente tanto che ho vinto la stretta allo stomaco che sento ogni volta che ascolto il disco e ho deciso di parlare del più complesso dei suoi lavori: Blackstar (2016).



Era un anonimo freddo 11 Gennaio, un lunedì mattina, già questo è un racconto tragico di per sé. Mi alzo e leggo l’Hollywood Reporter che diffonde la notizia accaduta nella notte. È una bufala dai, non può essere. Nel mentre la rileggo circa otto volte. Poi però la conferma, il Duca Bianco ha lasciato questa valle di lacrime. Ci ho messo circa una settimana ad elaborare la cosa. Della serie che vai al bar e mentre bevi il caffè realizzi che Bowie non c’è più. Fai benzina, scruti l’infinito e Bowie non c’è più. Sbatti il mignolo contro il mobile, ti incazzi e poi ci ripensi: David Bowie non è più di questa terra.


Esagerato? Sì, un po’ sì.
Ma Bowie è come un Earl Grey coi Digestives, è un’abitudine senza tempo, è un mobilio che ti accompagna da sempre (specie se lo hai scoperto e adorato dalle superiori come la sottoscritta), una confortevole certezza. Che non svanisce con il corpo, certamente. Però, era meglio se fosse rimasto ancora un po’.



Il giorno dopo, sul mercato esce “Blackstar”.
Il magone regna sovrano. Ma bisogna sentirlo, il prima possibile! Ci ho messo tot minuti ad ascoltarlo, anni per capirlo. E poi forse non ho capito niente, ma quanto basta a dire che è di rara bellezza.


Il disco gode della riverenza tipica dei testamenti musicali, come “Innuendo” dei Queen. Artisti meravigliosi che spremono quello che resta del corpo per rendere giustizia allo spirito e al loro genio creativo.
Il buon David non si adagia sugli allori dell’autocommiserazione e cerca qualcosa di nuovo, sperimenta. Cambia la band degli ultimi dischi, vira verso qualcosa di vagamente jazz, con i suoi fiati e i suoi guizzi improvvisi.
Realizza video oscuri di un moderno Lazzaro impazzito, con due bottoni neri sugli occhi, in preda all’isteria, oppure paesaggi ultraterreni oscuri e movenze nervose. Bowie gioca con l’idea della morte e della sofferenza, ne fa un linguaggio del corpo, quel corpo affusolato che aveva esercitato nell’arte del mimo da giovane e che ora forse riprende, se pur affaticato dalla malattia, con rinnovata linfa vitale per celebrare degnamente la sua morte.
Un paradosso che solo Bowie poteva concepire.


Tante le teorie su questo album oscuro, che forse si è divertito a creare senza lasciare chiavi interpretative. Perfino il titolo non si sa cosa significhi. Navigando in rete (vi invito a leggere un interessante articolo sul The Guardian del 2016 in merito), si legge di un possibile collegamento con una poco conosciuta canzone di Presley (idolo di Bowie, nato lo stesso giorno), dove la Blackstar si intende come presagio della fine della propria vita. L’ha reso il più strano possibile già dalla copertina, graficamente non vi ha messo nessun riferimento di immagine della sua persona (fatto per ogni suo disco), troneggia una stella nera con un alfabeto grafico che potrebbe stare per “Bowie” ma anche per altro. Boh.


Curioso a mio avviso la citazione del cadavere di un astronauta su un pianeta alieno: una citazione puntiforme di una storia circolare, questo quello che ci ho visto. Forse è appunto quel Major Tom di “Space Oddity” che non rispondeva più al Ground Control, che ha fluttuato nella sua navicella di latta per anni, poi è uscito a suonare  con gli Spiders From Mars. Quell’uomo delle stelle che si vede brillare dalla Terra e che potrebbe farti impazzire se scendesse, che ad una certa cade sulla Terra, che si aliena negli abissi della cocaina e della pochezza umana per risorgere poi maturando verso lidi più sereni di una terza età nella tranquillità della famiglia. Che però non dimentica la tensione verso l’esterno, che ogni tanto lo spinge a fluttuare. Per poi sparire di nuovo, in una oscura supernova, senza spiegazioni.

Nel mezzo, cinquant’anni di trasformazioni, maschere, sperimentazioni, perennemente in evoluzione ma sempre uguale a se stesso.

A chilometri dalla terra.

 


Gaia Beranti

L'ISTRUTTORIA di Peter Weiss - Teatro Due di Parma

“L'istruttoria.

Oratorio in undici canti”


Ricordare i crimini dei campi di sterminio è una operazione che deve andare aldilà delle celebrazioni del Giorno della memoria.
“L'istruttoria. Oratorio in undici canti” (Die Ermittlung. Oratorium in 11 Gesängen) è un'opera teatrale del drammaturgo tedesco Peter Weiss che descrive i Processi di Francoforte del 1963-1965, dei quali l'autore fu osservatore.
In Italia l'allestimento più celebre è quello con la regia di Gigi Dall'Aglio del 1983 per il Teatro Due di Parma. Da allora in Italia questa storica messinscena è riproposta ogni anno come invito a non dimenticare i crimini dei nazisti nei campi di sterminio.
Ed è di questo allestimento che vi vogliamo parlare oggi.


Un Teatro che racconta la Storia e fa la Storia del Teatro: a Parma da 40 anni si celebra la memoria dell’Olocausto con uno spettacolo fra i più longevi del teatro italiano, tappa cruciale della storia della scena del nostro paese, testimonianza eccezionale e inesausta che continua a emozionare il pubblico e a tenere vivo il ricordo tragico della Shoah.
L’Istruttoria, testo scritto da Peter Weiss nel 1965 e messo in scena da Gigi Dall’Aglio nel 1984, intatto nella sua intensa drammaticità e nel suo allestimento, ri-propone ogni anno ai cittadini l’appuntamento rituale con il Ricordo, la Storia, il Teatro.


Da quasi quarant’anni questo straordinario oratorio viene rappresentato al Teatro Due. Ogni anno il rito del Teatro si compie e gli attori accompagnano le diverse generazioni nell’Inferno di Auschwitz, in un viaggio-tragedia della Storia contemporanea in cui non può compiersi nessuna catarsi.
L’Istruttoria è un pezzo importante della storia del Teatro Italiano e un unicum: è il solo spettacolo in Europa replicato ininterrottamente dal 1984; ha superato le 1100 repliche ed è stato visto da più di 170.000 persone. Un allestimento che non invecchia e che ha conosciuto importanti tournée in Italia e all’estero con episodi memorabili quali la messa in scena all’Habimah National Theatre di Tel Aviv in Israele, dove il testo non era mai stato rappresentato.



Lo scopo della regia teatrale era di far sì che il pubblico si allontanasse dalla più consueta percezione visiva dello spettacolo e recuperasse una dimensione rituale che in generale consente al teatro di realizzarsi nel suo specifico ed, in particolare nel caso dell’ Istruttoria, di sviluppare al massimo il senso tragico del contenuto. Per la versione televisiva ho creduto opportuno far rivivere al pubblico davanti allo schermo sia la materia nella sua cruda ed impietosa oggettività, sia immergerlo nella dimensione rituale del tragico, facendolo partecipe di un atto che si consuma dal vivo. Si sono utilizzate, per esempio, riprese soggettive dell’attore che, dichiarando così la sua partecipazione concreta all’evento, trasforma in “controcampo” tutte le riprese rivolte verso la scena e le trasforma in autentiche soggettive del pubblico teatrale con cui lo spettatore televisivo è invitato ad identificarsi.

Gigi Dall’Aglio



Da lì all’eternità
I 40 anni de “L’Istruttoria”
 

Fu allestito in fretta e furia, in dodici giorni, in mezzo all’andata in scena di altri spettacoli. Uno sprint forsanche per rientrare nelle manifestazioni ufficiali del 25 aprile, per portare qualcosa di profondamente politico. Di sconvolgente.

Era il 1984 e nessuno – compreso il suo regista Gigi Dall’Aglio – avrebbe scommesso che quello spettacolo sarebbe andato in scena per 40 anni, diventando una sorta di spartiacque per giovani e meno giovani. Una prova da superare, un dolore da condividere, una memoria da non disperdere. Un sassolino da portarsi dietro nella vita.

Io per 40 anni ho… girato con “L’istruttoria” di Peter Weiss, sono andato in scena, tutte le sere in Italia e all’estero, col Collettivo pur non avendovi mai recitato. E già solo questa coincidenza mi autorizza, credo, a ricordare alcuni punti fermi o curiosi di questo quarantennale.
Una mia foto da giovane, di oltre 40 anni fa, fa parte delle scenografie.

Nel Primo Canto gli attori si stanno truccando in scena davanti al pubblico su una quinta trasformata in camerini. Io sono lì a fianco di uno specchio, poco sopra biacca, cerone e matita. La foto ha visto passare migliaia e migliaia di persone curiose, timorose, titubanti, piangenti a volte.
Quella foto col senno di poi è diventata una delle chiavi di lettura dello spettacolo, nel senso che per me è stato l’emblema dell’invecchiarci dentro da parte degli attori, recita dopo recita, anno dopo anno e al contempo la prova che su certe cose il tempo non passa e non deve passare. Anche quella foto è un foglio nel fascicolo scenico dell’Istruttoria e nulla deve o può cancellarla. Come i capelli bianchi e le rughe degli attori… superstiti.

 

Il 25 aprile 1984 ho recensito per la “Gazzetta di Parma” la “prima” de L’istruttoria a Teatro Due e conservo ancora il programma di sala, un capolavoro certosino e di rigore, tutto scritto a macchina, fotocopiato. Quella sera in scena c’erano Roberto Abbati, Laura Cleri, Gigi Dall’Aglio, Giorgio Gennari, Milena Metitieri, Francesca Mora, Giovanna Pattonieri e Bruno Stori. Musiche composte ed eseguite da Alessandro Nidi. Costumi di Nica Magnani, Luci di Claudio Coloretti e Giuliano Viani. (In seguito anche Giancarlo Ilari vi ha recitato e il cast ha trovato la sua forma definitiva con l’introduzione di Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Tania Rocchetta e Pino L’Abbadessa e con Giampaolo Pavesi e poi Davide Carmarino all’esecuzione musicale).


Molta gente uscì senza parole da quella “Stagione all’Inferno”, titolo della recensione su 4 colonne. Veniva fatto notare che il gruppo di Teatro Due aveva realizzato una cosa straordinaria per i giovani e – non a caso – andarono tutte esaurite le repliche per studenti fino al 31 maggio.
Gigi Dall’Aglio ispirandosi a Pasolini aveva creato una efficacissima trappola per lo spettatore. Aveva messo in scena la Storia, la Divina Mimesis, aveva riportato il processo per i responsabili di uno dei campi di Auschwitz, parola per parola, testuale. Così facendo ha portato il pubblico nella oscurità dove l’inferno sono gli altri ma questo significa anche che siamo noi.

Una durissima orazione civile che non faceva sconti. E che negli anni proprio coi giovani ha realizzato le fondamenta di un successo duraturo, intergenerazionale. In quarant’anni ha abbondantemente superato le 1500 repliche ed è stata vista da oltre 300.000 persone.
Penso di aver visto L’Istruttoria tutti gli anni, e comunque più di 40 volte, alla mattina, alla sera. Ci ho portato amici parenti, familiari. E ogni volta ne sono uscito con un grumo.

Settembre 2008 Tel Aviv, il Teatro Due rappresenta per la prima volta in quel Paese L’Istruttoria di Peter Weiss. È un evento culturale non piccolo. Seguo la rappresentazione (che per la prima volta sarà tutta frontale su uno stesso palcoscenico), per il quotidiano “La Repubblica”. In platea anche lo scrittore Abraham Yehoshua che intervistato parlò a lungo della nostra umanità dolente e del pericolo che il Male assoluto -, dimenticato, trasfigurato, giustificato per certi versi – poteva essere replicato e non solo dai nemici di Israele.

La domanda posta da Gigi col suo allestimento de L’Istruttoria è sempre lì, figlia della curiosità di un artista e del cercare di capirci ed essere scomodi: “Il fatto di sapere perché”.
Il 15 gennaio 2022 dopo che il Covid aveva portato via il regista Dall’Aglio (dicembre 2020) va in scena la prima replica dell’Istruttoria senza Gigi, senza il suo regista l’anima di quella scelta attuale ma lontana, un testo non facilissimo di Peter Weiss.




Questa la mia riflessione pubblicata su Facebook :

“In quello che io chiamo “Teatro Gigi Dall’Aglio” è andata in scena la prima replica de “L’istruttoria” di Peter Weiss, del quale Gigi era regista e interprete dal 1984, senza Gigi.
Il testamento dal pomeriggio del 15 gennaio 2022 si affianca alla testimonianza, in questo lungo, straziante e dolcissimo tunnel dei ricordi. Quando inventò questo spettacolo, diventato col tempo un vero capolavoro, Gigi ruppe non poco con le precedenti cifre stilistiche dei suoi lavori con l’ex Collettivo e non.
Scelse il teatro civile, la capacità di ammutolire e far rimanere senza parole il pubblico con la sola forza dei fatti mostrati che vincono sulla finzione creano spaesamento, riflessione, giudizio.
Prevedendo la durata nel tempo di questo suo lavoro Gigi diceva sempre “che gli attori ci devono invecchiare dentro”, devono portare in scena i loro cambiamenti, il pubblico porta già i suoi e quindi la recita tratta da Weiss svolge una doppia funzione di ricordo e attualizzazione pur rimanendo distante.
 

Un monito, ma forse nemmeno lui prevedeva che quasi 40 anni dopo lo spettacolo diventasse talmente così di tutti, indipendentemente forse da chi lo interpreterà ancora oggi e negli anni a venire.
Ecco allora alcune piccole considerazioni per non dimenticare.
Il congegno ad orologeria dello spettacolo ci svela la grandezza delle intuizioni di Dall’Aglio.
Lo spettacolo è certamente diverso da quando lui, Gigi, ma anche Tania Rocchetta e Giorgio Gennari erano in scena. Eppure nel binario del testamento artistico lo spettacolo regge anche coi giovanissimi volti e cuori di Paola De Crescenzo, Davide Gagliardini, Massimiliano Sbarsi, con Laura Cleri che fa ora la parte che fu di Tania Rocchetta, eccetera. Anzi per certi versi aggiunge bellezza, altra vita, linfa di confronto.
Non solo gli attori ci devono invecchiare dentro, ma in quella scena che racconta l’Olocausto ci arriva tutta la società coi suoi cambiamenti. Questo spettacolo dal punto di vista artistico è eterno, un classico nel cannocchiale del teatro.
E questo aumenta il valore della testimonianza.
Anzi la rende indispensabile ogni anno che passa e ancora, ancora negli anni futuri
È la trappola bella del teatro, la trappola della bellezza del teatro che Gigi ha intuito e realizzato.
Uguale ma sempre diverso.
Ecco con questa “Istruttoria” più che mai ha un senso quello che ci siamo detti sottovoce per mezzo secolo: compagni per una sera, compagni per una vita.
Un capolavoro vivo e di scena. Grazie anche per gli anni e gli spettatori a venire”

Questo è uno spettacolo che ti resta dentro, ti attacca. Mi piace regalare una curiosità che aiuta a capire la potenza della narrazione di Weiss-Dall’Aglio. Milena Metitieri da decenni non fa più l’attrice ma esercita come psicologa, eppure una volta all’anno va in scena nel lager. Una sorta di testimonianza artistica, per non dimenticare, per non fare dimenticare. Un obbligo sociale.
Nel 2024 questo naufragio dell’umanità con spettatori, riprende la propria rotta a partire da Milano. La nave continuerà a barcollare nella ferita più grande: il disumano che si veste di umano.

Antonio Mascolo

 

(testi e immagini tratti dal sito del Teatro Due di Parma)


L’ISTRUTTORIA


di Peter Weiss
traduzione di Giorgio Zampa

con Roberto Abbati, Paolo Bocelli, Cristina Cattellani, Laura Cleri, Paola De Crescenzo, Davide Gagliardini, Pino L’Abbadessa, Milena Metitieri, Massimiliano Sbarsi e Davide Carmarino (esecuzione musicale)

musiche originali Alessandro Nidi
costumi Nica Magnani
luci Claudio Coloretti

regia Gigi Dall’Aglio

produzione Fondazione Teatro Due


prossime rappresentazioni:


SPAZIO BIGNARDI
23 marzo, ore 20:30
24 marzo, ore 16:00
28 marzo, ore 20:30
6 e 7 aprile, ore 20:30

spettacolo consigliato a partire dai 16 anni di età

FONDAZIONE TEATRO DUE
viale Basetti 12/A - 43121 Parma
info@teatrodue.org
tel. +39 0521 208088
biglietteria +39 0521 230242
 

 







a cura di Giovanna Anversa e Stefano Superchi

26 gennaio 2024

GIORNO DELLA MEMORIA: I CASALMATTORI E IL DIARIO DI ANNE FRANK

Il 27 gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz, questa data è stata scelta per commemorare le vittime dell'Olocausto attraverso il Giorno della Memoria.
Il Parlamento Italiano ha sancito l’istituzione del “Giorno della Memoria” attraverso la Legge n.211 del 20 luglio 2000, che all’art. 1 recita:

La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonchè coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

La compagnia Teatrale dei Casalmattori contribuisce a conservare la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa affinchè simili eventi non possano mai più accadere. Lo fa presentando “Il Diario di Anne Frank”, sabato 27 e domenica 28 gennaio.

Casalmattori, Il diario di Anne Frank, la memoria e quel desiderio di pace

Accompagnato da musiche incisive è un lavoro commovente, intenso e fortemente rappresentativo dell’orrore dell’Olocausto. Riesce a toccare gli animi e dare consapevolezza e memoria affinché le nuove generazioni abbiano gli strumenti per lottare sempre per la pace.


Ecco che cos’è difficile in quest’epoca: gli ideali, i sogni e le belle aspettative non fanno neppure in tempo a nascere che già vengono colpiti e completamente devastati dalla realtà più crudele. È molto strano che io non abbia abbandonato tutti i miei sogni perché sembrano assurdi e irrealizzabili. Invece me li tengo stretti, nonostante tutto, perché credo tuttora all’intima bontà dell’uomo. Mi è proprio impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria e della confusione. Vedo che il mondo lentamente si trasforma in un deserto, sento sempre più forte il rombo che si avvicina, che ucciderà anche noi, sono partecipe del dolore di milioni di persone, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto tornerà a volgersi al bene, che anche questa durezza spietata finirà, e che nel mondo torneranno tranquillità e pace. Nel frattempo devo conservare alti i miei ideali, che forse nei tempi a venire si potranno ancora realizzare! (Anne Frank)

Le parole che seguono portano la firma di tutti perché riguardano qualcosa che in noi Casalmattori trova casa da moltissimi anni: la storia di Anne Frank che Arianna Novelli ha adattato a trascinante momento teatrale. Tutti conosciamo il diario, ma non so se tutti ne hanno patito le parole come è successo a noi, ci auguriamo di sì. Il merito non è però solo nostro, lo spettacolo risale ai lontani anni ‘90 quando l’allora nostro regista e maestro Pino L’Abbadessa decise di metterlo in opera affinché venisse portato nelle scuole, cosa che facemmo, la compagnia si chiamava “Teatro dei Piccoli Sogni”. Ne seguì un momento di pausa dovuto ai vari impegni: famiglia, figli, lavoro ma le braci erano ancora accese, così come la voglia di ricominciare; serviva solo il LA, la nota giusta che desse nuovamente il via all’orchestra.

Nel 1994 uscì al cinema un capolavoro pazzesco: Schiendler List di Spielberg che ci lasciò letteralmente sconvolti, si doveva fare qualcosa. Riaffiorò Anne, doveva tornare e raccontare la sua storia ai ragazzi dell’età che aveva lei quando scrisse il diario. Il resto lo fecero la grazia, l’umanità, la gentilezza, la sensibilità, il talento e la passione per la scena di Arianna Novelli spingendola a produrre ciò che oggi è una pièce stupenda che viene richiesta da tantissime scuole e non solo. Serviva il suo animo, serviva lei con la sua pazienza, la sua dolcezza, la sua profonda bontà per creare qualcosa che, assicuriamo, è un nobile e prezioso regalo.

L’azione ha inizio dove il diario finisce: siamo nell’alloggio segreto e la Gestapo ha da poco arrestato i Frank e le altre persone che vi si nascondevano, per colpa di una soffiata. In queste stanze silenti, svuotate della presenza umana dei Frank e dei loro amici, messe a soqquadro dalla perquisizione, tra i pochi mobili, valigie, vestiti sparpagliati, carte e libri alla rinfusa Miep Gies, segretaria e amica di Otto Frank, che assieme al marito li aveva aiutati a nascondersi portando loro viveri, abiti, libri e notizie dall’esterno, entra per recuperare gli effetti personali, tra cui il diario e gli innumerevoli fogli su cui scriveva Anne. Nella realtà Miep, in ossequio alla riservatezza e per non violare la privacy della giovane scrittrice, mette il diario in un cassetto senza leggerlo, con l’intento di restituirlo alla proprietaria semmai fosse tornata, cosa che purtroppo non fu. Lo diede così ad Otto, unico superstite, che provvide a pubblicarlo.

 

Una finzione scenica quindi, quella che vede Miep leggere il diario ma è grazie a questo espediente che, si realizza una sorta di trasposizione che ci consente di ascoltare la voce e le parole della stessa di Anne, come se a dar vita a quella narrazione retrospettiva fosse la sua voce di fanciulla e non quella più matura della cara amica olandese. Arianna, nei panni di Miep legge, interpreta e rivive le pagine più significative del diario, quelle che raccontano quando quel quaderno dalla copertina a quadri bianchi e rossi le fu regalato, l’invasione tedesca, le leggi razziali, la necessità di nascondersi, la quotidianità nell’alloggio segreto, i sogni di ragazza, il primo bacio in un crescendo di pathos davvero emozionante.

Il semplice allestimento scenico, con il pubblico a stretto contatto, fa sì che lo spettatore, proiettato in una dimensione claustrofobica dello spazio, viva le stesse sensazioni di restrizione e privazione della libertà in cui Anne e gli altri ospiti della soffitta erano stati costretti a vivere. L’intento è quello di offrire uno strumento di riflessione sulla vicenda storica dell’Olocausto e sul tema universale e sempre attuale della discriminazione, attraverso ciò che il teatro da sempre sa produrre, quel principio di immedesimazione che induce lo spettatore a mettersi nei panni dei personaggi e a viverne le emozioni. A supporto del lavoro di Arianna noi Casalmattori, teatranti a tempo perso e amici a tempo pieno, a turno ci occupiamo della musica e di qualche parola di introduzione aggiungendo ogni anno qualche piccolo perfezionamento che renda lo spettacolo ancora più coinvolgente: provvidenziale l’abilità di Luciano Ongari as a sound engineer, e a turno altri del gruppo come aiutanti di scena. Arianna è sicuramente l’anima della pièce, profondamente addentro, si confonde con Anne tanto che par di vederla. Vive quelle parole come se fossero sue, vive le emozioni, le paure, le gioie fatte di piccoli momenti, le speranze e le rende vere, tangibili quasi come se si stessero ripetendo lì, in quell’istante. Anne non è solo un personaggio della storia, di una storia triste e terribile, non è solo il personaggio dello spettacolo che Arianna ha minuziosamente pensato, costruito e diretto, è molto di più, è una ragazza che vive dentro di lei e che dentro di lei torna ad essere libera. Accompagnato da musiche incisive è un lavoro commovente, intenso e fortemente rappresentativo dell’orrore dell’Olocausto riesce a toccare gli animi e dare consapevolezza e memoria affinché le nuove generazioni abbiano gli strumenti per lottare sempre per la pace.

Giovanna Anversa e i Casalmattori

Note a cura di Stefano Superchi


Il Diario di Anne Frank sarà messo in scena:

SABATO 27 Gennaio alle ore 21:00 al Circolo ARCI Bassa di Gussola (CR) - Piazza Comaschi 41

e DOMENICA 28 Gennaio alle ore 17:00 alla Sala Consiliare di Motta Baluffi (CR) - Piazza Gaboardi 1

In scena Arianna Novelli e Sergio Bini
Collaborazione tecnica di Luciano Ongari
Introduzione di Mara Serini
Adattamento e regia di Arianna Novelli
 
 

il video di Pierluigi Bonfatti Sabbioni per ARVITER (Archivio Video Territoriale Oglio Po) della rappresentazione svolta a Gussola CR il 6 febbraio 2019 per le classi dell'Istituto Comprensivo Dedalo 2000.


25 gennaio 2024

SILVIA TEI, ARTISTA GREEN POLIEDRICA

SILVIA TEI, ARTISTA GREEN POLIEDRICA

Silvia Tei è una giovane positiva e combattiva, carattere gentile e determinato, di quelli che sanno ciò che vogliono.
Ha diverse frecce al suo arco,  un passato di progettazione di complementi d’interno a partire dalla sostenibilità e dal riciclo dei materiali di scarto con l’Officina BFST e Francesca Belli, la biblioteca delle mellifere del Parco di Via Italia, la serra idroponica della Scuola Media Diotti, e tanto altro.
Laureata in Architettura presso il Politecnico di Milano e Master in “Sustainable Architecture of multi-scale Building”, Architetto Freelance, si specializza nella cura di giardini e del verde. Subito dopo la laurea inizia a lavorare presso una azienda di progettazione e realizzazione di esterni. La passione per le piante e i fiori, la portano a cogliere al volo l’occasione.

Appresa sul campo la bellezza di questa professione in tutti i suoi aspetti, decide di aprire la sua attività, la STGreenDesign. L’equilibrio tra arte, equilibrio e realtà è quello che Silvia cerca in ogni progetto, proponendo soluzioni dinamiche, creative, originali ma sempre razionali, un servizio a 360° per la realizzazione e cura del proprio spazio verde, rispecchiando il concetto moderno di verde sostenibile, realizzando giardini a bassa manutenzione e fornendo al cliente tutti i passaggi necessari affinché lo spazio sia ultimato e pronto per essere vissuto.

La fantasia, la passione per la natura, l’estro artistico e l’attenzione alla sostenibilità non le mancano tanto da rendere le sue realizzazioni una vera propria esplosione di colori e armonia. I suoi interventi esaltano la bellezza della natura provocando in chi guarda la sindrome di Stendhal. Non è solo un architetto Silvia, è una sensibile, poliedrica e talentuosa artista. Ogni esterno viene studiato, valutato e ricreato in maniera artistica ma con razionalità senza mai venire meno al rispetto per la natura.

E in questi tempi difficili abbiamo bisogno di giovani come Silvia, un insieme di idee e manualità che crea progetti, li sviluppa, li organizza, dirige eventuali cantieri e sceglie i materiali, un piccolo vulcano in perenne attività che erutta lapilli e lava quando meno lo si aspetta.

Giovanna Anversa / Stefano Superchi



23 gennaio 2024

NUOVE USCITE - KOOMARI (Pietà)

Koomari

Pietà

Dopo il singolo di esordio ("Magico"), fuori lo scorso novembre per Risorgiva Dischi, la band casalese dei Koomari è uscita il 22 gennaio 2024 con "Pietà", il secondo singolo tratto dall'EP "Movimento".

Lasciatevi trascinare dal funk e godetevi il video esilarante (come il gas) dei bellimbusti della riviera padana, girato nella suggestiva location della chiesa (sconsacrata?) di Santa Maria dell'Argine. Garantisce LomaVideo

Buona visione.

 


 

Il video di "Pietà" è una produzione Loma Video 

Scritto da: Marco Goi, Michele Veneziano, Lorenzo Cavalli, Lorenzo Marasi
Diretto da: Marco Goi
Assistente regia: Lorenzo Marasi
Assistente di scena: Francesca Salassi
Riprese: Marco Goi e Tommaso Frassanito
Montaggio: Marco Goi

Con:
Giuseppe Anversa - Dama
Lorenzo Marasi - Conte o Duca
Lorenzo Cavalli - Don Etnoc
Amin El Orchi - Chierichetto
Leonardo Visioli - Principe
Tommaso Frassanito - Tommi, l'amico di sempre
Michele Veneziano - Cartomante
Marco Goi - Nathan, techno-raver inglese
Francesca Salassi - Pia Donna
Nicole Cova - Snitch della Radianza (dalla mini serie Un Barbiere per Amico)
Ariela Ghezzi - Custode del Venis (dal cortometraggio UGO)
Leida Avigni - Pia Donna
Valter Cavalli - Pio Uomo
Maurizio Stocchi - Pio Uomo

 

 CREDITS:
Musica di Koomari
Testo di Michele Veneziano
Prodotto da Koomari

Leonardo Visioli - voce
Michele Veneziano - chitarra, cori
Giuseppe Anversa - chitarra
Marco Goi - basso
Luca Bernardi - piano, synth
Tommaso Frassanito - batteria

Percussioni in Pietà di Gabriele Busi
Batteria registrata da Emanuele Piseri “Zero” presso la ZeroDB, Casalmaggiore (CR)
Chitarre, piano, synth e basso registrati da Koomari tra camere da letto, Venis e sale prova
Voci e percussioni registrate da Massimo TortellaPorcapizza” presso il Container Studio, Pomponesco (MN)
Mixato da Massimo Tortella Porcapizza
Master di Domenico Vigliotti, Sonic Temple Studio, Parma
Label: Risorgiva
Press: Delta - Ramificazioni Culturali

22 gennaio 2024

L'ULISSE DI HUGO PRATT

L'Ulisse di Hugo Pratt in mostra al Museo Archeologico San Lorenzo di Cremona

In collaborazione col Centro Fumetto Andrea Pazienza di Cremona e alla presenza del grande Marco Steiner e del giornalista Fabrizio Paladini, sabato 20 Gennaio è stata inaugurata, presso la splendida cornice del Museo Archeologico di Cremona L’Ulisse di Hugo Pratt, una storia nata dall’arte e dalla fantasia del celebre fumettista e artista, padre di Corto Maltese, con i testi di Fabrizio Paladini e Marco Steiner.
Ci fu un marinaio prima di Corto Maltese, si chiamava Ulisse.
Il momento è stato di grande emozione e levatura per il luogo, per le opere e per chi le ha raccontate.


GLI AUTORI
Hugo Pratt il padre di Corto Maltese è nato a Rimini il 15 giugno del 1927, ed è considerato uno dei più grandi disegnatori del mondo. Per definire le sue storie è stato appositamente coniato il termine di “letteratura disegnata”. Ha vissuto in Italia, Etiopia, Argentina, Inghilterra, Francia e Svizzera, viaggiando praticamente in tutto il resto del mondo. È morto a Losanna il 20 agosto del 1995.
Fabrizio Paladini nato a Roma, giornalista da oltre 40 anni. Ha scritto, tra l’altro, su Il Messaggero, Panorama, Il Corriere della Sera. Ha fondato e diretto Metro, il primo quotidiano gratuito. Ha pubblicato Bangkwang per Mondadori, Cavalli in Palio con Gianni Giansanti per White Star e Gli artigli dell’Aquila per Vallecchi.
Marco Steiner è uno pseudonimo suggerito da Hugo Pratt e nasce dalla sua passione per due generi letterari: l’avventura e il noir. Il nome Marco nasce da Mar per Marlowe il detective di Raymond Chandler e Co per Corto Maltese, il marinaio di Hugo Pratt. Steiner sarebbe una trasformazione mitteleuropea di John Steinbeck. Medico chirurgo dentista, dopo l’incontro con Pratt nel suo studio di Roma lascia progressivamente la sua professione e si dedica interamente alla scrittura e al viaggio. Pratt lo chiamava Zane Grey, dal nome di uno dei suoi autori preferiti, uno che faceva il dentista prima di mettersi a scrivere davvero. Da quel momento nasce Marco Steiner.


Così scrive ARTRIBUNE (rivista e pagina facebook che si occupa di arte che, se amate l’arte, consigliamo vivamente di seguire).
Marinaio, viaggiatore, vagabondo, astuto, curioso, approfittatore, infedele, inquieto: mi hanno definito e giudicato in tante maniere. Sono stato rapito, stregato, amato, ingannato e sconquassato dai venti e dal mare. Ho una moglie che mi aspetta e un figlio che mi cerca. La nostalgia non è soltanto la mancanza della propria casa o del passato, è anche la mancanza di un altrove in un tempo che forse non è mai stato. Mi chiamo Ulisse, e questa è la mia storia”. 


Comincia così l’appassionante fumetto di Hugo Pratt dedicato al celebre eroe omerico. Partorito dalla penna del “padre della letteratura disegnata” nel 1963, ovvero quattro anni prima della nascita di Corto Maltese, il suo personaggio più celebre, il libro ripercorre nelle sue centoventi pagine l’avventuroso tragitto del re di Itaca.
Pubblicato originariamente sul Corriere dei Piccoli, il volume e l’esperienza creativa che ne è alla base, sono al centro della rassegna presentata negli spazi del Museo Archeologico San Lorenzo di Cremona, dal 21 gennaio al prossimo 3 marzo. Si intitola L’Ulisse di Hugo Pratt. Di mari e avventure prima di Corto Maltese, e presenta venticinque tavole originali tratte dalla storica pubblicazione, eccezionalmente poste in dialogo con i reperti della sede museale. Allestita nella navata centrale di quella che fu la chiesa di San Lorenzo, e inserita nell’ambito delle celebrazioni per il 35esimo anniversario della nascita del Centro Fumetto “Andrea Pazienza” di Cremona, partner dell’iniziativa, la rassegna accende i riflettori sul fumetto di Pratt, dimostrando l’attualità del capolavoro omerico, nonché la capacità del disegno di donare nuova veste a un racconto consolidato nel nostro immaginario collettivo.



Recentemente pubblicato in una nuova edizione da Cong Sa, l’Ulisse di Pratt racconta in versione assai ridotta il tortuoso cammino compiuto dal re di Itaca prima di tornare in patria. Figura iconica della cultura greca e occidentale, e protagonista di un percorso di vita che è da sempre simbolo di libertà e ricerca dell’ignoto, il mitico Odisseo è delineato dal fumettista in contrapposizione al figlio Telemaco. Accompagnato nella sua nuova edizione dai testi di Fabrizio Paladini e Marco Steiner, il fumetto è strutturato proprio mettendo in luce le visioni complementari del padre e del figlio. Le emozioni dei due uomini prendono forma nei disegni del fumettista, delineando due personaggi meno “eroi” e più “uomini” rispetto a quelli tramandati dalla storia.


La differenza tra Ulisse e Corto? Ne ha dato un’ottima traccia Marco Steiner: Ulisse viaggia per tornare, pur essendo il suo un viaggio fisico ma anche un viaggio di crescita, di esplorazione dentro e fuori di sé, ha lo scopo del rientro, ha il limite dell’impegno e del ritorno, lui è Re, figlio, marito e padre, ha legami forti che interrompono il suo viaggiare. Corto no, Corto non ha porti in cui tornare, non ha amori che non può abbandonare, non ha mete fisse, ha patria nel mondo Corto è libero!

 

a cura di Giovanna Anversa

la sede della mostra

 

 

18 gennaio 2024

IL MONDO DI TIM BURTON

Un artista come Tim Burton non poteva che essere esposto al Museo del Cinema di Torino, uno dei musei più affascinanti che si possano vedere dedicato all’arte meravigliosa che è il cinema a cui il museo dà il giusto lustro dagli esordi di questa espressione meravigliosa ad oggi. Sotto il link per un viaggio virtuale all’interno di questo spazio magico e della sua cornice, la Mole Antonelliana, e una breve gitarella dentro la mostra che consigliamo di visitare live.  Entrare nella Mole, salire dentro un parallelepipedo di vetro alla sua cupola e percorrere le sue spirali dedicate al cinema e al suo mondo, è un'esperienza extrasensoriale.

 https://www.museocinema.it/it/museo-nazionale-cinema  

IL MONDO DI TIM BURTON

«Ho capito di aver creato con i miei film un club ideale per gli eterni ragazzi che amano i falliti, la libertà, i marziani». 


 

IL MONDO DI TIM BURTON è la mostra che il Museo Nazionale del Cinema di Torino dedica al genio creativo di questo regista capace di portare lo spettatore in mondi immaginari. Ideata e co-curata da Jenny He in collaborazione con Tim Burton e adattata da Domenico De Gaetano porta per la prima volta in Italia, l’arte surreale più vicina alla realtà nella cornice fantasticamente affascinante della  Mole Antonelliana; inaugurata il 10 ottobre 2023 rimarrà aperta al pubblico fino al 7 aprile 2024.

L’esposizione è un viaggio nell’universo visionario e nella creatività di Tim Burton e si concentra principalmente sull’archivio personale del regista, mostrando un'incredibile varietà della sua produzione creativa. Non solo quindi preziosi documenti ma anche disegni, schizzi e bozzetti da cui hanno preso vita personaggi e ambientazioni stupefacenti che hanno caratterizzano i suoi mondi cinematografici fiabeschi e visionari.
Ancora una volta il Museo Nazionale del Cinema rende omaggio a un grande artista di fama internazionale - sottolinea Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema. Con la sua grande creatività e maestria ha dato vita a film universali, apprezzati da tutti, appassionati e non. Per oltre 30 anni ci ha conquistato con le sue storie, da Beetlejuice alla Sposa Cadavere fino al recente grande successo di Mercoledì, la seconda serie Netflix in lingua inglese più vista in assoluto”.
"Ospitare Tim Burton a Torino è un sogno che si realizza - afferma Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema. L'immaginario fantastico dei suoi film ha accompagnato le nostre vite, dai bambini agli adulti, ed è meraviglioso vedere come il mondo colorato e stravagante di Tim Burton si inserisce nel magico spazio della Mole Antonelliana. La mostra è stata ospitata in altri Paesi in spazi espositivi convenzionali, e sono sicuro che il Museo Nazionale del Cinema si trasformerà per unire follia architettonica e genio creativo, oltre a inserirsi nel progetto strategico di internazionalizzazione del nostro ente".
 

 
Questa grande mostra immersiva, una sorta di viaggio esclusivo nella mente di un genio creativo, è l'esplorazione definitiva della produzione artistica, dello stile inimitabile e della prospettiva specifica di Tim Burton. Suddivisa in 9 sezioni tematiche, presenta oltre 500 esempi di opere d'arte originali, raramente viste prima o addirittura mai, dagli esordi fino ai progetti più recenti, passando per schizzi, dipinti, disegni, fotografie, concept art, storyboard, costumi, opere in movimento, maquette, pupazzi e installazioni scultoree a grandezza naturale. Un'ambientazione suggestiva condurrà i visitatori e i fan a immergersi nello straordinario universo di Tim Burton, sperimentando un approfondimento della sua sensibilità e si avrà la possibilità di esplorare l'esatta replica dello studio personale dell'artista insieme a uno speciale sneak peek di progetti attuali o non realizzati.
La mostra ripercorre le orme del regista e dell’evoluzione della sua singolare immaginazione visiva di artista postmoderno multidimensionale, in una sorta di autobiografia raccontata attraverso il suo processo creativo senza limiti. Con la presentazione unica dell'opera di Tim Burton, la sua visione unica trascende i mezzi e i formati, rendendo chiaro come idee, temi e persino alcune immagini specifiche della sua arte siano finite nei film più iconici che oggi associamo allo sfarzoso spettacolo cinematografico.
Molto prima del successo critico e commerciale nei generi live-action e animazione, Burton si è ispirato ai film della TV, alle animazioni, ai fumetti sui giornali, ai miti e alle favole raccontate a scuola e ad altre forme di cultura popolare, incorporando queste influenze di sempre nella sua arte e nei suoi film. Gli schizzi della sua infanzia dimostrano la varietà intima ed espressiva di questo artista poliedrico e richiamano il lavoro dei suoi predecessori, tra cui fumettisti e illustratori classici come Edward Gorey, Charles Addams, Don Martin e Theodore Geisel. Anche l'impatto dei film di mostri giapponesi, del cinema espressionista, del catalogo horror degli Universal Studios e dei maestri della suspense William Castle e Vincent Price permeano il suo lavoro.




TIM BURTON
Timothy Walter Burton (1958) è cresciuto a Burbank, in California, un quartiere omogeneo della periferia americana che lo ha spinto a trovare tregua e a fuggire dalla sua insipidezza. Ampiamente conosciuto come uno degli artisti più fantasiosi e come regista capace di realizzare gli effetti visivi più fantastici, ha reinventato il cinema di genere hollywoodiano come espressione di una visione personale, attirando a sé un pubblico internazionale di fan e influenzando una generazione di giovani artisti che lavorano nel cinema, nel video e nella grafica. Burton ha studiato al CalArts per diventare un pioniere di un genere cinematografico onirico, grottesco e bellissimo che non era mai esistito prima. La sua iconica filmografia degli ultimi tre decenni comprende Beetlejuice (1988), Batman (1989), Edward mani di forbice (1990), Tim Burton’s The Nightmare Before Christmas (1993), Ed Wood (1994), Big Fish (2003), La sposa cadavere (2005), Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street (2007), Alice in Wonderland (2010), Dumbo (2019) e Wednesday, la seconda serie Netflix in lingua inglese più vista. Ha creato uno stile artistico chiamato "Burtonesque" e, sebbene sia ampiamente conosciuto come regista, Tim Burton è anche dotato di talento in varie aree artistiche, tra cui belle arti, fotografia e scultura, che lavora nello spirito del Pop Surrealism. 
 
A cura di Giovanna Anversa
 

 
 


16 gennaio 2024

RITRATTO DI NILLA BARBIERI

Questa sera Giovanna Anversa ci tratteggia il ritratto di una vera e propria istituzione della danza: Nilla Barbieri.

Dire Nilla è dire danza

Un ritratto di Nilla Barbieri

Dire Nilla a Casalmaggiore è dire prima di tutto danza ma anche serietà e duro lavoro, sogno per tante bambine, spettacoli stupendi, costumi, teatro, musica, armonia di corpi. Nilla da più di 40 anni è, nel nostro angolo padano, la possibilità di ballare, di volare, di liberare il corpo e l’anima, di lasciarli andare finché diventano aria, fuoco, luce, energia.


Era il 1975 quando una giovanissima Nilla Barbieri, bella, aggraziata ed elegante come si addice alle ballerine, ma anche ferma e austera, iniziava ad insegnare danza classica in quello che era l’ex cinema Eliseo e oggi è l’Auditorium di Casalmaggiore. Una stanza enorme con un palco in legno a semicerchio, leggermente in pendenza, le sbarre alle pareti, teatro di lezioni già allora svolte nel massimo rigore. Tante bimbe e tante ragazze nei loro body, collant e scarpette rosa cipria eseguivano alla sbarra gli esercizi diretti dalla voce squillante di Nilla: “prima, seconda, eeeeeeee… tendu, plié, jeté, dévélopé, dritta con la schiena, in dentro la pancia, più teso quel braccio”.


Quelle bambine oggi ricordano le lezioni, la fatica della preparazione teorica e delle prove dei saggi, il sacrificio e infine l’euforia del debutto di spettacoli che, ieri come oggi, furono e sono di alto livello. Negli anni tante le bambine, e anche qualche maschietto, che si sono susseguiti su quel piccolo palco in legno che faceva risuonare i passi di giovani ballerine e ballerini tra cui non sono mancate le eccellenze: Rebecca Bianchi prima ballerina del Teatro dell’Opera di Roma, Alessandro Repellini ballerino all’Opera di Leipzig, la cara e indimenticabile Francesca Cerati, approdata alla Compagnia Artemis Danza e stella imperitura nel cielo sopra e dentro di noi. E’ da quel piccolo palco in legno, che ancora profuma di ricordi, che tutto cresce e si fa più grande fino a diventare DIMENSIONE DANZA ASD, una scuola, una associazione dove si insegnano più stili e che oggi vanta più sedi oltra a Casalmaggiore: Viadana, Rivarolo Mantovano, Rivarolo del Re, Sabbioneta, Solarolo Rainerio, Campitello; direttore artistico Nilla Barbieri, tra le insegnati e collaboratrici Pamela Carena, Paola Froldi e Carlotta Sarzi anch’esse ex allieve.


Allargare il raggio nel territorio ed essere presenti in più paesi ha significato dare la possibilità a un numero maggiore di allievi, di crescere e soprattutto di attivare reti di collaborazione e scambio non solo con enti e istituzioni locali ma anche con altre associazioni culturali ed artistiche. E si sa, quando c’è confronto c’è arricchimento, sperimentazione e nuove opportunità. Dimensione Danza diventa via via più conosciuta e non mancano gli inviti ad esibirsi a mostre, eventi culturali, inaugurazioni dando l’opportunità a bambini e ragazzi appassionati della danza, di esibirsi su palcoscenici fuori casa, di misurarsi con il loro talento, con emozioni molto più forti perché il pubblico non è solo composto da amici e parenti ma anche da “giudici sconosciuti” che applaudiranno sulla base dell’indice di gradimento. Quindi, oltre al saggio di fine anno, veri e propri debutti ed esibizioni in contesti non familiari.


“Sia io che le mie collaboratrici – spiega Nilla Barbieri – crediamo fortemente nell’alto valore educativo che lo studio di questa disciplina, se affrontata in modo serio, può lasciare ai nostri ragazzi: accanto all’insegnamento dei passi c’è la condivisione delle emozioni, il senso di responsabilità e l’impegno profuso, un’educazione musicale che va oltre quello che passa la radio e ogni saggio, esibizione o spettacolo porta in sé una traccia che diventa occasione per indagare e scoprire insieme temi differenti. Non importa cosa si diventerà da grandi… L’esperienza della danza avrà lasciato comunque un segno”.


In queste poche ma efficaci parole il rigore di Nilla si svela e si traduce in amore, amore per la danza che richiede sacrificio, amore per le altre forme artistiche con cui la danza si fonde: la musica, la letteratura, il teatro, amore per le sue ragazze e amore anche per il nostro territorio, al quale lei tanto ha dato ricevendo in cambio gratitudine, considerazione e stima. Gli insegnanti, quelli veri, che amano la loro disciplina tanto da renderla meravigliosa a chi la apprende, sono immortali e indimenticabili, sono la ricchezza più grande ancor più della disciplina stessa.
La scuola di Nilla Barbieri propone più corsi: Danza Classica per bambini e ragazzi, Danza moderna per bambini e ragazzi, Propedeutica alla danza, Hip Hop e Danza classica e moderna per adulti.

La scuola di Nilla Barbieri è una risorsa, una palestra del corpo e della mente, è iniziazione all'arte e alla vita.

  
Giovanna Anversa

Cocco Bill e i salami parlanti

  Cocco Bill e i salami parlanti   Nel marzo del 1957 un nuovo strampalato fumetto debutta sulle pagine de “Il Giorno dei Ragazzi” , il nuov...