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16 luglio 2025

SKAraventati negli anni ’80. Madness, Specials e altre storie.

 SKAraventati negli anni ’80

  Madness,  Specials  

e altre storie.



Potere della radio, oggetto che amo con passione a dispetto delle nuove tecnologie in uso per ascoltare musica. Nel caso specifico galeotta fu Radio Capital che ascolto sempre per distogliermi dalle radio omologate a una musica, se così la vogliamo chiamare, commerciale odierna che stamane, alle ore 7.00 circa, ha passato "One Step Beyond" dei Madness, band icona della scena musicale ska britannica degli anni '70 e '80. Sbloccato in un secondo un ricordo tra le braccia di un brano che evoca un'epoca.

 


I Madness si formano a Londra (ça fait sans dire) nel 1976, inizialmente con il nome "The North London Invaders". Il gruppo era composto da Graham "Suggs" McPherson (voce), Mike Barson (tastiere), Cathal Smyth (tromba), Lee Thompson (sassofono), John Hasler (batteria), Chris Foreman (chitarra) e Mark Bedford (basso).
Si fanno strada negli anni '80 con canzoni come "The Prince", "One Step Beyond", "My Girl" e "It Must Be Love" con sonorità che mescolano punk, rocksteady, reggae e pop per diventare ciò che chiamiamo SKA, con testi spesso umoristici e satirici.  I Madness furono una esplosione nuova dopo anni di rock americano, inglese, cantautorato italiano e tutto ciò che di meglio la sfera musicale seppe offrire in quegli anni.

 


La loro musica è caratterizzata da un sound vivace e ritmato, da un'enfasi sulla sezione dei fiati (sassofono e tromba) e da una energia che ha saputo colmare i vuoti delle precedenti eccellenze, che però necessitavano di rinnovarsi perché i tempi stavano cambiando in tutto, musica compresa. I loro concerti sono noti per la carica, la potenza, la vitalità, il dinamismo a cui il pubblico partecipa con altrettanta energia. Il nome della band trova radici etimologiche in termini come follia o pazzia, di quella pazzia positiva e sacrosanta che risveglia i sensi.



In effetti la loro è una follia musicale, una pazzia artistica dopo anni di virtuosismi e musicisti pazzeschi e ancora oggi senza tempo, a cui i Madness hanno reagito con qualcosa di futuristico, di alternativo senza venir meno alla qualità. Una ventata nuova che induceva a cantare urlando e a ballare con movenze dinoccolate distorcendo ogni forma di armonia precostituita. I Madness hanno rappresentato il fenomeno certamente più esplosivo dell'era Two-Tone e hanno riportato migliaia di adolescenti sulle piste da ballo, contribuendo alla rivincita delle masse proletarie e allo sviluppo delle sottoculture giovanili in un momento di profondi mutamenti politici e sociali.

 


Verso la fine degli anni '70 l'Inghilterra attraversa uno dei passaggi più delicati della sua storia recente: a causa di una grave depressione economica e dell' insediamento di Margaret Thatcher, con relativi tagli alla spesa pubblica, cresce il tasso di disoccupazione a scapito delle fasce meno abbienti. Considerata anche la natura multietnica delle città britanniche, la crisi spesso sfociava in tensioni a sfondo razziale, tradotte in musica in brucianti invettive come "White Riot" dei Clash, "God Save The Queen" dei Sex Pistols ecc. Erano gli anni in cui bianchi e neri provavano a dimostrare che si potevano fare cose insieme alla faccia del razzismo montante, del National Front e di tutta la merda che cominciava a venire a galla.

 


Era l’Inghilterra già orfana del punk ma con ancora quella scossa che le vibrava nelle ossa e nelle sinapsi, giusto un attimo prima di finire sotto il pugno di ferro della “figlia del droghiere” e di entrare in un periodo che si sarebbe rivelato infernale per chiunque non fosse ricco e garantito. Su quel crinale, tra fine anni '70 e inizio anni '80, in una Inghilterra intrisa di bigottismo e falsi valori di radice conservatrice, si poteva ancora sognare e ballare, grazie ad artisti fantasiosi e sempre nuovi che solo quell'isola ha saputo generare.
 


I Madness esplodono in Italia, dal nulla con “One step beyond”  che ha in sé uno dei riff di sax più celebri e ipnotici degli ultimi cinquant’anni, un brano che probabilmente hanno sentito almeno una volta nella vita anche coloro i quali non hanno la minima idea di chi siano i Madness. Probabilmente "One step beyond” è il primo pezzo che chiunque citerebbe della band di Londra Nord, con l’eccezione forse degli americani che li conoscono soprattutto per la hit “Our House”. 

 


Ma anche per chi ne ha seguito con devozione la carriera e ancora apprezza il suono fresco, travolgente, eccitante come solo la gioventù e i periodi di cambiamento possono essere, questo brano, che non è assolutamente l'unico degno di nota della band, rappresenta l'esordio, la "madeleine" di proustiana memoria, che il tempo che passa, la disillusione e il cinismo non riusciranno mai a sbriciolare. Chi c’era, non può dimenticare la potenza della musica dei Madness, quando ancora la musica contava qualcosa e riusciva a unire le persone a prescindere da barriere di età, provenienza, classe sociale, pigmentazione della pelle.

 


Chi c'era sa che note che traggono origine dal sound e dal feeling giamaicano si insinuano sotto pelle per riemergere ogni volta che, una radio ancora degna del suo nome, ce le restituisce con pelle d'oca a corredo.

Giovanna Anversa


 

 

 Mi ricollego a quanto scritto da Giovanna sui Madness mostrandovi con orgoglio la mia copia di "Work, Rest & Play", un QDisc in vinile dei Madness del 1980 che acquistai e consumai fino a che ce n'era. Con lo stesso ingenuo entusiasmo del me 12enne di allora.

(il QDisc era un formato economico promozionale di soli 4 pezzi lanciato nei primi '80 in Italia e per artisti italiani; ci furono sole 3 eccezioni per gruppi stranieri, questo dei Madness, uno dei Bow Wow Wow e uno dei Pretenders).

 




Non si può parlare dello Ska senza tracciare i contorni sociali da cui è emerso a nuova vita nelle periferie britanniche verso la fine dei ’70. Non parleremo delle origini primordiali di questa musica che viene dagli anni ’50 (e forse ancor prima) nel “continente” caraibico.
Lo Ska infatti non è solo musica ma uno stile definito che raccontò l'altra faccia degli anni '80, tra disoccupazione, disuguaglianze e razzismo. 


La rinascita dello Ska, dicevamo, avviene in un brodo di coltura interrazziale, da giovani, per lo più proletari e arrabbiati, bianchi e neri, che (nel 1977) trovarono ad aprire la strada il gruppo probabilmente più significativo del movimento, gli Specials.

gli Specials


Sono anni di impegno politico fortemente contraddistinti dalla disillusione, dallo sgretolarsi del sogno sessantottino, dall’arrivo massiccio delle droghe pesanti. Nel regno di sua Maestà Elisabetta il 1977 è l’anno del Giubileo, che precedette di poco l’avvento del thatcherismo, la guerra delle Falklands, la recessione e i tumulti razziali.
Nel 1978 gli Specials vengono scelti da Joe Strummer come gruppo spalla dei Clash, la Bbc Radio passa il loro primo singolo, Gangsters, preludio al primo album, omonimo, di debutto, che mischia inediti come Too much too Young, a cover ska anni’60 come la celebre A message to you Rudy. Come i Clash veicolano nei testi delle loro canzoni la fermezza del messaggio politico, sempre presente, anche nei pezzi apparentemente più leggeri. Sono racconti “neorealisti” dell’Inghilterra dei sussidi statali e della disoccupazione, di un paese sempre più diviso in classi sociali.
 


La loro “Ghost Town” diventa incredibilmente il singolo dell’anno 1981 nel Regno Unito, definito “la canzone che Margaret Thatcher avrebbe preferito non ascoltare mai”. Strade vuote, negozi abbandonati, saracinesche sfondate, inquinamento, fabbriche chiuse, disoccupazione: l’Inghilterra della Lady di Ferro al potere, nella città fantasma cantata da Hall e soci, un ritornello di dolorosa insolenza galleggia su una base dub.

 


 
Il liberismo brutale della Thatcher combatte l’inflazione colpendo l’industria manufatturiera, e quindi il lavoro di migliaia di operai in tutta l’Inghilterra. Come dichiarerà Jerry Dammers (fondatore degli Specials e dell’etichetta 2 Tone Records) al Guardian:
 
«Viaggiavamo da una città all’altra e quello che stava succedendo era terribile. A Liverpool, tutti i negozi erano chiusi, tutto stava chiudendo… Si poteva vederlo andando in giro. Potevi vedere quella frustrazione e quella rabbia anche nel pubblico. A Glasgow, c’erano queste vecchiette per le strade che vendevano tutti i loro oggetti di casa, le loro tazze e piattini. Era incredibile. Era chiaro che qualcosa non andava bene».

 

È l’anno in cui si sposano Carlo e Diana, ma soprattutto è l’estate che vede il dilagare, in gran parte delle città inglesi, delle rivolte iniziate a Brixton qualche mese prima.
Le rivolte a Brixton, all’epoca popolare quartiere londinese prevalentemente abitato da immigrati afro caraibici, già colpiti da recessione e disoccupazione, partirono dopo l’entrata in vigore della sus law, una legge che prevedeva maggiore facilità di fermo e perquisizione da parte delle forze di polizia, accusate dalla popolazione di arrestare arbitrariamente cittadini perlopiù basandosi sul colore della pelle (non vi ricorda qualcosa?).


Sebbene siamo nei patinati anni ’80, nell’estate 1981 Radio One annuncia che Ghost Town, pezzo ska di un gruppo “multirazziale” di giovani proletari, ha rimpiazzato “One day in your Life” del re del pop Michael Jackson dalla prima posizione nelle classifiche dei singoli più ascoltati.

Non è un caso che comincino ad arrivare notizie sul primo utilizzo in assoluto di granate a gas da parte della polizia che cerca di contenere i Toxteth Riots di Liverpool. Nottingham, Wolverhampton, Leeds, Luton, Londra e tanti altri posti, quell’estate furono più di venti le città coinvolte nelle rivolte e gli Specials ne diventano la colonna sonora, sulla scia delle “Guns of Brixton” dei Clash.
 


A stretto giro, nel solco degli Specials si inseriscono Madness, Selecter e The beat.
Se la musica Ska, pur mantenendo inalterato il suo fascino per i cultori del genere, è uscita dalla “heavy rotation” delle radio e delle piattaforme musicali più attuali, le ragioni che l’hanno portata in primo piano rimangono immutate, in un momento come quello che stiamo vivendo, tra guerre, nuove divisioni, migrazioni e paura.

 


Le rivolte dei primi anni ’80 si sono mai davvero sopite? Credo di no, continuano a scorrere come un fiume carsico, pronte a riemergere e ad andare a toccare i nervi scoperti delle nostre società. Sono riaffiorate periodicamente, nelle banlieus parigine degli anni ’90 raccontate al cinema da Matthieu Kassovitz, nella Los Angeles del 1992 dopo l’arresto e il pestaggio di Rodney King, nel 2020 con le proteste del “Black Lives Matter“, dei 70 afroamericani morti mentre erano in custodia della polizia (secondo un’inchiesta del New York Times).
 


Nel nostro paese le cosiddette “seconde generazioni” covano la rabbia sotto la cenere, sullo sfondo di una politica miope che ha affossato consapevolmente l’opportunità di estendere la cittadinanza, ma tutto questo è un’altra storia, che mi ha portato troppo lontano dal punto di partenza.

 



Torno nei binari e resto in Italia, dove lo Ska, pur non mosso dalle spinte sociali britanniche, ma comunque influenzato dal clima socio-politico locale tra la fine degli anni ’80 e i ‘90, ha avuto una sua storia.

Le prime rarefatte tracce di Ska in Italia le troviamo nel 1964 con "Tu sei pallido", inciso da Margherita (Margherita Cappellazzi, di Parma) che altro non è se non la cover in italiano della celebre "My boy lollipop”. L’anno successivo arrivano Les Surf che incidono “Un grosso scandalo”, cover di “Shame and Scandal”. Nel 1966 "Scrivi ti prego" di Silvano Silvi e "Operazione sole" di Peppino Di Capri sono i primi brani di ispirazione ska originali composti in italiano.
 

Dopo un lunghissimo oblìo lo ska torna a farsi sentire negli anni '80, prima con Alberto Camerini con "Skatenati" e "Non Rompermi le Skatole" (1980), Edoardo Bennato con "Canta appress'a nuje", Claudio Cecchetto con "Ska-chou-chou" (1980), Donatella Rettore con "Donatella" (1981). Niente di imperdibile, diciamolo.

 

Statuto

 

Statuto

 


Ad approcciarsi allo ska in chiave più matura saranno pochi anni dopo i torinesi Statuto, nati nell’83, il cui album Vacanze (1988), contenente il singolo Ghetto e la title track Vacanze, è considerato il primo disco ska italiano. Impossibile non menzionare i milanesi Casino Royale che nei primi album (Soul of Ska - 1988, Jungle Jubilee1990 e Ten Golden Guns1990) diedero un impulso fondamentale al movimento ska italiano.

 

Casino Royale


Giuliano Palma & the Bluebeaters

Vallanzaska




Arpioni



Persiana Jones


Fratelli di Soledad


Banda Bassotti


Roy Paci & Aretuska


Shandon



Franziska


Après la classe


Strike

La vera esplosione del levare in Italia corrisponde però allo ska Third Wave, negli anni ‘90, con gruppi come Vallanzaska, che pubblicano il loro primo album Cheope nel 1994. Altri gruppi degni di nota sono gli Arpioni, Giuliano Palma & The Bluebeaters, Persiana Jones, Fratelli di Soledad, Banda Bassotti, Roy Paci and Aretuska, Shandon, Franziska, Après la classe.

 


Una citazione d’obbligo anche per i ferraresi Strike, che abbiamo avuto la fortuna di vedere, giusto dieci anni fa, alla festa di Rive Gauche di Casalmaggiore.

 



Stefano Superchi




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