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25 maggio 2025

Addio a Sebastião Salgado, il fotografo della verità in bianco e nero

 Addio a Sebastião Salgado, il fotografo della verità in bianco e nero

 


Più volte candidato al premio di "fotografo dell'anno", Sebastiao Salgado è scomparso all’età di 81 anni. Documentarista, contraddistinto da uno stile unico e personale, ha ispirato molti artisti emergenti. Sebastião Salgado era un fotografo umanista, considerato uno dei più grandi fotografi dei nostri tempi. Le sue immagini hanno documentato gli aspetti più controversi del mondo contemporaneo: il dolore umano derivante dallo sfruttamento, l’orrore delle guerre e il disfacimento ecologico.




 

La vita di Sebastiao Salgado

Sebastião Ribeiro Salgado nasce l’8 febbraio 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais, in Brasile. A 16 anni si trasferisce nella vicina Vitoria, dove finisce le scuole superiori e intraprende gli studi universitari in economia. Nel 1967 sposa Lélia Deluiz Wanick. Dopo ulteriori studi a San Paolo, i due si trasferiscono prima a Parigi e quindi a Londra, dove Sebastião lavora come economista per l’Organizzazione Internazionale per il Caffè. Nel 1973 torna insieme alla moglie a Parigi. Qui inizia la sua carriera di fotografo, prima come freelance e poi per l’agenzia fotografica Sygma documentando la rivoluzione in Portogallo, la guerra in Angola e le vicende del Mozambico.




Salgado viaggiò molto in America Latina, fino al 1983. Questa propensione al viaggio gli consentì di pubblicare “Altre Americhe”, un grande affresco sui modi di vita e le condizioni di lavoro dei contadini.
Verso la metà degli anni ’80 spostò i suoi interessi verso l’Africa. Queste immagini confluirono nei suoi primi libri. Nel 1994 fondò, insieme a Lélia Wanick Salgado, l’agenzia Amazonas Images, che distribuiva il suo lavoro.

 

Tra il 1986 e il 2001 si dedicò principalmente a due progetti. La fine della manodopera industriale su larga scala con il libro “La mano dell’uomo”, quindi l’umanità in movimento, profughi e rifugiati, ma anche immigranti verso le immense megalopoli del Terzo Mondo, in due libri di grande successo: “In cammino” e “Ritratti di bambini in cammino”.

 


Le sue immagini di una popolazione di emarginati colpirono profondamente l’opinione pubblica e ben presto venne considerato come uno dei più grandi “fotografi umanisti”. Fu Rappresentante Speciale dell’UNICEF e membro onorario dell’Accademia delle Arti e delle Scienze negli Stati Uniti.
Si meritò più di un meritato e prestigiosio premio: lo Eugene Smith Award for Humanitarian Photography nel 1982, l’Erna and Victor Hasselblad Award nel 1989, il Grand Prix de la Ville de Paris nel 1991, l’Award Publication dell’International Center of Photography e il World press photo.



Genesi

Nel 2013 Salgado ha completato un progetto a lungo termine chiamato “Genesi”, un viaggio fotografico nei cinque continenti che attesta la bellezza del nostro pianeta. “Genesi” segna un profondo cambiamento nell’opera fotografica di Salgado. Per la prima volta non mette al centro della sua documentazione l’uomo, ma immagini di animali e di paesaggi naturali.

 


Il fotografo associa questa sua decisione alla profonda disperazione seguita al genocidio in Ruanda nel 1994, durante il quale furono uccise almeno 800.000 persone.
Ma c’è un altro cambiamento, epocale per un fotografo, un cambio tecnico. Salgado iniziò "Genesi" usando una macchina fotografica analogica, ma si vide costretto a cambiare in corsa al digitale, a causa della maggiore facilità di trasporto e dei problemi con gli scanner dopo gli attentati dell’11 Settembre.

 


Salgado, diversamente dal passato, non fotografa ciò che viene distrutto, ma ciò che è ancora incontaminato, per mostrarci quello che dobbiamo preservare. Nonostante la bellezza estetica tanto cara a Salgado, “Genesi” non ha la forza degli altri progetti, dal punto di vista politico. Le immagini del fotografo brasiliano sembrano diventare neutrali: bellissime e preziose immagini della biodiversità del pianeta che finiscono, tuttavia, solo nell’essere contemplate.




Lo stile delle foto di Sebastiao Salgado

Il bianco e nero è il biglietto da visita di Sebastiao Salgado. Nelle sue fotografie è dolente, intriso di sofferenza. Le stampe raffigurano una fuga senza sosta, un tormento continuo, dalle nuove schiavitù al martirio di interi paesi sconvolti dalla guerra. Le opere si ispirano a quelle dei maestri europei, con un pizzico di cultura sudamericana. Parlano di realtà calpestate, del non rispetto per i diritti dei lavoratori, della povertà e degli effetti distruttivi dell’economia di mercato nei paesi più deboli.

 

Salgado è stato spesso criticato a causa della sua attenzione all’estetica, che risultava in contrasto con gli argomenti trattati. Durante la registrazione di eventi tragici e dolorosi, il fotografo brasiliano crea opere che incarnano l’idea di bellezza. Il critico Ingrid Sichy affermò a tal proposito che: “abbellire la tragedia umana produce immagini che alla fine rafforzano la nostra passività verso l’esperienza che rivelano“, tuttavia, attraverso questa bellezza formale, le immagini di Salgado divennero simboliche e universali.

 


La forza di Salgado è proprio nell’unione tra il contenuto dei suoi reportage e la perfezione formale e compositiva del suo lavoro. Il linguaggio fotografico è legato all’estetica, un linguaggio scritto con la luce, da ammirare in silenzio.

 


Salgado e la fotografia analogica e digitale

Salgado ha scattato sempre nel modo tradizionale, usando pellicola fotografica in bianco e nero e tre fotocamere: una Leica reflex con obiettivo 28mm, una Leica M con obiettivo 35mm e una reflex Leica con obiettivo 60mm. Negli ultimi anni ha utilizzato una fotocamera medio formato, la Pentax 645, per ingrandire maggiormente le sue stampe. Tuttavia dopo gli attentati dell’11 Settembre, i maggiori controlli negli aeroporti e la difficoltà di trasporto delle numerose pellicole durante la realizzazione del progetto "Genesi" (dal 2003 al 2013), hanno spinto Salgado ad un cambio verso il digitale.




La Citazione

“Sono prima di tutto un giornalista e un fotoreporter. Vorrei quindi che le persone guardassero alle mie foto non come oggetti d’arte, ma come una sorta di veicolo di realtà lontane che ho avuto modo di toccare con mano. Le mie fotografie hanno il compito di influenzare e provocare la discussione nella società in cui vivo, di stimolare il confronto delle idee. Le mie foto hanno un messaggio preciso, raccontano le storie della parte più nascosta della società.”


“Abbiamo in mano il futuro dell’umanità, ma dobbiamo capire il presente. Le fotografie mostrano una porzione del nostro presente. Non possiamo permetterci di guardare dall’altra parte»



 

Il documentario: Il sale della terra

 



Ispirato dalla potenza lirica della fotografia di Sebastião Salgado, Il sale della terra è un documentario monumentale, che traccia l’itinerario artistico e umano del fotografo brasiliano. Diretto da Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado è stato presentato in concorso al Festival di San Sebastian 2014 e al Festival internazionale del film di Roma del 2014.

 


Stefano Superchi

 






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