Addio a Sebastião Salgado, il fotografo della verità in bianco e nero
Più volte candidato al premio di "fotografo dell'anno", Sebastiao Salgado è scomparso all’età di 81 anni. Documentarista, contraddistinto da uno stile unico e personale, ha ispirato molti artisti emergenti. Sebastião Salgado era un fotografo umanista, considerato uno dei più grandi fotografi dei nostri tempi. Le sue immagini hanno documentato gli aspetti più controversi del mondo contemporaneo: il dolore umano derivante dallo sfruttamento, l’orrore delle guerre e il disfacimento ecologico.
La vita di Sebastiao Salgado
Sebastião Ribeiro
Salgado nasce l’8 febbraio 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais,
in Brasile. A 16 anni si trasferisce nella vicina Vitoria, dove finisce
le scuole superiori e intraprende gli studi universitari in economia.
Nel 1967 sposa Lélia Deluiz Wanick. Dopo ulteriori studi a San Paolo, i
due si trasferiscono prima a Parigi e quindi a Londra, dove Sebastião
lavora come economista per l’Organizzazione Internazionale per il Caffè.
Nel 1973 torna insieme alla moglie a Parigi. Qui inizia la sua carriera
di fotografo, prima come freelance e poi per l’agenzia fotografica
Sygma documentando la rivoluzione in Portogallo, la guerra in Angola e
le vicende del Mozambico.
Verso la metà degli anni ’80 spostò i suoi interessi verso l’Africa. Queste immagini confluirono nei suoi primi libri. Nel 1994 fondò, insieme a Lélia Wanick Salgado, l’agenzia Amazonas Images, che distribuiva il suo lavoro.
Tra il
1986 e il 2001 si dedicò principalmente a due progetti. La fine della
manodopera industriale su larga scala con il libro “La mano dell’uomo”,
quindi l’umanità in movimento, profughi e rifugiati, ma anche immigranti
verso le immense megalopoli del Terzo Mondo, in due libri di grande
successo: “In cammino” e “Ritratti di bambini in cammino”.
Le sue
immagini di una popolazione di emarginati colpirono profondamente
l’opinione pubblica e ben presto venne considerato come uno dei più
grandi “fotografi umanisti”. Fu Rappresentante Speciale dell’UNICEF e membro onorario dell’Accademia delle Arti e delle Scienze negli Stati Uniti.
Si
meritò più di un meritato e prestigiosio premio: lo Eugene Smith Award
for Humanitarian Photography nel 1982, l’Erna and Victor Hasselblad
Award nel 1989, il Grand Prix de la Ville de Paris nel 1991, l’Award
Publication dell’International Center of Photography e il World press
photo.
Genesi
Il fotografo associa
questa sua decisione alla profonda disperazione seguita al genocidio in
Ruanda nel 1994, durante il quale furono uccise almeno 800.000 persone.
Ma
c’è un altro cambiamento, epocale per un fotografo, un cambio tecnico.
Salgado iniziò "Genesi" usando una macchina fotografica analogica, ma si
vide costretto a cambiare in corsa al digitale, a causa della maggiore
facilità di trasporto e dei problemi con gli scanner dopo gli attentati
dell’11 Settembre.
Salgado, diversamente dal passato, non fotografa ciò che viene distrutto, ma ciò che è ancora incontaminato, per mostrarci quello che dobbiamo preservare. Nonostante la bellezza estetica tanto cara a Salgado, “Genesi” non ha la forza degli altri progetti, dal punto di vista politico. Le immagini del fotografo brasiliano sembrano diventare neutrali: bellissime e preziose immagini della biodiversità del pianeta che finiscono, tuttavia, solo nell’essere contemplate.
Lo stile delle foto di Sebastiao Salgado
Salgado è stato spesso criticato a
causa della sua attenzione all’estetica, che risultava in contrasto con
gli argomenti trattati. Durante la registrazione di eventi tragici e
dolorosi, il fotografo brasiliano crea opere che incarnano l’idea di
bellezza. Il critico Ingrid Sichy affermò a tal proposito che:
“abbellire la tragedia umana produce immagini che alla fine rafforzano
la nostra passività verso l’esperienza che rivelano“, tuttavia,
attraverso questa bellezza formale, le immagini di Salgado divennero
simboliche e universali.
La forza di Salgado è proprio
nell’unione tra il contenuto dei suoi reportage e la perfezione formale e
compositiva del suo lavoro. Il linguaggio fotografico è legato
all’estetica, un linguaggio scritto con la luce, da ammirare in
silenzio.
Salgado e la fotografia analogica e digitale
Salgado
ha scattato sempre nel modo tradizionale, usando pellicola fotografica
in bianco e nero e tre fotocamere: una Leica reflex con obiettivo 28mm,
una Leica M con obiettivo 35mm e una reflex Leica con obiettivo 60mm.
Negli ultimi anni ha utilizzato una fotocamera medio formato, la Pentax
645, per ingrandire maggiormente le sue stampe. Tuttavia dopo gli
attentati dell’11 Settembre, i maggiori controlli negli aeroporti e la
difficoltà di trasporto delle numerose pellicole durante la
realizzazione del progetto "Genesi" (dal 2003 al 2013), hanno spinto
Salgado ad un cambio verso il digitale.
La Citazione
“Sono prima di tutto un giornalista e un fotoreporter. Vorrei quindi che le persone guardassero alle mie foto non come oggetti d’arte, ma come una sorta di veicolo di realtà lontane che ho avuto modo di toccare con mano. Le mie fotografie hanno il compito di influenzare e provocare la discussione nella società in cui vivo, di stimolare il confronto delle idee. Le mie foto hanno un messaggio preciso, raccontano le storie della parte più nascosta della società.”
“Abbiamo in mano il futuro dell’umanità, ma dobbiamo capire il presente. Le fotografie mostrano una porzione del nostro presente. Non possiamo permetterci di guardare dall’altra parte»
Il documentario: Il sale della terra
Stefano Superchi
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