Charles Aznavour
il piccolo grande istrione
Era questa la copertina di un disco che mio padre ha ascoltato fino a consumarlo. Ero bimba prossima all’adolescenza ed i miei gusti musicali erano decisamente altri. Ma questo piccolo grande uomo mi affascinava, la voce, le melodie, le interpretazioni così passionali, così intense e l’estasi di papà me lo hanno fatto amare.
Poi diciamolo, non era certo dotato dei canoni classici della bellezza o “figaggine” che dir si voglia. Piccolo, magrissimo, capigliatura con una riga laterale imbarazzante simile ad un riporto, un viso irregolare ma... la sua sensualità fu di una potenza tale che ruppe gli schemi dell’avvenenza allora di moda che veniva dagli attori hollywoodiani o dai singers delle band pop/rock. Vuoi che la lingua, il francese, abbia fatto la sua parte ma la presenza scenica, la simpatia e la “voce tenorile vibrata” lo hanno reso, assieme a Gilbert Bécaud, uno chansonnier unico e indimenticabile.
Ho iniziato ad amarlo così, con mio padre che lo ascoltava pontificando che “lui sì è uno bravo, mica tutti quei capelloni che suonano forte la chitarra e che, invece di cantare, urlano in una lingua che non si capisce!!!”. Aznavour no, lui era un po' melodico, un po' swing e cantava in 7 lingue, italiano compreso.
Ma a me quei “capelloni” piacevano e mi piacciono tutt’ora come anche Aznavour. Un furetto dagli occhi vivaci e profondi, dalle espressioni iconiche con quella bocca dalle labbra strane che muoveva come fosse di gomma, mentre si asciugava le mani sudate con un fazzoletto.
Nato il 22 maggio 1924 oggi avrebbe 101 anni e Officina Coolturale vuole celebrarlo.
Orgogliosamente di origini armene e francese d’adozione, si avvicina al mondo dello spettacolo da bambino, iniziando a lavoricchiare in teatro. Nel 1946 incontra la allora già celebre cantante Edith Piaf, che lo scopre e gli offre l’occasione di una tournée in giro per la Francia e per l’America del Nord. E’ l’inizio di una serie di successi che aumentano a dismisura anno dopo anno.
Aznavour si muove sul palco sprigionando un fascino ipnotico che cancella totalmente il suo non essere l’adone sciupa femmine. Eppure le donne lo amavano perché pareva che dell’amore fosse un cultore. Le sue canzoni parlano principalmente di amore, in tutte le sue sfumature, ma non solo: iconica “Un homme comme ils disent” che affronta il tema dell’omosessualità in tempi in cui parlarne poteva compromettere la carriera.
Ma i suoi successi si rifanno anche alla letteratura, alla poesia, alla pittura; ne sono esempio “Les deux guitares” canzone popolare tzigana composta nel XIX secolo dal compositore russo Ivan Vasiliev (1810–1870), con testi del poeta Apollon Grigoriev, la Bohème che catapulta in una Montmartre dei poeti maledetti e dei pittori impressionisti o “Le Cabotin” inno al teatro.
Come sempre non vogliamo riproporre l’excursus della sua carriera o della sua vita privata, ci teniamo invece a creare curiosità, ad invitare i nostri lettori ad entrare nelle nostre passioni.
Azanvour è una di queste, quell’omino esile che nel brano “Formidable” gioca con le parole mescolando inglese e francese in un sound che invita a cantare e ballare, così come “Pour faire une jam” sfoderando virtuosismi vocali pazzeschi per poi slittare nel romanticismo più scioglievole: non dimentichiamo “Que c’est triste Venise” (magistralmete duettata con Julio Jglesias un po' in francese e un po' in spagnolo), e che dire di “Tous les visage de l’amour” la famossima “She” in versione british, colonna sonora del film Notting Hill.
Sono tantissime le canzoni, i temi, i duetti con artisti internazionali che lo hanno reso fascinoso e affascinante ma più di tutto ha fatto il suo talento e il saper rendere la musica teatro, quasi un precursore del “Teatro Canzone” che esploderà anni dopo.
Aznavour calca i palcoscenici di tutto il mondo e la sua carriera continua fino oltre i 90 anni; memorabile il live al Palais des Congrès a Parigi nel 1987, per dirne uno, ma ancor più strepitoso il concerto che tenne all’Arena di Verona il 14 settembre 2016, aveva 92 anni!
Io c’ero, fu uno spettacolo pazzesco, un regalo prezioso, un inno all’immortalità, emozioni uniche che solo l’arte può dare.
Perdoniamo dunque il cabotin, l’istrione se “con nessuno di noi, non ha niente in comune”.
Giovanna Anversa
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