Mio padre sanguina storia.
Il racconto di un sopravvissuto.
Maus di Art Spiegelman
Anno 1978, Art Spiegelman riesce finalmente a vincere la riluttanza del padre Vladek convincendolo a raccontare come, da polacco ebreo, fosse sopravvissuto alla Seconda Guerra Mondiale e basandosi su questi racconti realizza un fumetto a puntate su una vita distrutta dall’Olocausto. Ancora oggi Maus di Art Spiegelman resta un’accurata analisi post-moderna della Seconda Guerra Mondiale.
Pantheon Books pubblicò Maus in diversi volumi, per poi realizzare un’edizione in volume unico; la prima apparizione del fumetto è del dicembre 1980. Era un inserto in Raw, una rivista fondata dallo stesso Spiegelman con la moglie Françoise Mouly lo stesso anno, una rivista influente nell'ambito del racconto illustrato, che non considerava i fumetti come mero intrattenimento, ma oggetti di cultura, che meritavano diffusione e analisi.
Maus di Spiegelman è stato il primo e unico graphic novel a vincere il Premio Pulitzer, nel 1992. Nel 2011 l’autore realizzò MetaMaus, una guida completa degli studi dettagliati serviti per realizzare il romanzo illustrato. L’opera include un’intervista a Spiegelman, schizzi, foto e le registrazioni originali del padre Vladek.
Nelle prime vignette Art fa visita al padre a New York rendendo una visione concreta della famiglia Spiegelman. Il racconto del passato raffigura per l’autore una scoperta della propria storia, ma gli consente nel contempo di sviluppare la relazione col padre. La storia di Vladek come sopravvissuto si mescola con quella di Art come figlio, che scopre le proprie origini.
L’autore evita racconti iperbolici, giudizi o commenti personali, ritenendo sufficiente la descrizione di quanto accaduto. Ogni scelta grafica e narrativa è orientata a rendere Maus un’analisi della guerra, un periodo complesso e oscuro in cui nulla era sicuro.
In Maus, Spiegelman utilizza gli animali come metafora della nazionalità. Gli ebrei diventano topi, i tedeschi gatti, gli americani cani, i polacchi maiali e i francesi rane. I personaggi che fingono di appartenere a un altro Paese indossano una maschera. Gli animali antropomorfi nei fumetti non sono una novità, erano già apparsi in Topolino di Walt Disney, ma anche in fumetti per adulti del circuito underground, come Fritz the Cat di Robert Crumb. Si trattava però appunto di animali antropomorfi, legati a una lunga tradizione di bestie che si comportano da umani. Spiegelman si spinge più avanti, è il primo illustratore a usare gli animali per mettere in luce differenze culturali. Un mezzo che usa per ottenere un distacco emotivo, rendendo problematica l’immedesimazione.
Maus di Spiegelman è inoltre il primo fumetto a parlare di Olocausto. Avendo a che fare con un tema come il genocidio, Spiegelman sceglie di lasciar parlare la storia, con una narrazione asciutta e distaccata, semplificando al massimo sia lo stile narrativo che quello grafico, distaccandosi dagli eventi. Pagina dopo pagina, le vignette sono sempre più neutrali e stilizzate. La narrazione discontinua, gli schizzi scuri e lo sguardo freddo sugli eventi creano un reportage storico, che non vuole trovare un senso o una spiegazione, ma si limita a esporre i fatti, unisce la storia alle sue conseguenze.
Maus è uno dei primi libri che siano stati classificati come graphic novel, sulle orme di Will Eisner (The Spirit, Contratto con Dio). Ha rafforzato l’idea del fumetto come genere letterario trasversale, in grado di trattare temi adulti e rilevanti, con uno stile più maturo, legato alla cultura underground. Ispirandosi a Harold Grey (Little Orphan Annie) e Frans Masereel (The City), in opposizione ai fumetti sui supereroi, ha contribuito a far riconoscere il fumetto come forma d’arte e non mero intrattenimento.
Il racconto illustrato si è così affermato come prodotto non indirizzato solo a bambini, ma anche a un vasto pubblico adulto.
Stefano Superchi
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