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26 gennaio 2025

La Musica come nutrimento della Memoria

 La Musica come nutrimento della Memoria

 


 L’arte, tra i tanti suoi scopi “terapeutici”, può darci una mano a tenere vivo il nostro legame con il passato e può aiutarci ad imparare dagli errori. La letteratura, il Teatro, il Cinema, ma non meno importante, la Musica, negli anni, hanno fissato dei punti, che possiamo tornare a guardare ogni tanto, per ricordarci chi siamo e quali errori abbiamo fatto. Ci sono opere, che è riduttivo chiamare solo canzoni, che hanno fotografato le cicatrici della storia, in questo caso della Shoah, che possono servirci come bussola per orientare il nostro senso critico.


Una delle canzoni più belle mai scritte sul tema della Shoah è “Il carmelo di Echt” di Franco Battiato (1991). Racconta di Edith Stein, docente universitaria ebrea convertitasi al cattolicesimo e divenuta suora carmelitana nel convento di Echt, in Olanda. Trovata dai nazisti, fu deportata ad Auschwitz e quindi uccisa. Edith è un simbolo di forza e di capacità di resistere. Il suo “desiderio di cielo”, a dispetto dell’odio e dell’orrore, si mantiene puro. Battiato canta la forza, gentile ma invincibile, della pace interiore, e questa vicenda diventa meditazione universale sull’essere umano, un vero e proprio manifesto contro ogni nazismo, in ogni luogo e tempo.
  

  I mattini di maggio riempivano l’aria/I profumi nei chiostri del carmelo di Echt/Dentro la clausura qualcuno che passava/Selezionava gli angeli/E nel tuo desiderio di cielo, una voce nell’aria si udì/”Gli ebrei non sono uomini”/E sopra un camion o una motocicletta che sia/Ti portarono ad Auschwitz

 

 

Nel 1978, i Warsaw di Ian Curtis scrivono “No Love Lost”, un pezzo ispirato ad una vicenda realmente accaduta, dove Yahiel De Nur, con lo pseudonimo di Ka-Tzetnik 135633, racconta (nel romanzo “The House of the Dolls” - La casa delle bambole) la sua esperienza del campo di concentramento, più esplicitamente delle Freudenabteilung, i bordelli all’interno dei campi di concentramento. Freudenabteilung è traducibile in inglese come Joy Division, il nome che assumeranno in seguito i Warsaw e che li ha fatti conoscere anche oltre al recinto della new wave. Il pezzo va oltre il misto di attrazione e repulsione che i giovani musicisti dei primi anni Ottanta provavano nei confronti dell’estetica totalitarista. È oscuro ed essenziale, assolutamente new wave, ma capace di raggiungere anche accenti di reale empatia.

Through the wire screen/The eyes of those standing outside looked in at her/As into the cage of some rare creature in a zoo/In the hand of one of the assistants she saw the same instrument/Which they had that morning inserted deep into her body

(Attraverso il filo spinato/gli occhi di quelli che stavano dall’altra parte la guardavano/Come se fosse una qualche creatura in uno zoo/Nella mano di uno degli assistenti lei vide lo stesso strumento/Che le avevano inserito in profondità nel suo corpo)

 

 

Pochi, probabilmente, sanno che il vero nome di Lou Reed era Lewis Allan Rabinowitz e che la sua famiglia era di origine ebreo-russe. Il suo rapporto con le proprie radici ebraiche fu controverso e tenuto in secondo piano, ma furono proprio queste radici l’elemento comune con una delle figure di spicco del ‘900, lo scrittore e poeta Delmore Schwartz, suo professore universitario. La canzone “Good Evening Mr Waldheim” è una violenta invettiva contro Kurt Waldheim, nominato segretario dell’Onu, nonostante i sospetti trascorsi nazisti. Il testo è però soprattutto da intendersi come una reazione indignata ad ogni forma contemporanea di antisemitismo.

 


“Story Of Isaac” di  Leonard Cohen si può considerare come la Shoah resa canzone, con la potenza espressiva di un sentimento provato nell’intimità. Le radici ebraiche di Cohen abitano una stanza remota, da qualche parte, vicino al cuore, e proprio come in un libro della memoria, il sacrificio di Isacco viene raccontato come esperienza vissuta. Leonard è insieme Isacco e i bambini sacrificati dalle SS e da quella posizione coglie la differenza fra Abramo e i nazisti. Leonard Cohen fa un parallelismo tra l’episodio biblico in cui Abramo quasi sacrifica il figlio Isacco e il modo in cui i governi sacrificano i propri cittadini quando li mandano in guerra. Le parole, profonde e dirette, sono di quelle che lasciano il segno:

You who build these altars now/to sacrifice these children,/you must not do it anymore./A scheme is not a vision/and you never have been tempted/by a demon or a god.

(Voi che costruite ora altri altari/per sacrificare i vostri figli/Non dovete più farlo/Uno schema non è una visione [divina]/E non siete mai stati tentati/Da un demone o da un dio)
Ovvero La banalità del male.

 

Sempre Leonard Cohen, nel 1984, scrive “Dance Me To The End Of Love”,  la storia di un quartetto d’archi costretto a suonare in prossimità dei forni crematori e a fare da colonna sonora alla morte dei loro stessi compagni. La musica nel campo di concentramento viene degradata al rango di espediente per ritardare il giorno della fine e di strumento di crudeltà. Anche in queste condizioni di dolore e abiezione i componenti del quartetto riescono a tenere per sé l’ultima parola. Quella della dignità. Cohen descrisse così la canzone: “Suonavano musica classica mentre i loro compagni di prigionia venivano uccisi e bruciati. Così quella musica, "Fammi danzare verso la tua bellezza con un violino in fiamme", significa la bellezza della conclusione dalla vita, la fine dell'esistenza e dell'elemento ardente in quella conclusione. Ma è lo stesso linguaggio che usiamo per arrenderci al nostro amore”.




Tra i pezzi che riguardano la Shoah è da annoverare “With God On Our Side” di  Bob Dylan, nella quale il menestrello di Duluth ironizza amaramente sulla capacità dell’uomo di dimenticare, rimuovere il dolore, minimizzare gli sbagli, sentirsi sempre nel giusto e benedetto da Dio, perché Dio è onnipotente e può tutto, quindi gli si può giustificare ogni cosa, anche le atrocità delle guerre. Tra l’altro il titolo riecheggia in maniera sinistra il motto “Gott mit uns (Dio è con noi)”, utilizzato, tra gli altri, dal Terzo Reich.
Tutto accade troppo velocemente e la mancanza di consapevolezza mette a dura prova il concetto stesso di Giorno della Memoria, su questo Bob Dylan è tagliente:

“La Seconda guerra mondiale finì, perdonammo i tedeschi e ormai siamo amici. Hanno bruciato sei milioni di persone nei forni, ma anche loro ormai hanno Dio dalla loro parte”.

Mr. Zimmerman, alias Bob Dylan, non vuole aizzare il mondo a serbare risentimento nei confronti di un popolo, ma dare un messaggio ben preciso a non dimenticare ciò che è stato, in nome di una ipocrita idea di pace.


 

 

Nel primo album di Francesco Guccini, Folk beat n.1, figura “Auschwitz”, canzone  originariamente scritta per l’Equipe 84. Il titolo da “Auschwitz” diventerà “La canzone del bambino nel vento”. È un dialogo con un bambino prigioniero del campo, e il vento non è solo quello del freddo inverno polacco, ma anche quello della guerra, del volgere dei tempi, di una realtà così grande e tempestosa, da non risparmiare nemmeno la fragilità dell’infanzia.
Si sente l’imprinting di Dylan, l’ingenuità e l’impegno sociale degli anni del beat italiano e del Folk Studio. Si sente già il segno con cui Guccini marchierà la storia della canzone italiana.



Anche il gruppo dei Baustelle si è misurato con questi temi mettendo in musica una ampia stratificazione di suggestioni e riferimenti. “Il Finale” è una canzone ispirata dalla storia accaduta ad Olivier Messiaen, nel campo di lavoro nazista di Görlitz. Nel  gennaio 1941, il compositore francese suonò la sua composizione "Quatuor pour la fin du temps" davanti a un pubblico di guardie e prigionieri per ordine dei nazisti. Il testo risuona di parole d’amore intensissime. Per una donna, per la musica, per la vita.

 


Tra i brani per non dimenticare la Shoah anche “Numeri da scaricare” di Francesco De Gregori, un messaggio contro l’indifferenza, la forma di violenza peggiore, perché dimenticare equivale a non vedere. Non vedere la violenza che ritorna di attualità.

“C’è odore di bruciato E bambini soldato sepolti in piedi C’è odore di bruciato E bambini soldato sepolti in piedi Puoi pure non guardare. Ma non è possibile che non vedi”

 

 

Merita una citazione la canzone “Khorakhané (A forza di essere vento)” di Fabrizio De André, che pur non essendo una canzone sulla Shoah, riguarda comunque un olocausto, con le stesse circostanze storiche.

I nazisti dichiararono i Rom “razza inferiore” e li inglobarono nello stesso universo concentrazionista cui erano destinati gli ebrei.
Khorakhané significa “lettori del Corano” ed è il nome di una tribù rom di fede musulmana, proveniente da Serbia e Montenegro. Anche qui, come nel pezzo di Guccini, il vento è una metafora, ma questa volta positiva. Simboleggia l’indomabile desiderio di libertà e di sentirsi senza confini da parte di un popolo. Anche nei giorni del suo genocidio.

 


 

Vogliamo infine ricordare alcuni brani meno conosciuti, non per questo da considerarsi “minori”, perché un brano che tratta questo tema non può essere minore.

“Angel of Death” degli Slayer, dove il protagonista è il chirurgo Josef Mengele, soprannominato appunto l’Angelo della Morte. Un racconto crudele degli atroci delitti commessi durante l’Olocausto.

 


“Il diario di Anna Frank”, testo breve scritto da Mino Reitano e cantato da Livio Macchia dei Camaleonti, era la b-side di due 45 giri "Io per lei" e "Applausi" del 1968, che sarà poi incluso nell'album "Io per lei", realizzato con i violinisti dell'orchestra del Teatro "La Scala" di Milano.




 
“Giorni senza memoria”, dei Radiodervish, ci invita a riflettere su crimini e genocidi contro l’umanità, troppo spesso dimenticati.



La costruzione attiva e la “manutenzione” di una memoria viva dovranno essere sempre in dialogo con l’attualità, per prepararsi al meglio. Sperando che non serva.

Stefano Superchi




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