La storia di Souleymane
Odissea di un rider invisibile
Pedalare nel trambusto della vita verso un futuro incerto.
Esce il 10 ottobre al cinema “La storia di Souleymane” del regista francese Boris Lojkine. Un film forte che, con pragmatismo e sensibilità, racconta le 48 ore cruciali di Souleymane (interpretato dall’esordiente Abou Sangare), un giovane immigrato guineano in attesa del colloquio decisivo per ottenere lo status di rifugiato.
Souleymane pedala come un forsennato sulle strade di Parigi è un rider per la consegna di cibo, fra clienti maleducati, controllo digitale, il caporalato moderno degli sfruttatori che esigono la percentuale del suo misero guadagno e le instancabili corse su una bicicletta che diventa il suo strumento di sopravvivenza.
Questo film potrebbe essere benissimo il proseguimento ideale di “Io capitano” di Matteo Garrone. Ma se il primo film era ambientato in Calabria e ruotava attorno a una ragazza immigrata che diventava caporale, qui Souleymane è nel cuore di Parigi (ma potrebbe essere in qualsiasi grande capitale europea, Milano, Londra o Bruxelles) e mostra il mondo attraverso gli occhi di chi il caporalato lo subisce. Una forma di caporalato moderno, di smartphone e account affittati a chi non ha nessun diritto, tantomeno quello di lavorare onestamente.
Siamo dalle parti di Ken Loach, ma Il regista si muove lo fa ovattando la durezza della trama (scritta con Delphine Agut) in una fotografia delicata, l’illuminazione è quella naturale della Ville Lumière, affascinante ma distaccata e poco ospitale. Quasi un documentario l’opera di Lojkine che insieme alla direttrice del casting Aline Dalbis (già documentarista) si è immerso nella dura realtà quotidiana dei rider parigini e dentro alla comunità guineana, assistendo alle reali interviste dell’Ufficio francese per la protezione dei rifugiati e degli apolidi. Lo stesso Abou Sangare, l’attore protagonista, ha lavorato come rider per settimane per immergersi pienamente nel ruolo.
il regista Boris Lojkine |
Ma Souleymane, oltre a fare lo slalom fra i paletti dei problemi quotidiani del lavoro, deve anche affrontare il duro percorso per la richiesta di asilo. Al documentario quindi si aggiunge il thriller, l’ansia crescente e la tensione che arrivano allo stomaco dello spettatore grazie all’uso sapiente del sonoro, che ben rappresenta il ritmo caotico della città e il senso di spaesamento e urgenza interna del protagonista. Non c’è musica vera e propria, ma i suoni di Parigi, che sono la colonna sonora del film. Il montaggio avvicenda scene della frenesia parigina a momenti più riflessivi e profondi.
Presentato nella sezione “Un Certain Regard” al Festival di Cannes del 2024, il film ha vinto il premio per la regia e per l’interpretazione eccellente di Abou Sangare, che trasmette le intense emozioni di un ragazzo in bilico fra sconforto e fiducia. Il regista riesce a fare emergere momenti di dolcezza e umanità anche nel buio, in un sottobosco notturno fatto di vigorose pedalate e rapporti umani teneri e incerti, a volte limitati a contatti virtuali.
In sottofondo c’è la storia d’amore di Souleymane con la fidanzata rimasta in Guinea, che vorrebbe aspettarlo a casa o superare il mare per raggiungerlo. Ma non è il suo destino. Il viaggio di Souleymane è solitario, come una Odissea dei giorni nostri, degli ultimi e dei dimenticati, persone senza diritti che faticano a scorgere la loro Itaca ma non smettono di cercarla.
A cura di Stefano Superchi
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