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10 ottobre 2024

"Quasi a casa". Un racconto di formazione di Carolina Pavone.

 Quasi a casa

opera prima di Carolina Pavone

Un racconto di formazione

 

 

Una relazione che non è amicizia, non è amore e non è lavoro. È forse ammirazione o meglio emulazione. Esce al cinema “Quasi a casa”, film d’esordio scritto e diretto da Carolina Pavone che ha aperto le “Notti Veneziane” della 81esima Mostra del Cinema di Venezia ed è prodotto (tra gli altri) da Nanni Moretti.
 


Proprio di Moretti Pavone è stata assistente alla regia nei suoi tre ultimi film: “Mia madre”, “Tre piani” e “Il sol dell’avvenire”. Quello che viene messo in scena è in larga parte autobiografico, non tanto negli avvenimenti quanto piuttosto nelle emozioni e nelle sensazioni. È infatti naturale intuire quanto la giovane protagonista Caterina (interpretata dall’attrice Maria Chiara Arrighini, al suo primo film), che ancora non ha capito quale sia il suo posto nel mondo, sia – o sia stata – in realtà la regista. E di conseguenza quanto Mia (interpretata dall’attrice e musicista Lou Doillon) sia l’imperscrutabile Moretti.

 


Una trama scritta a quattro mani dalla stessa Pavone e dalla sceneggiatrice Michela Straniero, in cui realtà e finzione si intrecciano su una grana che rende la pellicola contemporanea e al tempo stesso nostalgica.

Siamo a Roma. Caterina ha 20 anni e crede di avere finalmente capito la sua strada: vuole suonare e cantare, essere insomma una vera musicista. Con suo fratello Pietro (l’attore Michele Eburnea) ha messo su il duo Caterina e Pietro. Ma mentre lui segue il flusso e sembra essere più sicuro di sé, Caterina è bloccata fra paure e insicurezze. Gli stadi esistenziali di Kierkegaard vengono qui nettamente impersonificati: lui rappresenta il personaggio etico, lei quello estetico. Non pensa di avere in sé il fuoco che le serve per emergere e lo cerca negli altri, nella forma e nei suoi idoli. E casualmente (ma non troppo) un’estate conosce il suo: la celebre cantante francese Mia.
 


Da qui nasce quel rapporto ingarbugliato, di sottomissione e ammirazione, in cui i ruoli si alternano vorticosamente. Un reciproco scambio di bisogni e attenzioni che accompagnano Caterina e Mia nel corso degli anni. Le attrici recitano con grande intesa, così come il resto del cast, in cui compare anche Francesco Bianconi dei Baustelle.
 


Narrativamente, il film è un racconto di formazione – in buona parte estivo – diviso in tre capitoli. Visivamente è armonioso, con scelte moderne ed eleganti di regia e tagli precisi di montaggio. Un’opera prima nel vero senso della parola, perché segna l’esordio sul grande schermo di molte delle persone che hanno contribuito a realizzarla. Immersi in una jam session continua – tra momenti drammatici, situazioni comiche e altre ancora oniriche – si nota quindi la personalità di un fresco linguaggio cinematografico che si prende anche la libertà di essere istintivo.
 


Con pillole di Nouvelle vague (il ballo al ristorante che evoca quello di Odile, Frantz e Arthur in “Bande à Part” e il taglio di capelli di Caterina alla Jean Seberg in “Fino all’ultimo respiro” di Godard), con le dovute proporzioni può ricordare artisticamente la capacità di raccontare il glamour propria di Luca Guadagnino e il variopinto immaginario di Sofia Coppola. Con la promessa implicita che, se la regista con tutte le dolci fragilità dell’opera prima è finalmente arrivata quasi a casa, la troveremo presto lì dentro, in salotto, a saltare a ritmo di musica.

Edoardo Iacolucci (“La Ragione”)


 


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