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15 settembre 2024

Moana Pozzi tra mito e mistero

Moana Pozzi tra mito e mistero

La più famosa attrice italiana di film porno morì il 15 settembre del 1994 in circostanze di cui ancora oggi si favoleggia, dopo una vita alquanto speciale.

 

 Quanto nei secoli la donna è stata incasellata in ruoli specifici e in certi periodi incontrovertibili?

Ma cos'è una donna, non è forse rifugio, accoglienza, amore che lei sola riesce a distribuire equamente tra l'essere figlia, moglie e madre? La donna è una creatura multitasking e tanti di questi scompartimenti sono al servizio degli altri.

Ma la donna è anche un individuo con una sua natura, con le sue esigenze, i suoi tempi, le sue voglie. In più la donna è erotismo; peccato che la stragrande maggioranza delle persone veda quell'erotismo solo ed esclusivamente come un piatto di antipasto da servire a chiunque. Moana ha fatto dell'essere donna e del vivere il suo erotismo un "bigino", essenziale ed esauriente, di quanto l'essenza vera della donna spesso venga ignorata a favore di atavici cliché e stereotipi.

Moana fu una delle donne più intelligenti, eleganti, sexy e libere del secolo scorso.

Giovanna Anversa



 In una delle sue ultime interviste televisive Moana Pozzi diceva di ritenersi «un’artista» che sapeva «dare delle emozioni»: era il 1994, intervistata da Pippo Baudo, la celebre attrice porno raccontava di aver scelto la sua strada senza pentimento alcuno. Nata il 27 aprile del 1961, Anna Moana Rosa Pozzi fu molte cose, ma è ricordata soprattutto per aver sdoganato la pornografia in Italia grazie ai suoi film e ai suoi interventi televisivi, brillanti e intelligenti. Ma si torna ciclicamente a parlare anche delle circostanze della sua morte, avvenuta il 15 settembre di trent’anni fa e al centro ancora oggi di alcune fantasiose teorie del complotto.



Secondo Rosanna Alloisio, sua madre, Moana Pozzi era «una ragazza fuori dal comune, un enigma. Faceva del bene pure ai sassi». Da bambina era tranquilla e curiosa, e a scuola «una meraviglia»; da ragazzina studiava chitarra classica e faceva immersioni al lago di Bracciano. Poi, per il lavoro di suo padre, ricercatore nelle centrali nucleari, si trasferì con la famiglia prima in Spagna, poi in Brasile e in Canada, per poi tornare a Genova, dove era nata e dove trascorse l’adolescenza: «Leggeva tanto, amava i classici, poi non so cosa è successo», dice la madre.



Alta 1,78, bionda e procace, a diciott’anni si trasfersce a Roma per studiare recitazione, e comincia a lavorare come modella e attrice, ottenendo piccole parti nei film La patata bollente con Renato Pozzetto, Borotalco di Carlo Verdone e Vacanze di Natale, dove interpreta una delle amanti di Jerry Calà. Nel 1981 partecipa a Miss Italia e l’anno dopo diventa co-conduttrice di un programma per bambini su Rai 2.
Nel frattempo prende parte ai suoi primi film porno, con vari pseudonimi, come Margaux Jobert e Linda Heveret. In un’intervista a Giampiero Mughini per L’Europeo nel 1987 spiegò di essere entrata nel giro rispondendo a un annuncio su un giornale e che le era sembrata «una cosa del tutto naturale». Ma in pochissimo tempo, malgrado gli pseudonimi, fu riconosciuta e la voce cominciò a girare in Liguria per gli articoli pubblicati sul Secolo XIX di Genova. Dapprima Moana negò, ma ad un certo punto dovette ammettere la sua doppia identità e fu rimossa dal programma.



Dopo parti minori e qualche pubblicità, nel 1986 Moana entrò a far parte di Diva Futura, la prima agenzia di casting porno italiano, fondata dal regista Riccardo Schicchi e dalla pornostar ungherese Ilona Staller (Cicciolina). Con Schicchi girò Fantastica Moana, che la rese famosissima e la proiettò nella dimensione di mito del cinema erotico: nei film successivi interpretò se stessa, recitando con i più noti attori porno del tempo, Rocco Siffredi su tutti.

Tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta, oltre all’intensa attività nei set del cinema porno, si schiusero per lei altre porte come modella, autrice, personaggio televisivo e politica. Recitò in film prodotti negli Stati Uniti e sfilò per Fendi; era considerata l’unica attrice di film porno a poter apparire nei programmi tv destinati al grande pubblico, sia sulla Rai che sui canali privati. Era sofisticata ed elegante, frequentava personaggi del livello di Troisi e Benigni, e grazie alla sua cultura e alle sue doti comunicative le veniva chiesto di parlare, tra le altre cose, di erotismo ed educazione sessuale.


Le piaceva provocare, il sesso la divertiva e diceva che il suo era «un erotismo consapevole». In un programma del 1994 una donna del pubblico le chiese quale fosse la differenza tra il suo lavoro e quello di una prostituta. Lei rispose di non avere niente contro quel mestiere, chiosando però: «Io scelgo quello che faccio, la prostituta in fondo si fa soltanto scegliere».

 


Non mancarono comunque le critiche legate alla sua attività: si dovette ritirare dal programma Jeans 2 condotto da Fabio Fazio, il programma Matrjoska di Antonio Ricci fu censurato perché lei attraversava lo studio televisivo nuda (il programma andò poi in onda nei primi mesi del 1988 con il titolo L’araba fenice, dove compariva nuda, ma coperta di cellophane).



Nel 1991, ormai popolarissima ma ostracizzata dai media, decise di pubblicarsi da sola La filosofia di Moana, un libro che tutti si rifiutarono di pubblicare e alla fine fu distribuito in 20mila copie nelle edicole. Nel libro raccontava di personaggi famosi con cui sosteneva di aver avuto rapporti sessuali: da Beppe Grillo a Marco Tardelli, fino all’ex presidente del Consiglio Bettino Craxi, mai esplicitamente menzionato, ma con cui avrebbe avuto una relazione quando era segretario del Partito Socialista.


 


Fu una delle principali sostenitrici del Partito dell’Amore (con Ilona Staller, eletta alla Camera nel 1987 con i Radicali). Il partito, fondato nel ’91, aveva un logo con un cuore rosso al centro del quale c’era la foto di Moana Pozzi, che tra il 1992 e il 1993 si candidò sia per le elezioni politiche che per quelle comunali a Roma. Non fu eletta, ma alle elezioni dell’aprile del 1992 ottenne 12.393 preferenze, il doppio di quelle ottenuti da Umberto Bossi della Lega Nord e duemila in più di quelle per Francesco Rutelli, eletto con i Verdi.



La madre di Moana raccontò che sua figlia era molto religiosa, che non fumava, non beveva e non faceva uso di droghe e, all’inizio del 1994, le aveva detto di avere la nausea da quasi due mesi: secondo i medici aveva un’epatite trascurata. Sempre secondo la madre, scoprì di avere un tumore al fegato in seguito ad accertamenti svolti da un medico amico di famiglia a Lione.

Muore a 33 anni il 15 settembre dello stesso anno, dopo cinque mesi di ospedale nella città francese, con una diagnosi di tumore al fegato, probabilmente aggravato da un virus che aveva contratto durante un viaggio all’estero.
Rispettando il volere di Moana la notizia della morte fu data dalla madre solo due giorni dopo.


 


Negli anni successivi le contingenze della morte dell’attrice hanno favorito diverse teorie complottistiche. C’è chi sostenne che fosse morta di AIDS (ricostruzione seccamente smentita da amici e familiari), c’è una teoria basata sulle dichiarazioni rilasciate in forma anonima da un agente dei servizi segreti italiano che la catalogò come una spia del KGB, quindi uccisa per aver saputo cose scottanti da importanti uomini politici dell’epoca.

Non essendo stata svolta un’autopsia né foto della sua salma, qualcuno insinuò che avesse inscenato la sua morte, ma in realtà fosse ancora viva. Schicchi spiegò che Moana aveva voluto essere cremata, mentre la madre disse di aver ritirato lei le ceneri, e di non voler dire a nessuno dove siano. C’è poi la versione data più avanti dalla ex pornostar Eva Henger, ex moglie di Schicchi, secondo cui Moana Pozzi non era morta il 15 settembre del 1994, ma alcuni mesi dopo per poter trascorrere gli ultimi mesi con i suoi cari sottraendosi alla morbosità dei media. Nel 2007 Antonio Di Ciesco raccontò di averla aiutata a morire, come (a suo dire) richiesto da Moana. I due si erano sposati a Las Vegas nel ‘91 tenendo nascosta la relazione perché “il suo pubblico non avrebbe accettato l’idea che era sposata”. Questa versione fu smentita dalla madre che definì Di Ciesco “sedicente marito” e “nullafacente che le faceva da autista”.



La morte di Moana Pozzi è stata approfondita dalla procura di Roma e dal programma Chi l’ha visto, alla sua vita sono stati dedicati numerosi speciali televisivi e la serie del 2009 Moana, con protagonista Violante Placido. Il suo personaggio compare in Supersex, serie Netflix sulla vita di Rocco Siffredi, interpretata dall’attrice Gaia Messerklinger, e in Diva Futura, film sull’omonima agenzia presentato all’ultima Mostra del cinema di Venezia, in cui a interpretarla è Denise Capezza.


A cura di Stefano Superchi

Sabbioneta chamber OPERA festival. Dal 21 settembre al 6 ottobre.

Sabbioneta chamber OPERA festival.

Dal 21 settembre al 6 ottobre.

 


 Il Sabbioneta chamber OPERA festival è un progetto ideato da “Concetto Armonico Aps” grazie alla collaborazione del Comune di Sabbioneta e con la direzione artistica di Andrea Castello.
Con un programma di alta qualità artistica, il Festival porterà nella Città Ideale di Vespasiano Gonzaga concerti, opere, conferenze e presentazioni di libri.

Il Festival sarà ospitato presso il Teatro all’Antica, Palazzo Ducale, Chiesa dell’Incoronata e di Villa Pasquali. Protagonisti del Festival saranno alcuni tra i più grandi artisti dell’opera lirica a livello internazionale e molti giovani artisti.


Tra i protagonisti del Festival 2024 ci saranno: Barbara Frittoli, Sara Mingardo, Laura Polverelli, Vivica Genaux, Joseph Dahdah, Said Gobechiya, Marcos Madrigal, Roberto Loreggian, Francesco Galligioni e l’Accademia degli Astrusi.

L’inaugurazione del Festival prevista del 21 settembre, consoliderà un’importante collaborazione tra il ConservatorioL. Campani” di Mantova ed il ConservatorioA. Pedrollo” di Vicenza, che saranno protagonisti con l’ensemble strumentale diretto da Marco Tezza. Non mancherà l’incontro con l’autore con Alberto Mattioli, tra i più noti critici musicali a livello internazionale.
Il Festival 2024 è sostenuto dal Ministero della Cultura, Regione Lombardia, Comune di Sabbioneta, Fondazione Cariplo, Fondazione Heritage e con la collaborazione della Pro Loco di Sabbioneta.
Nel 2023 si è svolta la prima edizione dell’evento con titolo Festival degli Olimpici che, per la prima volta dopo cinquecento anni, ha creato un ponte culturale tra il Teatro all’Antica di Sabbioneta ed il Teatro Olimpico di Vicenza con il FestivalVicenza in Lirica”.

 

IL PROGRAMMA

 

Sabato 21 Settembre ore 21:00 

Teatro all’Antica di Sabbioneta

Das Lied von der Erde di Gustav Mahler

Sinfonia per contralto, tenore e orchestra con le musiche di Gustav Mahler



Domenica 22 Settembre 22 ore 18:00

Teatro all’Antica di Sabbioneta

La Cenerentola in viaggio a Sabbioneta

Dall’opera "La Cenerentola" di Gioachino Rossini


Lunedì 23 Settembre ore 18:00 

Auditorium Monteverdi di Mantova

Das Lied von der Erde di Gustav Mahler

Sinfonia per contralto, tenore e orchestra con le musiche di Gustav Mahler



Venerdì 27 Settembre ore 20:30

Chiesa di Villa Pasquali

Inno a Maria


Concerto d'organo di musica sacra con Said Gobechiya


Sabato 28 Settembre ore 21:00

Teatro all’Antica di Sabbioneta - Teatro Olimpico

Dialoghi/La Canzone dei Ricordi


Con Marcos Madrigal e Barbara Frittoli



Domenica 29 Settembre ore 18:00

Chiesa dell'Incoronata di Sabbioneta

Nisi Dominus di Antonio Vivaldi

Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi


Con Sara Mingardo e Maddalena De Biasi


Lunedì 30 Settembre ore 10:00

Venerdì 4 Ottobre ore 18:00

Teatro all’Antica di Sabbioneta - Teatro Olimpico

Master class di canto lirico

dedicata a Giacomo Puccini

 

 Con Barbara Frittoli





Venerdì 4 Ottobre ore 21:00 

Teatro all’Antica di Sabbioneta - Teatro Olimpico

Concerto lirico, omaggio a Giacomo Puccini

 

Con i solisti della master class di Barbara Frittoli

 

 

Sabato 5 Ottobre ore 21:00 

Teatro all’Antica di Sabbioneta - Teatro Olimpico

All’ombra della Serenissima

Musiche veneziane tra il XVII e il XVIII secolo, con Vivica Genaux.


Domenica 6 Ottobre ore 17:00

Teatro all’Antica di Sabbioneta - Teatro Olimpico

Rosicca e Morano

di Francesco Feo

Intermezzo buffo con Maria Elena Pepi e Said Gobechiya



 

per maggiori informazioni visitate il sito sabbionetaoperafestival.it


a cura di Stefano Superchi








14 settembre 2024

Giuni Russo. Un’ estate (involontariamente) al mare.

Giuni Russo

Un’ estate (involontariamente) al mare


Estate 1982. L’Italia inebriata dal successo ai Mondiali di calcio, canta un tormentone di una, fino ad allora, sconosciuta cantante, androgina e con una voce fuori dal comune. "Un’estate al mare", scritta da Franco Battiato con gli arrangiamenti di Giusto Pio, irrompe nella penisola pigramente distesa in spiaggia.



La cantante è Giuni Russo, pseudonimo di Giuseppa Romeo, nata nel quartiere popolare di Borgo Vecchio a Palermo il 7 settembre 1951. Morirà a Milano il 14 settembre 2004, vent’anni oggi.

"Un’estate al mare" e poi "Alghero" (il 45 giri pubblicato qualche anno dopo, nel giugno 1986) hanno fatto di Giuni Russo un emblema dell’estate in Ray-Ban ed espadrillas, dei suoi languori, delle sue coste argentate, dei suoi luccichii, delle sue isole splendenti e dello “stile balneare”, che riguardò l’immaginario di tanti artisti provenienti dalle regioni della Magna Grecia.
Di queste hit estive Giuni rimase involontaria prigioniera, gli diedero il successo e la fama, ma era altro da quello che avrebbe voluto.
 

Giuni Russo non soffre di un eccesso di commemorazioni e tributi, che, se vogliamo, non è un male, anzi. Il Comune di Alghero una decina di anni fa le ha intitolato uno slargo affacciato sul mare, il Mirador Giuni Russo, non solo perché nella fantasia popolare Giuni avrà sempre le sembianze di una divinità balneare, nata fra onde e ombrelloni, ma perché il mare rappresenta il legame tra la Sicilia nativa e la Sardegna elettiva, dove Giuni Russo prenderà casa, a Portobello di Gallura. Da adulta racconterà che quando era ancora bambina, a Palermo, giocando per strada aveva sentito una ragazzina dire: “Ad agosto viene mia zia dalla Sardegna”. Il suono della parola “Sardegna” da allora le rimane dentro.

 


Dotata fin da bambina di una voce fuori dal comune, da soprano lirico, Giuni Russo aveva provato a sfondare nella musica da giovanissima, nei tardi anni Sessanta. La sua carriera è fatta di stop e ripartenze. Debutta al Festival di Sanremo nel 1968, a diciassette anni, con il nome di Giusy Romeo. Tra gli esordienti di quella edizione c’è anche Al Bano, che diventerà presto una celebrità.

 


Giuni invece non trova il successo, tutt’altro, però a Sanremo incontra nella hall Louis Armstrong, che le regala un bocchino d’argento. Si trasferisce a Milano, dove conosce Maria Antonietta Sisini, musicista di origini sarde, arrivata nel continente insieme alla madre divorziata. Mentre prova a trovarsi uno spazio nell’ambiente discografico, si integra in quel piccolo e atipico nucleo familiare, che si allarga, le fa spazio e l’accoglie. Diventa, per la madre di Maria Antonietta, una seconda figlia.

 


Il pubblico conosce e adora la Giuni Russo degli anni Ottanta, mentre della sua storia precedente è rimasto ben poco nella memoria.

Dopo il grande successo, che significò anche stabilità economica, Giuni Russo intraprende una propria strada, non è interessata a collezionare tormentoni estivi, non vuole identificarsi esclusivamente con la sua icona pop balneare. Si avvicina a una musica di ricerca, tra l’operatic pop e la musica sacra, assegnando all’uso della voce il massimo grado di libertà espressiva. Unica ed inimitabile, è stata l’antesignana in Italia della musica di confine e il suo percorso artistico, prima e dopo i tormentoni estivi, è sempre stato libero da ogni costrizione o imposizione delle case discografiche.

E ne ha, consapevolmente, pagato il prezzo.

 


A partire dal 1988 l’interesse per la spiritualità imprime una nuova direzione alle vite di Giuni e Maria Antonietta. Leggono testi di filosofia esoterica e di mistica, da Rudolf Steiner a Le tavole smeraldine di Ermete Trismegisto, da san Giovanni della Croce a Teresa d’Avila e Ignazio di Loyola. È un cammino che le porta a conoscere e frequentare un convento di Carmelitane Scalze a Milano.

 


Quando Giuni si ammalerà e capirà che non le resterà molto da vivere, chiederà alle Carmelitane Scalze di poter riposare definitivamente tra loro. Le Carmelitane, a sorpresa, accettano. Come verrà spiegato nell’omelia pronunciata al funerale da una consorella, Giuni, in fondo, è stata una carmelitana, ovvero “una persona che col canto aveva rallegrato gli animi di tutti i fratelli”. Se ne va il 14 settembre 2004 e da allora le sue spoglie riposano al Cimitero Maggiore di Milano, fra quelle delle altre Carmelitane Scalze.

Ste
fano Superchi

 



13 settembre 2024

A Nazzareno. E qualcosa rimane, fra le pagine chiare, fra le pagine scure.

A Nazzareno.

E qualcosa rimane,

fra le pagine chiare,

fra le pagine scure.


Pensiero per Nazzareno

 si fa presto a dire amici

Nazzareno ed io (a dire il vero il diminutivo Nazza non mi è mai piaciuto) non eravamo amici, o quanto meno il nostro rapporto non aveva le caratteristiche di quella che io ritengo debba avere l’amicizia nel senso epico del termine.
Non ho condiviso con lui praticamente nulla: né le stagioni dell’età, né le tappe che i giovani intraprendono per diventare uomini, né nessuna notte insonne a parlare di tutto e di niente. Ho condiviso gli spazi comuni della nostra cittadina, gli oratori, gli argini, i campetti da calcio e qualche veloce caffè al bar della piazza quando magari ci si incontrava il sabato mattina. Decisamente poco, quasi niente.
Mi permetto di parlarne dunque in altra veste, quella di conoscente, lasciando ai suoi amici veri e alle persone a lui care, i pensieri più alti e i ricordi più belli, e dio non voglia che mi spacci per ciò che non sono stato, perché mi sentirei veramente bugiardo.

Eravamo conoscenti, si, ma conoscenti di una razza particolare, conoscenti di penna: lui la sua, da professionista del giornalismo, io la mia, da narratore di piccole storie.
Come dire, la nostra era una vicinanza per interposta scrittura e per questo necessariamente meno viscerale, più ponderata, a tratti sottile, spesso impalpabile.
Al di là della casalaschitudine, ci accomunava dunque il desiderio di scrivere; scrivere per il piacere di raccontare, da parte sua probabilmente scoperto già in giovane età come meta di vita, da parte mia molto molto più tardi. E fu bastante.
Eppure, a fronte di ciò che non ci accomunava e nonostante le rade parole che ci siamo scambiati, come so che lui era avido della lettura dei miei scritti, parimenti io lo ero dei suoi, come se ci cercassimo a vicenda non tanto nella fisicità degli incontri quanto nella ricerca dell’altrui personalità tramite gli articoli suoi e le storie mie.
E allora si, proprio attraverso il tramite della scrittura ho sentito la nostra vicinanza. La condivisione di un certo spirito nel raccontare storie e la soddisfazione nel poterle trasmettere ci riempiva l’animo e ciò è stato bastevole per farci percepire, dopo poco tempo, una rispettiva concreta stima.
Di altro non ci siamo mai detti; anche se poi ci si cercava: io nei luoghi fisici o virtuali dove scriveva, lui ogni tanto chiedendomi se avessi qualcosa di “nuovo” da dare in pasto ai suoi lettori.

Non vorrei aggiungere altro perché altro non ho da aggiungere, se non un pensiero di quelli che so gli sarebbero piaciuti: forse qualcuno conoscerà l’equazione di Dirac in tema di fisica quantistica. Ebbene questa legge, in una alquanto sommaria e veloce definizione, dice che, ovunque nell’universo, se due particelle hanno l’occasione di incontrarsi, esse continueranno ad influenzarsi anche dopo essersi distaccate, ed in un qualche modo esse continueranno a condizionarsi reciprocamente.

Io non so se Nazzareno fosse credente o meno e nemmeno mi importa; e nemmeno mi è dato conoscere se esista ancora in altra dimensione, se viva in altro mondo o altra spirituale condizione, oppure se tutto il suo essere si sia esaurito o pervaso in tutto o in niente, ma so che nel nostro rapporto l’equazione di Dirac ci sta benissimo, e so che la tua conoscenza, ma di più i tuoi scritti e quindi tu stesso, sei venuto in contatto con me, sei stata particella e mi hai benevolmente influenzato; e questo mi pare un bel pensiero per sentire, nel futuro che da oggi e per non so quanto io potrò avere, che tu sarai ancora con me.

    Giampietro Lazzari




A.N.D.O.M.

Ricordi e pensieri in libertà, per un amico.

Arrivare, tardi o presto, non faceva alcuna differenza.

 Le grandi compagnie degli oratori, delle piazze, dei bar di quella Casalmaggiore avevano tempo. Tempo di aspettare, andare, dividersi a gruppetti e poi ritrovarsi, più tardi o il giorno dopo, per i racconti e i commenti, sulla giornata, il pomeriggio, la serata

 Il tempo giovane, quel tempo Nazza, sembrava infinito. Tempo che fluisce perdendosi, ma che tante volte ritroviamo nel racconto, nei ricordi. Tanto tempo Nazza, hai fatto ritrovare, a me e a tanti altri, tu che, del racconto, eri infaticabile cultore, da sempre e per sempre fino all’ultimo respiro...

 

Non ti è mai mancato il coraggio.

 Sei stato l’unico, quel giorno che abbiamo accompagnato l’ultima volta il nostro White ad avere il coraggio di avvicinarti al microfono e riuscire a parlare, lasciandoci, ancora più di quanto non fossimo già, muti e in lacrime.

Eravamo ancora giovani, dopo quei giorni lo fummo di meno, ma con più coraggio affrontammo mestizie e domande .

Poi, ancora di recente, il tuo racconto ha accompagnato e lenito altre perdite, Lele, Giorgio e i tanti di cui hai scritto l’umanità e il cammino, temperando dolore e cordoglio di amici e parenti creando, con la parola, comunità di sentimenti.

Coraggio che ti è servito, nel corso degli anni, superando malanni ed astratti giovanili furori in un crescendo di apertura e capacità di connettere e comunicare.

La ragione e il senso della tua grande forza sta nella strada che hai percorso, nei dubbi, nelle domande, negli ostacoli alla fine superati.

In un crescendo di forza e coraggio, fino all’ultimo respiro...

 

Don Lorenzo, Don Primo, Don Paolo, poi don Angelo, Don Marco, Don Giuliano...

Nel titolo di una pubblicazione recente, datata 2023, di Papa Francesco ci dice che il Cuore ci parla di Dio. Nelle note del retro di copertina Padre Arturo Sosa Abascal chiosa: “Fa’ come Dio: diventa uomo.”

Diventare uomo per te Nazza, come per molti di noi, ha significato confrontarsi con le grandi domande di senso, cui ciascuno, nel tempo ha dato le risposte.

Altrettanto fascino, forse di più, hanno sempre esercitato su di noi questi uomini, che ad una parola davano piedi, mani testa, carne insomma, a volte anche sangue.

Nella sequela di Don Paolo, seguace di Don Primo e Don Lorenzo, hai sperimentato la parola e l’azione profetica, la fatica del bene e il servizio agli ultimi.

Nel Dio che si fa Uomo hai trovato la vicinanza alla sofferenza come all’allegria.

 Non hai più scordato questa pratica e questa lezione, proseguita con racconto, parola e pratica solidale, i mezzi che ti erano consoni e cari, fino all’ultimo respiro...

 

Ora dopo ora, i ricordi si accavallano, a volte nitidi, a volte come vecchie foto, ingiallite e fuori fuoco... Una corsa per Vienna, per recuperare una preziosa borsa in una birreria, un risotto a tarda ora, un vino speciale per l’ultimo dell’anno, le melanzane sott’olio della mamma, un vecchio disco della costa ovest, la Molly sul divano, un abbraccio a Cristina.

Ora dopo ora memoria e dolore si intrecciano, come fiumi carsici si inabissano, per poi, all’improvviso, risalire in superfice.

Chiedere cose facili prima a te stesso e poi agli altri non era nel tuo stile. Hai chiesto un sorriso, un brindisi, una canzone per ricordarti. Difficile in questo momento, difficilissimo.

Resta il tuo esempio, che ha regalato parole, sentimento, sorrisi e coraggio, fino all’ultimo respiro.

 

Mai mollare. E mai hai mollato.

Mai come adesso una notte quasi autunnale restituisce atmosfere a te famigliari. Il silenzio della sera, quasi notte, pochi rumori. Una macchina che passa, lontano. Il rumore di una tapparella, il guaito di un cane. Un bubbolio di tuoni, un lontano temporale, il ticchettio della tastiera, la luce bluastra dello schermo. Quante volte avrai vissuto questo tempo, nel quale i tuoi scritti prendevano forma.

Qualcosa d’altro però prendeva forma, l’ultima lezione, la parola stampata sul tessuto e nell’anima.

ANDOM, prima persona, plurale.

Prima persona perché ciascuno risponde di sé, di ciò che fa e dice.

Ma non basta. Ciascuno deve agire per e con gli altri, per uno scopo comune, che non può essere che il bene.

“Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia.”  Chiosava Don Lorenzo, in un celebre scritto.

Con una parola hai indicato, in sintesi, il significato della politica secondo te, il governo della polis come azione collettiva volta al bene comune.

Da soli è avarizia e tu Nazza sei stato il contrario, generoso fino in fondo, fino all’ultimo respiro...

     Giancarlo Roseghini

 


 


Che fortuna è la tua amicizia!

    Non smetterò, mai di cercare il tuo cuore per continuare a scrivere insieme. E so che lo troverò..... nel vento, in una canzone di James Taylor e in tutto ciò che splende. Stasera è tardi, come spesso accade, tu hai da poche ore concluso un viaggio per iniziarne un altro e Alexa mi regala You've got a Friend di James a volume basso.

Ti penso ancora, come me, davanti al PC a scrivere cose perché non è ancora ora di andare a dormire. Perché mai ha così tanto fascino la notte? Perché di notte il mondo è tutto a tua disposizione, perché di notte il silenzio ha un bel rumore caldo e soffice, perché non devi spiegare niente a nessuno e nessuno ti interrompe, perché la pace della notte ti fa svenire tra le braccia di Morfeo all'improvviso o semplicemente perché ha quel bel colore blu puntinato d'argento.

Mi piace pensare che alcuni amici sentono la notte come me. E sarà lì, davanti a uno spicchio di luna o alla danza di Sirio che continuerò ad incontrare la tua anima bella,la tua infinita bontà, la tua intelligenza, la tua forza, la tua complicità, il tuo supporto, il tuo inchiostro colore del cuore, la rarità del capirsi al volo e di incoraggiare i reciproci sogni. Che fortuna è la tua amicizia!!!   
    
    Non smetterò mai di rincorrere la tua anima e quel tuo cuore miscredente dal palpito così cristiano che non poteva che battere in una creatura di nome Nazzareno.   
    
    Riposa amico mio sebbene io sia certa che già qualcosa dall'altra parte ti sta impegnando in un andòm eterno. 
 

        Giovanna Anversa  

 


 

  Della gratitudine

Per anni il mio rapporto con Nazzareno è stato da semplice lettore; i suoi articoli erano qualcosa di più della nuda cronaca, erano spesso affreschi di un Mondo Piccolo, per dirla alla Guareschi.
Il prete, il carabiniere e il Sindaco, la gente comune, gli “ultimi”, termine ormai abusato ma non da Nazzareno, perché lui aveva il pregio di riportarli in primo piano, forte della “scuola” di Don Paolo. I suoi scritti non lasciavano indifferenti, o, per meglio dire, non lasciano indifferenti, perché sono e saranno lì da leggere. Ammirare la sua prosa non voleva dire, per me, essere automaticamente e sempre d’accordo con lui, non voglio farne un ritratto apologetico. I personaggi, le persone uscite dalla tastiera del suo Mac, è come se ad un certo punto, dopo aver preso forma, conquistassero una vita autonoma, ma era lui ad averli fatti sbocciare, come una levatrice che fa nascere il bambino e lo affida al futuro.

L’ho sempre visto come un giornalista old style, a macinare strade, ad assecondare il fiuto che lo portava sulle vie meno battute.
Pur essendo quasi coetanei non ci siamo mai incrociati in gioventù.
La prima volta che lo incontrai fu quando, con l’associazione di cui faccio parte, decidemmo di affidarci a SportFoglio per un inserto speciale, ci incontrammo nella sede di via Marconi.
La sua “postazione” era leggermente rialzata rispetto all’ingresso, e questo mi incuteva un senso di soggezione. Ma durò un attimo, perché lui era così, ti metteva immediatamente a tuo agio, si metteva a disposizione, in ascolto.

Con il tempo poi scoprimmo le tessere di un mosaico che per alcuni frammenti era affine, la nostalgia comune per il settimanale satirico “Cuore” (quando parlava della “sua” Bologna gli si illuminavano gli occhi), l’interesse per le battaglie sui diritti civili (il suo sostegno alle iniziative sulla raccolta firme sul fine vita fu puntuale ed incondizionato).

La nostra collaborazione iniziò in maniera quasi casuale; una mattina all’alba andai a fare delle foto al ponte sul Po, chiuso per le ragioni che sappiamo. Mi chiese una foto per corredare un pezzo e da lì cominciammo uno scambio di foto e brevi scritti. Io mi sentivo sempre un po’ inadeguato, ma lui mi ha sempre dato fiducia. È questo il tratto più saliente della sua personalità , per quanto mi riguarda. Mi ha dato consapevolezza e la forza di provarci, di mettermi in gioco. Conserverò per sempre i suoi incoraggiamenti, i suoi attestati di stima sono per me un patrimonio inestimabile. Cercherò di meritarmeli. Tutto quello che scrivo, che fotografo, non è che un modo per restituire quello che mi ha donato.

     Stefano Superchi


Moana Pozzi tra mito e mistero

Moana Pozzi tra mito e mistero La più famosa attrice italiana di film porno morì il 15 settembre del 1994 in circostanze di cui ancora oggi ...