Profondo Rosso e Lo Squalo
50 anni di note da paura
Compiono mezzo secolo due epiche colonne sonore. Le note da far paura.
Il 1975 è un anno complicato: termina la guerra in Vietnam, Pol Pot comincia una delle dittature più disumane della storia, Margaret Thatcher è la nuova guida del Partito conservatore inglese, viene assassinato Pier Paolo Pasolini.
Il mondo del cinema rielabora questo clima inquietante e spara fuori film antitetici, dal cinema d’autore di Fellini al filone “poliziottesco”, dalle commedie sexy al cinema “politico” più impegnato.
Il pubblico si divide tra chi ha voglia di disimpegno e chi frequenta i cineforum, più per obbligo di allineamento che per piacere. Tra questa dicotomia fa la sua apparizione una categoria che spariglia le carte, il genere horror.
Sono due i film che emergono, “Profondo Rosso” di Dario Argento in Italia e “Lo Squalo” di Steven Spielberg a livello internazionale. In entrambi i casi le colonne sonore non rimarranno sullo sfondo, ma faranno scuola; a firmarle saranno John Williams, compositore affermato e nome stimato dell’orchestrazione (Lo Squalo) e i Goblin, una band prog semisconosciuta composta da musicisti eccellenti.
Per raggiungere questo obiettivo giocano su loop costanti e sulla circolarità musicale, una chimica sonora capace di infondere una dose di ‘disturbo’ e tensione emotiva.
Per la musicoterapia e le neuroscienze, note del genere suonate ripetutamente in scala ascendente generano senso di sospensione, stress, angoscia e tensione. Perfette per raccontare l’affiorare dall’abisso dello squalo divoratore di esseri umani, talmente appropriate che durante il film non è più necessario mostrare fisicamente lo squalo, la sua presenza viene evocata da quelle due note, il suo attacco fatale arriva in concomitanza di una successione sempre più accelerata delle note stesse.
Ma capita l'inatteso: la magia non scatta, il disegno sonoro di Gaslini per il film risulta troppo cerebrale e poco in sintonia con le atmosfere dark della pellicola.
Argento ha bisogno di qualcosa di diverso, del rock di una band. Ed ecco allora spuntare i Goblin. In quel tempo l’aria sapeva di atmosfere prog, qualche anno prima “Tubular Bells” di Mike Oldfield era stata di ispirazione, in particolare l’ouverture finita nel film “L’esorcista”.
Il bassista Fabio Pignatelli imbastì un riff simile su una chitarra folk e poi sul basso, il chitarrista Massimo Morante lo sviluppò, il tastierista Claudio Simonetti aggiunse parti di minimoog, clavicembalo e organo a canne. Walter Martino, alla batteria, arricchì il tutto con un drumming perfetto.
Era nato il capolavoro “Profondo Rosso”, sedici settimane al primo posto in classifica. Più di un milione di copie vendute. E una musica che ancora oggi provoca tanta angoscia e tanta paura.
Stefano Superchi

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