QUELLI DELLA NOTTE
40 anni fa, l’altra tv
Fino al 1985 le abitudini del telespettatore italiano medio avevano come appuntamento finale della serata l'ultimo telegiornale. Poi si tirava giù la tapparella e la giornata era finita.
Nella primavera di quell'anno succede qualcosa che cambierà per sempre questa abitudine.
Attorno alle ore 23, introdotta dalla sigla musicale «Ma la notte no», si apriva una finestra che lasciava entrare una boccata d’aria fresca nella televisione italiana, una finestra con vista sul salotto arabeggiante dove il padrone di casa Renzo Arbore cercava di tenere insieme una tribù surreale.
Con Arbore, la notte dilatava i confini, diventava un fatto di costume e dispensava cultura senza fare dell’accademia, guardando “Quelli della Notte” ci si sentiva in un certo senso ospiti di Casa Arbore.
L’audience del programma non era da pubblico delle “grandi occasioni” tv, cominciò come trasmissione di nicchia per nottambuli, ma per quelli che avevano la tv accesa diventò una specie di “droga” che ti piegava in due dalle risate e non riuscivi più a farne a meno: nel salotto di Arbore si era creato un microcosmo di personaggi e maschere televisive che faceva andare a dormire ridendo.
I protagonisti erano perlopiù esordienti semisconosciuti. C’era Riccardo Pazzaglia, filosofo partenopeo che discettava di "brodo primordiale" nel disperato tentativo di "alzare il livello" della trasmissione; c’era Massimo Catalano, trombettista e intellettuale viveur con ovvietà degne di Monsieur De Lapalisse; Nino Frassica nei panni di Frate Antonino da Scasazza con i suoi "nanetti" (aneddoti, che avrebbero dovuto illuminare i presenti); Maurizio Ferrini, rappresentante filosovietico romagnolo di pedalò. E poi ancora la signora Simona Marchini, la "cugina" Marisa Laurito, Roberto D'Agostino e Harmand, ovvero Andy Luotto nei panni dell’arabo che, a seguito di una protesta da parte dell'Associazione musulmani italiani, e pesanti minacce, fu costretto ad abbandonare la trasmissione. E poi anche Dario Salvatori, Giorgio Bracardi, Silvia Annichiarico, Stefano Palatresi ed altri ancora, un cast pazzesco insomma.
A ‘Quelli della notte’ la musica non era certo di sottofondo ma assumeva un ruolo centrale, un collante sotto forma di linguaggio universale di ricerca delle radici culturali, un mezzo per parlare del presente.
Le orchestre erano l’elemento principale della serata, la New Pathetic Elastic Orchestra e il duo Antonio&Marcello, Gegé Telesforo (che ha collaborato anche con Gillespie) e Massimo Catalano, trombettista jazz che suonò anche con Louis Armstrong. E siccome era ancora una televisione dove le persone sapevano di cosa stavano parlando, ogni sera si riscoprivano pezzi di repertorio suonati dal vivo e, grazie al critico musicale Dario Salvatori, filmati di valore storico-artistico, si approfondiva la conoscenza della black-music tanto amata da Arbore, da Ray Charles a Stevie Wonder e James Brown. Arbore inoltre, da autentico talent scout, ospitò in trasmissione diversi gruppi esordienti, fra i quali possiamo ricordare i Denovo, e dette visibilità a collettivi come la Fabio Treves Blues Band.
Era una squadra che funzionava, più nella qualità che nella quantità degli indici di ascolto. Nella prima settimana «Quelli della Notte» era stato seguito da circa 800 mila spettatori, nella seconda e nella terza era gradualmente salito, con una punta vicina a un milione e 700 mila. Nella quarta settimana per la prima volta, il 22 maggio, aveva superato i 2 milioni. Nella sesta e nella settima, infine, una sorta di effetto valanga con un record di share del 51 per cento raggiunto il 7 giugno, a testimoniare che quella sera più della metà dei televisori accesi erano sintonizzati sul programma di Arbore.
A 40 anni dai tempi di «Quelli della notte» possiamo dire che oggi un programma del genere saebbe impossibile, vuoi per la dilatazione a dismisura dei tempi delle trasmissioni, vuoi perché il varietà del piccolo schermo ha preso direzioni radicalmente diverse.
Renzo Arbore, nel decennale del programma, osservò che «Un programma come "Quelli della notte" oggi non sarebbe mai nato. L' effetto dell' Auditel, la caccia agli indici d'ascolto, ha cambiato il modo di fare tv. Non c'è più spazio per programmi laboratorio. La ricerca ossessiva dei grandi numeri non lascerebbe venire alla luce o non farebbe sopravvivere una trasmissione come quella, che finì con l' influenzare il modo di esprimersi della gente. La tv commerciale ha stroncato la sperimentazione e ha fatto dei dati Auditel un tiranno che non solo condiziona la sfera commerciale, ma che invade anche il campo dell'artista, dell' autore, obbligandolo a finalità che gli sono estranee».
La notte di Arbore, che si apriva con «Ma la notte no» e si chiudeva con «Il materasso», è stata una notte d’evasione volutamente cialtrona. Nel salotto, tra intelligenza, banalità e assurdità, scherzavano seriamente personaggi e maschere televisive.
Riesaminare una trasmissione memorabile come «Quelli della notte» vuol dire cercare di capire cos’è stata la nostra tv. L’originalità consisteva nella contaminazione tra modelli forti e improvvisazione, fra generi diversi e la tradizione della rivista. «Quelli della notte» è stato il programma che ha chiuso la fase storica della tv fatta da veri professionisti del mondo dello spettacolo. Di lì a poco sarebbe dilagata una tv fatta dalla gente comune, dagli spettatori che volevano apparire a tutti i costi (talk show, reality show, Grande Fratello).
"Quelli della notte" può essere considerato uno dei momenti migliori della televisione “sperimentale”, prodotta con l’intenzione di “andare oltre”, di offrire al pubblico una comicità che rompesse gli schemi ma potesse essere anche strumento di riflessione, con quell’ironia sottile e mai sopra le righe che è propria delle persone intelligenti.
Il successo del programma, ha simboleggiato un vero e proprio fenomeno televisivo capace, come era accaduto trent’anni prima con «Lascia o raddoppia?», di creare attorno a sé una vasta aggregazione collettiva e mediatica. Un successo da attribuire in gran parte al suo conduttore, dotato di un raffinato buon gusto televisivo, che gli ha permesso di attraversare indenne l’eccesso kitsch, producendo effetti satirici e caricaturali, creando maschere e tormentoni che sono poi usciti fuori dei confini catodici entrando nel linguaggio di tutti i giorni.
Attingendo dalla tradizione del varietà, Arbore ha realizzato un prodotto nuovo e originale, ibridando generi diversi come varietà, talk show e spettacolo musicale, aggiungendo colpi di scena travolgenti.
Ha trasformato il televisore in una scatola a sorpresa.
Stefano Superchi
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