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14 aprile 2025

Ode alla radio pirata, sopravvissuta a tutto, uccisa dal mercato

Ode alla radio "pirata", sopravvissuta a tutto, uccisa dal mercato

 


 

14 aprile 1975.

La Polizia Postale sequestra gli impianti di trasmissione di Radio Milano International. La motivazione è che la stazione radiofonica è da considerarsi "pirata".

 


Dalla metà degli anni '60 stava crescendo nei giovani europei una voglia di radio, intesa come intrattenimento, musica e informazione non controllata dai governi. Nel paese europeo leader allora nella libertà e nei costumi, la Gran Bretagna, questa voglia era stata appagata dalle cosiddette radio pirata (Radio Caroline, Radio Veronica) e la stessa cosa avveniva in altri paesi del Nord Europa.
 



L’Italia, come su altri temi, arrivava in ritardo, cercando di controllare a livello centrale la “voglia di novità”. La Rai cercò di mettere una pezza a questa esigenza lanciando nel proprio palinsesto programmi di “rottura” alla tradizionale programmazione ingessata: trasmissioni come Bandiera Gialla, Per voi giovani, Alto gradimento, Hit-Parade, sono ancora vive nei ricordi dei giovani dell’epoca. Anche in Inghilterra la BBC lanciò le storiche trasmissioni musicali Ready Steady Go!, Saturday Club o Top Of The Pops.
 

 

Alto Gradimento

Una opportunità alternativa per i ragazzi italiani era rappresentata da due radio straniere che trasmettevano in lingua italiana e che avevano fiutato l’onda iniziando una programmazione orientata ai giovani e alla musica, con un linguaggio nuovo. Erano Radio Montecarlo e Radio Capodistria.
Radio Montecarlo trasmette dal marzo del 1966 dal principato di Monaco, con deejay che sarebbero stati d’ispirazione per gli anni successivi, come il pioniere Herbert Pagani, Robertino, Federico L'Olandese Volante, Awanagana, Luisella Berrino. Il limite di Radio Montecarlo era la trasmissione in onde medie, con un trasmettitore potentissimo, ma ricevibile solo sulla costa tirrenica del nostro paese. 

 

Awanagana

Radio Capodistria invece trasmetteva dal versante istriano, era una radio che proponeva un nuovo stile di conduzione, vivace, che sarebbe stato poi assorbito dalla RAI con il celebre programma Supersonic.




All’inizio degli anni '70 si crearono le condizioni per la radiofonia privata in tutta Europa, e stavolta l'Italia era in prima fila per numero di emittenti e numero di ascoltatori. Uno dei motivi di questo fermento era dovuto anche alle contestazioni del 68’ e dei primi anni ‘70, quando la voce operaia e studentesca fece tremare e vacillare governi e istituzioni. Nelle rivendicazioni di quegli anni c’era il desiderio di crescita della libertà individuale, ma anche l’ambizione di poter scegliere in autonomia le fonti di informazione.



Già dal 1974 l'attacco al monopolio di Stato era nell'aria e diversi operatori si stavano preparando a sfidare la legge approfittando delle contraddizioni che conteneva. La prima in assoluto ad iniziare le trasmissioni fu Radio Parma, il 1 gennaio del 1975. Protagonisti della storica iniziativa l'imprenditore Virgilio Menozzi, il giornalista Carlo Drapkind (il direttore responsabile) e l'esperto radioamatore di Parma Marco Toni, che curò e realizzò la parte tecnica, mettendo in funzione un trasmettitore di potenza relativamente limitata (22W) ma sufficiente per coprire la maggior parte della città.


 

Il palinsesto, come per tutte le radio dei primi tempi, era piuttosto completo e ispirato al modello RAI, con programmi di informazione, approfondimenti e cronache locali. Dai microfoni di Radio Parma uscirono conduttori storici come Mauro Coruzzi, diventato poi celebre anche al di fuori del mondo della radio come Platinette.

 



A seguire arrivarono Radio Milano International (marzo 1975) e Radio Roma (giugno 1975). Da citare anche, tra i pionieri, Radio Bologna e, in ambito televisivo, Tele Biella, che effettuarono entrambe tentativi di trasmissione già nel corso del 1974.



In pochi mesi, tutte le frequenze disponibili, almeno nelle grandi città, vennero saturate da decine di radio libere, in certi casi con le stesse frequenze occupate da due radio, in una jungla con poche regole per sopravanzare altre radio vicine e che, anche in un'area contigua, trasmettevano sulla stessa frequenza.

Per coprire tutta la giornata la musica era fondamentale; riempire il palinsesto con trasmissioni autoprodotte, inchieste giornalistiche o altre tipologie di trasmissioni come faceva la radio di Stato era impensabile, quindi il palinsesto della radio libere era sostanzialmente costituito da musica di vari generi, con rubriche di musica classica, di jazz, musica lirica, e naturalmente tanto rock, cantautori, e la musica pop del momento.

 

Fino alla sentenza della Corte Costituzionale del 28 luglio 1976 le radio trasmettevano utilizzando una interpretazione estensiva della legge allora vigente (la 103/1975), esponendosi quindi a denunce e sequestri. Incuranti delle possibili conseguenze molte radio trasmettevano con regolarità, e a fine 1975 erano già attive in tutta Italia decine di radio. Il costo di un impianto di trasmissione a norma e di buona qualità (trasmettitore entro gli standard, potenza adeguata, emissione stereo) poteva arrivare intorno ai 50 milioni di lire di allora, ma c’era chi utilizzava elettroniche usate (a volte di provenienza militare) o riadattate limitando la potenza, cavandosela anche con soli 5 milioni. L'esercizio poteva costare intorno ai 5-10 milioni al mese, nel caso delle poche radio che avevano collaboratori a busta paga. Molte radio con ambizioni più modeste, con impianti più economici, spesso ospitati in  sale parrocchiali o sezioni di partito e ampio ricorso al volontariato, i costi scendevano di parecchio.



Era la stagione celebrata da Eugenio Finardi nel 1977 con "La radio", che raccontava la radio come strumento di informazione libera con l'entusiasmo per un nuovo strumento di comunicazione. La stessa stagione celebrata nel 1998 dal film di Luciano Ligabue "Radio Freccia".



La selezione tra le radio però non è bastata per liberare le frequenze, l'affollamento radiofonico degli albori è rimasto, cristallizzandosi per sempre, insieme alla confusione e alla sovrapposizione di frequenze, regolamentate dalla legge Mammì degli anni '80, poi scavalcata dalla legge Gasparri nel 2004. Risparmieremo il lettore da tutti i cavilli legali e procedurali per i quali ad un certo punto la RAI si arrese progressivamente all’evidenza e la Polizia Postale si limitò a reprimere solo le azioni che interferivano con le trasmissioni della forza pubblica o con le torri di controllo degli aeroporti.

 


Sta di fatto che dove prima trasmettevano tre radio, più Radio Vaticana e Radio Montecarlo, Radio San Marino e Radio Capodistria, ora trasmettevano più di 100 radio, e mentre le trasmissioni musicali sulle radio di Stato arrivavano a due tre ore al giorno, le radio libere coprivano con la musica (trasmissioni o nastri pre-registrati) anche l'ottanta per cento della programmazione. Una moltiplicazione delle trasmissioni di musica, di generi e musicisti che trovò uno sbocco sul mercato e di conseguenza un aumento della vendita di dischi. Oggi il mondo della musica e delle radio è completamente cambiato, sia dal punto di vista culturale che tecnologico, ma il trend del mercato discografico dice che le vendite di dischi diminuiscono del 10% all'anno.



Il "Far-West dell'etere", tollerato dai governi degli anni '80 a vantaggio di un gruppo privato, seguito da anni di regolamentazione carente o troppo spesso inapplicata per la parte che riguarda la radio, è la conferma del ruolo marginale che politica e industria hanno sempre attribuito a questo importantissimo mezzo di informazione e intrattenimento.
Se nella radiofonia privata degli anni ‘70 il problema era rappresentato dall'eccessivo affollamento nelle grandi città con la parallela assenza di un piano delle frequenze, essendo il quadro legislativo ancora quello dei tempi del monopolio, a 50 anni di distanza nessuno pensa più alle radio come radio libere, ma solo come radio commerciali.
E purtroppo proprio le esigenze commerciali hanno livellato gli standard verso il basso, togliendo il gusto della scoperta e allontanato ogni velleità di sperimentazione.

Stefano Superchi

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