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04 ottobre 2024

La fotografia sociale di Lewis Hine: migranti e lavoro

La fotografia sociale

di Lewis Hine:

migranti e lavoro

 


 Lewis Hine è stato uno dei più grandi fotografi sociali della storia ed è grazie a lui che oggi l’America può ripercorrere fotograficamente le grandi trasformazioni che l’hanno attraversata nel corso del Novecento. Prima di molti altri, Hine capì la potenza della fotografia come mezzo di denuncia, ma anche come strumento per celebrare la dignità del lavoro e promuovere nuove riforme sociali. La fotografia di Hine non intende stupire o scandalizzare: il suo scopo è sempre quello di documentare e studiare la realtà dell’uomo per quello che realmente è.
 

La vita di Lewis Hine


Lewis W. Hine nacque nel 1874 a Oshkosh, nel Wisconsin. Figlio di un veterano della guerra civile e di un’insegnante, Hine era destinato ad avere una visione unica del mondo. La morte prematura del padre, a causa di un incidente, nel 1892, costrinse il giovane ad occuparsi finanziariamente della sua famiglia. Iniziò molto presto a lavorare in una fabbrica di tappezzerie per mobili: 13 ore di lavoro al giorno, per poco più di 4 dollari a settimana.

Lasciato questo impiego, si guadagnò da vivere lavorando in una compagnia di filtri per l’acqua e infine in una banca. Con grandi sacrifici, nel 1900, riuscì a iscriversi all’Università di Chicago, nella quale studiò Scienze dell’Educazione, proseguendo gli studi in altre prestigiose università come la New York University e la Columbia. Divenuto insegnante di Sociologia presso la Ethical Culture School di New York, Lewis Hine fu innanzitutto un testimone della nascita e del progresso di una grande nazione a spese della giustizia sociale.

I suoi reportage, incentrati sopratutto sulle grandi città e in particolare New York, sono il contraltare “metropolitano” agli altrettanto drammatici reportage rurali di Dorothea Lange. Da osservatore, sentì la necessità di sensibilizzare l’opinione pubblica prima, la politica poi, al tema dell’immigrazione e dell’indigenza dilagante nell’America del primo Novecento.

Fu allora che si rese conto della povertà delle parole di fronte ai cambiamenti che stavano investendo la società. Iniziò così ad avvicinarsi alla fotografia, come forma privilegiata di espressione. “Se sapessi raccontare una storia con le parole, non avrei bisogno di trascinarmi dietro una macchina fotografica” – diceva.
 

Il passaggio alla fotografia e il documentario a Ellis Island


Nel primo decennio del Novecento, New York era diventata la meta di moltissimi immigrati, provenienti perlopiù dall’Europa, in cerca di migliori condizioni di vita. Il fenomeno aveva ormai raggiunto grandi dimensioni, suscitando sentimenti di intolleranza e malcontento negli autoctoni. Hine credeva fermamente nell’educazione come strumento di trasformazione sociale, tuttavia, da sola, non era sufficiente ad analizzare e denunciare quanto stava accadendo.

Per Hine, la fotografia divenne un supporto alla sua attività di insegnante, con l’obiettivo di crescere generazioni consapevoli e scuotere le coscienze. Fu così che nacque il reportage ad Ellis Island. Hine attraversò, con le sue classi, le strade dell’isolotto newyorkese, principale punto di ingresso per gli immigrati che sbarcavano negli Stati Uniti.
 

Donna Albanese ad Ellis Island


Quelli degli uomini, delle donne e dei bambini di Ellis Island, erano volti duramente provati dal viaggio, ma allo stesso tempo portavano con sé la speranza di un futuro migliore. Nel suo racconto fotografico, Hine non si risparmia. Segue le famiglie migranti nelle loro baracche, sporche e senza luce, e le ritrae nei loro miseri impieghi sottopagati.

La prima difficoltà – raccontava Hine stesso – consisteva nel comunicare coi migranti che non parlavano la sua lingua. Bisognava avvicinarsi a loro con discrezione, con sorrisi e piccoli gesti: era necessario che capissero che il fotografo era lì per aiutarli. Di seguito, due foto di migranti famiglie migrati italiane arrivate ad Ellis Island.

 

Migranti italiani ad Ellis Island.


L’occhio di Hine non è solo quello di un grande fotografo: è quello di un sociologo che ha il coraggio di mostrare al mondo il sogno americano, tradito dallo sfruttamento.
 

Lewis Hine e la denuncia del lavoro minorile


La scelta di dedicarsi completamente alla fotografia arriva, per Hine, nel 1908, quando il National Child Labor Committee (NCLC) gli commissiona un’inchiesta sul lavoro minorile. Per documentare le condizioni di lavoro dei bambini nelle fabbriche, nelle piantagioni e nelle miniere, Lewis Hine viaggiò per 10 anni, percorrendo oltre ottantamila chilometri, tra Chicago e la Florida. Il lavoro minorile era considerato quasi normale nell’America del primo Novecento.

Stando ad un’inchiesta del 1907, oltre il 50% della forza lavoro nel North Carolina, South Carolina e Georgia, era costituita da bambini di 10 anni, la maggior parte impiegati nei filatoi di cotone. Quasi 2 milioni di bambini erano costretti a lavorare per soddisfare le richieste del boom economico e aiutare le proprie famiglie a sopravvivere.
 

Foto di un gruppo di bambini lavoratori


Realizzare un reportage sui bambini lavoratori era tutt’altro che semplice: i capi delle fabbriche e delle piantagioni miravano a tenere nascosto all’opinione pubblica il fenomeno del lavoro minorile e non vedevano di buon occhio la presenza di un fotografo. Per poter documentare le condizioni dei bambini, Hine fu spesso costretto a fingersi un fotografo industriale, un assicuratore e perfino un venditore di Bibbie. Insieme agli scatti, Hine realizzava una sorta di scheda su ciascun bambino, nella quale annotava l’età, gli anni di lavoro e il grado di scolarizzazione.

Gli scatti di questo periodo sono realizzati in ambienti perlopiù chiusi e in condizioni di luce scarsa. Per questa ragione, tutte le foto sono in posa (i tempi di esposizione necessari per realizzare foto in condizioni di luce sfavorevoli impedivano la realizzazione di ritratti spontanei o, per così dire, rubati).

 

Bambino che vende i giornali


Le immagini di Hine fotografano i bambini al lavoro nelle campagne, nelle industrie, nelle miniere e per le strade. Migliaia di fotografie testimoniano l’inaccettabile sopruso nei confronti dei più piccoli e la totale mancanza di umanità della politica che consentiva tutto questo. Per Hine, la forza di questi scatti risiede non solo nel loro potente contenuto, ma soprattutto nell’accumulo. Presi singolarmente sono efficaci, ma sono la ripetizione e le similitudini di ciò che viene rappresentato a mettere davvero in evidenza che la realtà del lavoro minorile esiste in tutta la sua assurdità.
Queste fotografie, hanno fatto il giro del mondo, mettendo in luce ciò che prima era sconosciuto o forse meramente ignorato. Negli scatti che seguono, si vedono alcune bambine che lavorano in una fabbrica tessile americana. Hine ritrae queste bambine con i vestiti sporchi e consumati, i volti stanchi e i macchinari che le sovrastano.
 
Bambina lavoratrice



Bambina lavoratrice
 
 
Bambina lavoratrice
 
Tra gli scatti più potenti di questa serie, spicca quello della bambina persa a guardare fuori, attraverso la finestra, un mondo che non le appartiene.
 
Bambina lavoratrice che guarda fuori dalla finestra

Un’altra serie di grande impatto, è quella della raccoglitrice di frutti di bosco, realizzata presso la fattoria Jenkins, a Baltimora. La piccola Laura Petty – questo è il suo nome – ha solo 6 anni e lavora come raccoglitrice di frutti di bosco. Hine la ritrae in mezzo a un campo, vestita a festa, con l’abito rovinato dal lavoro e i piedi nudi. 

 

Laura Petty, la bambina raccoglitrice di frutti di bosco


Tutta la fotografia di Lewis Hine si inserisce in quella che potremmo definire un’epica del lavoro. Con la sua esperienza come fotografo, Hine ha contribuito in modo decisivo al dibattito sul lavoro minorile che ha portato, nel 1916, alla sua abolizione. Tuttavia, le sue foto non raccontano solo il lato immorale del lavoro, ma anche la sua dignità.

Fra di esse, alcune sono diventate famosissime.

 

Il meccanico della centrale elettrica


Lo scatto del giovane meccanico, che lavora sulla pompa a vapore, è uno dei ritratti di lavoro più famosi del fotografo americano e mostra la classe operaia americana in ambiente industriale. Il soggetto è attentamente collocato accanto alla macchina da lavoro, con una chiave inglese in mano, intento a far girare il meccanismo.

Piagandosi in avanti, l’arco della sua schiena richiama la curva del macchinario che incombe su di lui. L’imponenza della macchina e la bellezza fisica dell’operaio dialogano armoniosamente, in una rappresentazione iconica della virilità.
 

Lewis Hine – Costruzione dell’Empire State Building


La fama di Hine è legata soprattutto alla documentazione della costruzione dell’Empire State Building. Quest’opera fu portata a termine in soli 13 mesi, nel pieno della crisi economica americana. Dietro a una costruzione così imponente, realizzata nel cuore di Manhattan, c’è prima di tutto un lavoro di squadra.

Come i grandi fotografi di guerra, Hine ha vissuto insieme ai suoi soggetti, imparando a conoscere le loro abitudini e le loro aspirazioni.

Ben 3400 operai hanno contribuito all’impresa, caricando più di 360 mila tonnellate di cemento e acciaio, eppure non si sentivano semplicemente degli operai. Ognuno di loro aveva la consapevolezza di essere parte di un grande progetto, un popolo unito. A oltre 300 metri di altezza, volteggiavano senza protezioni e in perfetta sincronia tra le impalcature. Gli operai dell’Empire State Building sono diventati il simbolo della capacità dell’uomo di compiere grandi imprese, anche nei momenti di difficoltà.
 

operaio durante la costruzione dell'Empire State Building

 

operaio durante la costruzione dell'Empire State Building



Allo sviluppo dell’Empire State Building, corrisponde quello dello stile fotografico di Lewis Hine. Le figure si perdono nello sfondo urbano in costruzione e inducono alla riflessione. Accanto all’espansione di New York, sembra farsi largo il tentativo dell’uomo di creare un suo spazio nel nuovo contesto urbano. Le foto dell’Empire State Building, realizzate tra il 1930 e il 1932, furono pubblicate nella famosa raccolta Men at Work, poco tempo dopo l’inaugurazione dell’opera, registrando un immediato successo.

 

Lo stile di Lewis Hine


Lewis Hine è definito un “poeta della fotografia”, grazie alla sua capacità di comunicare il sentimento di un’epoca in modo estremamente eloquente.

Fino alla morte, avvenuta nel 1940, Hine lavorò a un unico tema fondamentale: il lavoro. “Hine voleva mostrare il male per indurre la protesta e il bene per farne tesoro.” – diceva di lui il collega Ansel Adams.

Dall’assurdità del lavoro minorile, agli immigrati di Ellis Island, fino alla maestosa impresa dell’Empire State Building, il lavoro viene declinato in tutte le sue possibili sfaccettature.

Se nei primi due casi Hine sottolinea lo sfruttamento da parte di una nazione, che tradisce le promesse di una vita migliore, nelle immagini dell’Empire State Building celebra la grandezza degli uomini, che si alleano per realizzare progetti grandiosi.

Silvia Gerbino per Reflex-Mania.com


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