Il mago di Oz compie 85 anni
Il classico della Storia del Cinema per antonomasia che Secondo il British Film Institute è uno dei 50 film da vedere entro i 14 anni
Un cervello è l'unica cosa che valga la pena possedere a questo mondo, che si sia cornacchie o uomini. Il vero coraggio consiste nell'affrontare il pericolo quando si ha paura. Uno sciocco non saprebbe che farsene del cuore anche se ne avesse uno. Il blu è proprio il colore più adatto agli occhi.
Compie 85 anni in questi giorni "The Wizard of Oz", film di Victor Fleming tratto dal romanzo di Frank Baum, destinato a rimanere nella storia del musical americano e non solo. Si può immaginare che quando uscì, nell'agosto del 1939, abbia destato un'enorme meraviglia per i colori, per gli effetti speciali, per la magia che ancora oggi emana. Quindi, benché anche il libro abbia il suo fascino, è il film a colpire maggiormente e continua a farlo, di generazione in generazione.
Un inno alla forza e al potere della fantasia, caratteristica peculiare dell'infanzia che noi adulti, ormai disincantati, riusciamo a vivere solo di riflesso grazie ai nostri bambini. Nel mondo dei grandi, scandito dagli obblighi, dal senso del dovere, dall'imperativo categorico del fare, del produrre, del performare, la fantasia soccombe. Sono i bambini che ogni tanto ci ricordano di essere stati a nostra volta piccini, affamati di storie fantastiche e di aver vissuto anche noi, nel magico mondo della fantasia, terra di sogno e di assoluta libertà in cui l'immaginazione non ha recinto alcuno.
Dorothy vive in una casa nella campagna del Nebraska, un lembo di terra, per lo più grigia e triste, spesso martoriata da trombe d'aria e tornado, una no man's land in cui le condizioni di vita non sono delle migliori e i bambini spesso diventano un peso, a volte dimenticati da adulti assorbiti dalle loro occupazioni e preoccupazioni. Dorothy vive un lampo di immaginazione e sogna di essere trasportata via da un tornado che la scaraventa, assieme al suo cagnolino, nel favoloso regno di Oz, un paese magico dove, al contrario di casa sua, tutto è coloratissimo: la strada di mattoncini giallo/oro che lei percorre cantando e sorprendendosi ad ogni passo, il verde smeraldo degli alberi, il rosso, il fucsia e l'arancio dei frutti dei fiori, il blu del cielo e degli uccelli.
Per via incontra personaggi strani, apparentemente privi di slancio vitale e di entusiasmo che lei anima con la sua fervente immaginazione: l'omino di latta, il leone e lo spaventapasseri perfetta immagine dei vizi, delle paure e dell'inerzia dell'umanità quando perde l'ingenuità e la purezza primordiali. Ad Oz non mancano le streghe: due buone (la strega del Nord e la strega del Sud) e due cattive (la strega dell'Est e la strega dell'Ovest) a rappresentare il bene e il male. I buffi compagni di viaggio difettano di alcune qualità, chi del coraggio, chi del cuore, chi del cervello o almeno è ciò che pensano di loro stessi.
Dorothy è il joint, colei che unisce e dà forza, tanto che tutti decidono di unirsi a lei nel viaggio verso la città di Smeraldo, capitale del regno, dove vive un potente Mago, che rassicura, dà buoni consigli e risolve i problemi; a lui Dorothy chiederà aiuto per tornare a casa e i suoi amici per ritrovare ciò che han perso. Ma il Mago si rivela un bluff, un omino piccolo e buffo, un essere fatuo più che potente, che inutilmente prova a far la voce grossa per darsi un tono. Non sarà quindi lui a scardinare dubbi e paure, bensì il percorso di crescita e condivisione mentre affrontano svariati pericoli e creature insidiose lungo la Yellow Brick Road.
E mentre Dorothy, battendo tre volte i tacchi delle scarpette rosso-argentate, magico simbolo della sua forza e determinazione, si sveglia di nuovo nel suo letto, nel Kansas, il sogno svanisce: la bambina di prima sta per diventare una giovane donna, il leone ha ritrovato il coraggio, l'omino di latta il cervello e lo spaventapasseri il cuore senza l'aiuto di nessun Mago. È una fiaba che suscita meraviglia e insegna che qualità come l'intelligenza, la generosità, l'intraprendenza non ce le devono riconoscere gli altri o qualcosa al di fuori da noi, per insicurezza o paura di crederci. Alla fine i personaggi fan pace con loro stessi e nella realtà in cui vivono riescono finalmente a intravedere nuove e migliori possibilità. Il Mago di Oz rimane una storia che ha sempre qualcosa da dire, che ha segnato generazioni di bambini, che ha lanciato sul grande schermo Judy Garland splendido volto di Dorothy e voce di una colonna sonora immortale.
Giovanna Anversa e Arianna Novelli
ANEDDOTI E CURIOSITA' SUL FILM
Nel 2018, per scoprire quali fossero stati i film più influenti della Storia del Cinema, due informatici dell’Università di Torino hanno sviluppato un algoritmo che ha incrociato 47mila titoli presenti nell’Internet Movie Database: più di Star Wars e di Psycho, più di King Kong e 2001 Odissea nello spazio, la pellicola più citata è Il mago di Oz.
Dal libro al film
Certo non era difficile ereditare il successo del libro su cui il film si basa, definito dalla Library of Congress la favola più grande e amata d’America. Uscito nel maggio del 1900, Il meraviglioso mago di Oz avrebbe trovato una popolarità tale da diventare un musical a Broadway già nel 1902, e da costringere il suo autore L.Frank Baum a inventarsi tredici sequel per accontentare le richieste di bambine e bambini.
Eppure, alla sua uscita nell’agosto del 1939, il lungometraggio più influente del mondo non incassò molto: nonostante le ottime recensioni e la candidatura a cinque Oscar – tra cui quella per il miglior film – i 3 milioni di dollari al box office non riuscirono a far rientrare nelle spese la casa di produzione, la MGM – almeno non fino alla sua riedizione nel 1949.
Inoltre circolarono storie sugli abusi subiti dalla protagonista durante le riprese, la sedicenne Judy Garland: pare che lo studio le desse benzedrina per non farla ingrassare, e la costringesse a fasciarsi il petto e coprire i denti disallineati.
In realtà, tutta la produzione fu travagliata: Fleming abbandonò la regia per subentrare a un altro film tormentato, Via col vento, dopo che avevano già mollato Richard Thorpe e George Cuckor e King Vidor dovette dirigere le parti iniziali e finali, in bianco e nero, virate in seppia. La sceneggiatura affidata inizialmente ad Herman J. Mankiewicz, passò tra le mani di circa quindici autori e autrici, ma solo tre compariranno nei crediti finali.
Il ruolo dell'uomo di latta va a Buddy Ebsen – ma dopo appena una settimana di lavoro viene ricoverato in condizioni critiche, intossicato dalla polvere d’alluminio del suo costume. La produzione dovette interrompersi per trovare un nuovo interprete e un trucco meno tossico (si ripiegherà sulla pasta di alluminio), ma intanto la Hamilton, già costretta a una dieta liquida per colpa del rame nella vernice verde di cui era ricoperta, finisce in convalescenza pure lei, per tre mesi, dopo che un’esplosione le causa ustioni di terzo grado alle mani e al viso.
Non arrivarono né l’Oscar per gli effetti visivi né quello per la scenografia – vinti, rispettivamente, da La grande pioggia e da Via Col vento (dove nel frattempo era andato a lavorare anche Cuckor) ma ne guadagnò due per la colonna sonora composta da Herbert Stothart e per la canzone di Harold Arlen e EY “Yip” Harburg, Over the rainbow: un mezzo miracolo considerando che il brano era stato inizialmente tolto dal primo montaggio del film, che durava due ore ed era troppo lungo per gli standard dell’epoca. Furono i produttori e Victor Fleming a insistere perché la canzone fosse reinserita, e grazie a loro oggi è al primo posto nella classifica 100 Years.. 100 Songs dell’AFI e nelle 365 Songs of the Century della Recording Industry Association of America.
Secondo il British Film Institute è anche uno dei 50 film da vedere entro i 14 anni perché, come scrisse Salman Rushdie, mostra «l’inadeguatezza degli adulti, anche degli adulti buoni e come la debolezza dei grandi costringa i bambini a prendere in mano il proprio destino».
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