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20 luglio 2024

IL CIRCOLACCIO. “BUONI AMICI, BEI MOMENTI”

 IL CIRCOLACCIO.

“BUONI AMICI, BEI MOMENTI”

 

L’arte e la cultura non sono solo le grandi mostre e i vernissage, i mega-concerti o i film da Oscar. La cultura la si può fare in ogni luogo e può avere connotati popolari e, pur pescando dalla tradizione e dai costumi di una piccola realtà all’interno della quale si muove, rompe gli schemi e diventa qualcosa di unico.
Ci sono luoghi che restano nel cuore anche quando non ci sono più, luoghi immortali perché hanno accarezzato l'anima, porti sicuri in cui andare a ridere o a piangere, dove poter stare in silenzio, in disparte oppure legarsi a gruppi chiassosi e fare baldoria.

C'era una volta il Circolaccio perché definirlo circolo ACLI a Roberto non piaceva, e nemmeno a noi. Era una nave pirata guidata da un capitano alquanto umano, in epoca in cui di umani ormai se ne trovavano pochi, come ora del resto, quelli rimasti erano tutti lì, liberi di mostrare e condividere le loro imperfezioni.

I pazzi, i visionari, gli esagerati, i timidi, gli intellettuali veri ed anche quelli finti, donzelle principesse e pulzelle rozze, tutti lì si conviveva e si condivideva. Passava gente di ogni pensiero e provenienza perché Roby azzerava i pregiudizi, il pettegolezzo, la perfidia e la discriminazione. Il Circolaccio, era un portone aperto, una nave che seppur stipata di spugne e aspiranti capitani non affondava, il Circolaccio fu la chiesa più chiesa mai vista e... ci manca molto.

Giovanna Anversa

artwork Stefano Superchi


Cosa c’entra un bar di campagna con un blog culturale?
C’entra, in questo caso c’entra eccome.
È il caso del Circolaccio, un circolo ACLI gestito abilmente per 9 anni da Roberto Bortolotti, con l’aiuto, nelle serate di maggior afflusso, di qualche collaboratore e assistito spiritualmente dalla presenza discreta del gatto Design.
Il Circolaccio (che in origine si chiamava Capovolto) era un locale camaleontico, in grado di trasformarsi a seconda delle situazioni.
Un oasi nella campagna arsa dal sole che appariva dal nulla come in un film dei fratelli Coen, dove bersi una birretta fresca al ritorno dal lavoro, insieme con qualche agricoltore che si ritemprava prima di tornare a sudare e qualche pensionato che tirava l’ora di cena.


Non si capitava per caso al Circolaccio, bisognava andarci facendo le basse piene di curve, che d’inverno potevano essere traditrici, per la nebbia o per la scarsa conoscenza di chi veniva “da fuori”. Il parcheggio era in condivisione con il cimitero, che di sera era sempre libero, e di giorno pure. L’entrata, dietro la chiesa del paese, era anonima, senza insegna, solo il civico 44, ma dentro la personalità del locale rispecchiava quella del suo “conduttore”.
Sulla sinistra il bancone con alle spalle un numero imprecisato di orologi da parete di tutti i tipi, per la maggior parte fermi, a quello principale, quando scattava l’ora legale, veniva attaccato un foglietto con scritto +1; sulla destra, rialzata da un paio di gradini (pericolosissimi per chi aveva alzato un po’ il gomito) la stanza con i tavoli.



Vecchi tavoli di legno, vissuti, che portavano il segno degli anni, così come le sedie, quelle sedie cui era richiesto l’unico requisito che deve avere una sedia: la comodità; lo stile lo avevano “inside”, senza fastidiosi fronzoli da architetto. Se cercavate il locale fashion fighetto eravate senz’altro fuori strada.


Ma la cosa più scenografica erano le pareti, giallo caldo, ma in un periodo anche dipinte di verde che faceva tanto pub irlandese, con appese mappe antiche che ti portavano a viaggiare con la mente come un Salgari della bassa, poi una macchina da scrivere Olivetti, la seduta di una vecchia sedia di legno, una radio anni ’50, vecchie ante e assi di legno sapientemente trattate e sulle mensole una serie di oggetti old style, frutto anche di una precedente “bottega etnica” di Roberto. Uno stile inconfondibile, avvolgente, che ti faceva sentire a casa, lontano mille miglia dall’aspetto asettico di certi lounge bar di moda.


Particolare da non dimenticare era la vecchia stufa a legna messa di fianco alla porta che dava sul retro, piccola ma potente, se ti sedevi troppo vicino ti sembrava di stare all’ingresso dell’inferno.


La porta che dava sul retro, dicevamo. Il cortile esterno merita un capitolo a parte. Rifugium peccatorum per i fumatori d’inverno e passaggio unico per raggiungere il defilato bagno alla turca, che dopo una certa ora (complici le birre e quant’altro) diventava un pellegrinaggio obbligato. Ma era d’estate che diventava il locale stesso. Un bersò con le lampadine colorate, le piante che facevano ombra e davano l’illusione di fresco. E ancora il piccolo parco usato solo per le occasioni speciali, tra cui il primo (e unico) torneo di “calcetto ad ostacoli”, ispirato dal romanzo di Stefano BenniLa Compagnia dei Celestini”.




Il Circolaccio era sempre un po’ controcorrente, non festeggiava l’ultimo dell’anno ma il 30 dicembre con “aspettando l’ultimo”. Sfruttava una serata tradizionalmente “morta” come il lunedì per organizzare “I lunedì del Circolaccio”, una serie di concerti di primo livello, jazz, fusion, roba da palati fini.



Da ricordare un concerto di Andy J. Forest, bluesman statunitense virtuoso dell’armonica a bocca (italiano d’adozione per una quindicina d’anni tra il ’75 e il ’90 dove collaborò, tra gli altri, con Claudio Lolli, De Andrè, Guccini e Bennato) organizzato con Angelo Romanelli.



La musica era uno dei punti di forza del locale. Dal Circolaccio sono passati in tanti, artisti locali e non solo, spesso portati dal fido maestro Cappa, musica che non era facile sentire in giro, ma anche dj set, pop, rock, la fusion dello “Zio Pino” che arrivava con la sua compagnia di musicisti e una discreta scorta di prodotti enogastronomici, stagionati in quella miracolosa combinazione di nebbia invernale e afa estiva che solo la bassa può dare.




Ma rimane nella scatola dei ricordi anche un concerto di un duo jazz sul ripiano del camion di Mario “il chimico”.
Mario era il grigliatore ufficiale del Circolaccio, manualità sopraffina, non esattamente il prototipo del gentleman, ma sicuramente un generoso che riservava la sua cultura a pochi, da vero intellettuale.



Una colonna del locale era di certo la Laura (Ventu per gli amici), fidata collaboratrice di poche parole ma di gran compagnia, celebrante ufficiale delle serate karaoke dove duettava specialmente con “il Sindaco”, ma questa è un'altra storia.


Tra le particolarità del Circolaccio c’erano le serate a tema gastronomico con la cuoca Marisa, sempre sold-out; cucina di tutto il mondo, sudamericana, africana, indiana, dal vegetariano ai formaggi di capra, dalla cucina toscana a quella greca e via degustando, tutto magistralmente accompagnato dalle selezioni di vini abbinati ai piatti dal marito Mario.


Ma c’erano anche i pranzi e le cene nostrane, che imbandivano i vecchi tavoli di legno da osteria, la trippa, i marubini nelle scodelle, lo stinco che Roberto cucinava perfettamente e i tortelli d’erbetta della mamma di Roberto, che ogni tanto arrivava a dare man forte, le bottiglie buone e la “normale” e per il dessert d’emergenza “pàn e merda” (pane e nutella), perché i dolci erano praticamente banditi dal locale, un vezzo da chef, perché non si può mica pretendere tutto!


Il Circolaccio era tutto e niente, "Uno, nessuno e centomila", bar intimo, osteria, dance hall, confessionale, sede di riunioni istituzionali di comitati e Teatro: in qualche occasione "ritiro spirituale" dei CasalmAttori che hanno fatto qui più di una  rappresentazione.



Buoni amici, bèi momenti”. Era questo il motto del Circolaccio che campeggiava pitturato su un muro, la sintesi che descriveva esattamente il locale e quelli che lo animavano. Una grande famiglia, senza formalismi, dove sono nate amicizie, ci sono state sbronze, litigi, risate, condivisione e compassione, dove Roberto si è pure sposato con la Giovanna, uno spazio libero dove la parola aggregazione ha avuto davvero un senso. Un insieme di anime belle che qualche moralista locale non ha saputo o voluto capire.


Ma tante persone ricordano con fiera tenerezza quell’esperienza irripetibile, ed è questa la più bella rivincita di Roby.


Stefano Superchi

























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