Mario Rigoni Stern
Il coraggio di dire No
Nasce il Primo di Novembre del 1921 ad Asiago, nel vicentino. Fortemente legato fin dall'adolescenza alla sua terra e alle sue montagne, compì il servizio militare nel Corpo degli Alpini.
Andò in guerra convinto che fosse la più giusta delle guerre, persuaso dalla propaganda di regime. Prima sul fronte francese, poi due volte all’assalto dell’Unione Sovietica, la cui sconfitta considerava una missione storica. Poi la ritirata, l’abbandono degli alpini sul Don, la sua responsabilità nel cercare di riportare vivi soldati che erano stati abbandonati dal loro stesso esercito. Quindi l’amara scoperta che nessuno, in Patria, aveva raccontato la loro storia. Fu fatto prigioniero dai tedeschi, dopo l’8 settembre del 1943 e rifiutò di aderire alla Repubblica di Salò.
Tutto questo gli fece prendere coscienza che la guerra probabilmente era stata combattuta dalla parte peggiore.
Quel ragazzo, che aveva abbandonato la scuola dopo la terza avviamento professionale, si buttò anima e corpo nella vocazione di narratore e raccontò la guerra dalla parte degli sconfitti. Fù così che Mario Rigoni Stern, nato ad Asiago nel 1921 e lì morto nel 2008, da ufficiale alpino dell’esercito italiano durante il fascismo, diventò uno dei più grandi autori. Così lo definì Primo Levi, italiano ed ebreo che gli italiani in camicia nera mandarono nei campi di concentramento.
Il suo esordio fu con un libro che fece la storia della letteratura italiana: “Il sergente nella neve”.
In questa opera Mario Rigoni Stern racconta la propria storia, nell’inverno del 1943, mentre lui e i commilitoni provano a ripiegare e sottrarsi dall’accerchiamento dell’Armata Rossa. Un pezzo della nostra storia nazionale e un esempio di umanità ed eroismo militare, ma con la consapevolezza postuma di aver combattuto dalla parte del torto.
Il suo era il battaglione “Vestone”, parte dell’Armir. Arrivarono in Russia quando era ormai chiaro che i russi li avrebbero presto circondati. Così arrivò l’ordine di ripiegare. Furono divisi in gruppi e c’era chi rimase a tenere la posizione e coprire le spalle, ma piano piano i militari italiani vennero evacuati e portati nelle retrovie. L’autore fu fra gli ultimi a lasciare l’avamposto. Oramai provato anche mentalmente e traumatizzato, sparava in continuazione e lanciava granate.
In qualche modo riuscirono a fuggire, ma verso un inferno di neve e ghiaccio, continuamente sottoposti agli attacchi russi. Quei giorni di marcia stoica, nel gelo, sono raccontati con vividezza di particolari, con le immagini dei corpi abbandonati nella neve, con l’incontro che fece con il cugino, anch’egli alpino e ripiegante, con le piaghe ai piedi. Nel racconto emerge anche l’incontro con i soldati russi, in un’isba, quando sulla guerra prende il sopravvento la necessità di riscaldarsi; si sente la voce di una ragazza che canta, oramai giunti in Bielorussia, e la primavera che addolcisce la terra, la vita che continua, a dispetto degli uomini che continuano a scannarsi tra di loro in una guerra assurda.
Questo e gli altri suoi libri sono classici del Novecento italiano, un ricordo perenne di come i torti di un Paese e del suo regime non sono in grado di cancellare quel che la memoria collettiva fa comunque fatica a digerire.
E sono proprio il coraggio e l’altruismo di chi come Rigoni Stern si rese conto di trovarsi dalla parte sbagliata che restituiscono ai nostri occhi tutta la mostruosità del conflitto.
Stefano Superchi
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