Nightclubbing (1981)
Ostriche, androginia e schiaffoni
L’attesa che il meteo si sistemi da ancora modo di fare quattro salti al chiuso. E nella disco quella storica andiamo a pescare una signora molto conosciuta ma sempre sorprendente.
11 Maggio 1981.
La divina Grace Jones consegna ai posteri la sua quinta fatica, Nightclubbing.
Già conosciutissima come modella e come cantante disco, in questo album pone un punto di svolta nella sua produzione e cambia il suo repertorio. Il disco è quasi interamente di cover, eccezion fatta per un paio di tracce dove firma attivamente i testi. Personalmente ero ferma alle celeberrime Feel Up e I’ve Seen Your Face Before (Libertango): la prima è una perla conosciutissima per gli estimatori dell’afro funky, la seconda potrebbe essere considerato il suo marchio di fabbrica con la quale ha scalato le classifiche europee.
Anzi, potremmo partire proprio da questo marchio di fabbrica. Le percussioni reggae si tarano sul tango, la tastiera che accompagna l’intero disco scandisce la traccia con andamento sinuoso e la voce nell’intermezzo centrale diventa parlato dai toni profondi, anticipando quello che troveremo ne La Vie en Rose successivamente. La profondità del suo timbro scandisce in francese quanto di torbido e oscuro puoi trovare nei sobborghi di una ipotetica Parigi, magari nelle ombre di Pigalle aggiungo io, passato il tramonto cercando passione a poco prezzo. Ricordando che il tango non è roba da vecchi o semplice balera, ma è soprattutto languore.
Grace firma anche Pull Up To the Bumper. Una donna, di colore, che parla (forse) di sesso anale, nel 1981? Apriti cielo. Ora, la signora avrebbe dichiarato che il riferimento diretto a tale pratica non era necessariamente vero. E, considerando che l’ultimo che ha provato a mettere la Graziella in un angolo ha preso due schiaffoni in diretta TV, io le credo!
Al di là di ciò, è un altro portentoso singolo estratto dall’album e un’altra fototessera della cantante. Il sesso è tutt’altro che implicito nella disco music, ma la nostra pantera lo cavalca con decisione a disco morta e sepolta e la sua voce basta e avanza come suadente trapano, figuriamoci se ti dice di accostare al suo paraurti.
Prezioso anche il suo modo di fare cover. La title track è una cover di Iggy Pop, nell’originale dai toni sbilenchi come una discesa all’inferno della perdizione. La signora riveste la stessa con toni reggae, ma senza snaturarla. Al netto delle due interpretazioni, se pur differenti, la sensazione è sostanzialmente la stessa. È un interessante modo di reinterpretare, che non ha grandi precedenti, specie femminili: dopo due/tre decenni di grandi interpreti del gentil sesso, qui non si aggiunge contenuto, ma una forma ricca, ragionata e rispettosa.
In ultimo la copertina. Taglio maschile, completo Armani nero maschile, sigaretta e sguardo di ammaliante menefreghismo. La comunicazione della Jones ha il sapore di un’ostrica prelibata: il contrasto dell’androginia che sulla carta non invoglia ma che subito dopo esalta una femminilità tanto giunonica e imponente quanto innegabile.
Credo che la signora non me ne vorrà se mi fermo qui, c’è abbastanza per correre all’ascolto direi e casomai all’acquisto del vinile da aggiungere alla vostra collezione (come ho fatto io).
Gaia Beranti
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