Bollicine (1983)
Birra fresca, amaca e introspezione
Io e il tempismo ultimamente affrontiamo un momento difficile, è un mandarsi a quel paese continuo. Così, in questo perenne viaggiare col fuso orario di Mosca (ma anche Nuova Delhi), recupero un anniversario mancato con tante scuse.
Menzione doverosa nell’ introduzione a fatti recenti. Il Vasco nazionale ha ricevuto il XV Premio Vittoriale a Gardone Riviera, il tutto seguito e documentato dal “nostro” Francesco Argento che, con devozione meritata per un artista così importante per la nostra storia, racconta l’esperienza nell’articolo che gli ha dedicato Oglio Po News (LINK).
14 Aprile 1983, vede la luce l’album “Bollicine”.
Ora, così come l’artista e come le tracce più blasonate dell’album, i fronzoli di presentazione non sono cosa. Andiamo sereni e diretti: “Bollicine” e “Vita spericolata” le conoscete tutti, vuoi per le radio in gioventù, vuoi per i karaoke. L’intento non è parlare di questo, ma fare una riflessione nell’interezza dell’album se mai voleste (mi auguro) ascoltarlo per intero dopo questo pezzo.
Come chi ne sa ben più di me suggerisce e senza aver sviluppato chissà quale udito, l’album ha un moto ondulatorio che si sente benissimo. A me personalmente fa pensare all’andazzo di una sbronza. C’è il mini cicciolo dei freni andati e dell’intraprendenza a voce alta, c’è l’appoggiarsi al bancone e la contemplazione del vuoto in un caleidoscopio di giramenti, c’è l’irriverenza delle proprie considerazioni e il “vaffa” al perbenismo, c’è l’intimità di un ricordo dolce che guizza con un tenero rossore. La vicenda del personaggio Vasco nel 1983 è il ciglio di un burrone tra la consapevolezza di sè come artista e l’ombra dei suoi eccessi: “Vita spericolata” arriva ultima a Sanremo, ma arriva prima nelle coscienze di un pubblico più giovane e contemporaneo, traccia una strada per un nuovo stile, un cantautorato intimo e grezzo e quanto mai ermetico, stretto in tre parole ma denso di sensazioni, al confine tra il rauco e quasi stonato. Il famoso burrone, sul quale cammina, ma senza cadere.
Tutto mescolato in un disco, ma tutto in un unico trip. Niente stacchi, più un flusso di coscienza, che ti gratti in testa un attimo e il disco e il suo flusso son già passati e non te ne sei accorto, se non per la piacevolezza del suo scorrere. È la bellezza dei suoi musicisti: oltre al Solieri alla chitarra che non sbaglia, scopro un Dodi Battaglia in “Una Canzone per te”, il sax di Rudy Trevisi (in “Giocala” la coppia col basso guizzante è un intenso lungomare in treno al tramonto, sto in fissa), il collettivo di coro e musica nella solo strumentale “Ultimo domicilio conosciuto” è di un meraviglioso anni 80 metropolitano che “suscita ingordigia”.
Gaia Beranti
🔝
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