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29 febbraio 2024

COLLEZIONE MARAMOTTI, ARTE MODERNA, MAX MARA E I LEGAMI CON CASALMAGGIORE

COLLEZIONE MARAMOTTI, ARTE MODERNA, MAX MARA E I LEGAMI CON CASALMAGGIORE

 

 

Max Mara e Casalmaggiore possono vantare un legame storico.

Per molti di noi è un nome familiare, non solo come marchio della casa di moda di livello internazionale, ma perché tante persone che abbiamo conosciuto hanno lavorato (o lavorano tuttora) nello stabilimento di Casalmaggiore.
L’azienda di moda fondata a Reggio Emilia nel 1951 da Achille Maramotti, tra i primi a proporre in Italia il prêt-à-porter e a puntare su ricerca, marketing e comunicazione, ha una manifattura di produzione tessile a Casalmaggiore dal 1974.
La prima curiosità riguarda il contesto del mondo del lavoro. 

 

Negli archivi della Camera del Lavoro di Reggio Emilia si può trovare la foto di una manifestazione dei lavoratori dello stabilimento di Casalmaggiore nei primi anni ’70, anni di dure vertenze tra il patron Maramotti che non riconosceva le organizzazioni sindacali e i contratti nazionali di lavoro del settore (ed aveva la fama di uno col pugno di ferro) ed i lavoratori che contestavano le condizioni di salute e sicurezza in fabbrica, i ritmi di lavoro ed il cottimo.
Una seconda curiosità: il progetto architettonico delle sedi Max Mara di Napoli e Casalmaggiore fu affidato allo Studio di Gae Aulenti, che non ha certo bisogno di presentazioni (fonte: enciclopedia Treccani).
Ed è proprio sull’aspetto dell'arte che vogliamo focalizzare il nostro sguardo, in particolar modo sulla passione di Maramotti per l’arte contemporanea e su una preziosa eredità che ha lasciato perché tutti gli appassionati ne possano fruire: la Collezione Maramotti.




COLLEZIONE MARAMOTTI

Risale agli anni Settanta il proposito di Achille Maramotti di costituire una raccolta d’arte contemporanea che diventasse un luogo di fruizione estetica e intellettuale, aperto a un pubblico di appassionati. Fino al 2000 un certo numero delle opere acquistate erano esposte negli spazi di passaggio dello stabilimento Max Mara di via Fratelli Cervi per promuovere una quotidiana, stimolante convivenza fra creatività artistica e disegno industriale. Non è perciò un caso che questo edificio, sia ora divenuto la sede permanente  della Collezione Maramotti.



Progetti e mostre

Fin dal 2008, poco dopo l’apertura al pubblico, a fianco della collezione permanente si susseguono, con una programmazione sistematica, mostre e progetti commissionati ad artisti, negli spazi dell’edificio adibiti alle iniziative temporanee. La Collezione guarda al futuro dell’arte senza soluzione di continuità e con coerenza rispetto alla fisionomia di questa raccolta, con un’immutata attenzione all’evoluzione dei nuovi linguaggi artistici, in particolare alla pittura e all’interrogazione critica sullo statuto dell’opera d’arte.

Inoltre, grazie a collaborazioni condotte nel corso degli anni, sono stati organizzati e presentati concerti, spettacoli di danza contemporanea, conversazioni a tema e incontri connessi ai progetti di arte visiva.


ongoing - mostre temporanee

Giulia Andreani
L'IMPRODUTTIVA
29 ottobre 2023 - 10 marzo 2024



Per la sua prima mostra personale istituzionale in Italia, Giulia Andreani presenta L’improduttiva, progetto composto da un corpus organico di nuovi dipinti, tra cui alcuni grandi formati, e di acquerelli concepiti per la Sala Sud della Collezione Maramotti.

Il lavoro di Andreani origina dall’elaborazione di memorie collettive, da frammenti di storia che rischiano di essere perduti, che l’artista recupera e trasforma in articolate composizioni pittoriche, in collage visivi costruiti per corrispondenze.

Sua fonte primaria di ricerca e ispirazione sono gli archivi, e in particolare gli oggetti dell’era analogica che essi racchiudono: lettere sbiadite, documenti ormai ingialliti e soprattutto stampe fotografiche in bianco e nero che l’artista seleziona, raccoglie e filtra in modo non lineare, restituendone gli elementi essenziali.
Guidato da un approccio di ricerca non ortodosso – in cui le immagini del passato sono metabolizzate attraverso la soggettività dell’artista – il lavoro di Andreani è teso a far riemergere persone invisibili e fatti dimenticati, luoghi e momenti spesso indissolubilmente legati all’esperienza storica, sociale e culturale del genere femminile. In molte delle sue opere Andreani, che si definisce una pittrice-ricercatrice femminista, si e ci interroga analizzando i modi in cui le donne sono state considerate e rappresentate in epoche diverse, evidenziandone le dinamiche di potere sottese e giungendo a scardinare stereotipi di genere.
Il suo “fare pittura con la fotografia” è alimentato da un rimpasto di tensioni latenti e di figure passate che, riattivate, diventano sentinelle del presente.

Le figure convocate sulle tele, insieme agli scenari e ai titoli che le collocano in contesti dai toni surreali, proiettano l’osservatore non solamente davanti a una serie di effigi, ma all’interno di un inedito e perturbante confronto con la Storia.

Facendo propria la tecnica del fotomontaggio e trasponendola in espressione pittorica, Andreani giustappone elementi estratti da immagini reali e dettagli di fantasia, per poi riconciliarli in una nuova unità iconografica all’interno della stessa opera.
I soggetti affiorano sulla superficie della tela grazie alla stesura di sottili strati di un unico colore, il grigio di Payne, una tonalità grigio-bluastra che evoca le ombre lontane del crepuscolo e rimanda a momenti passati dell’esperienza visiva, dalla cianotipia alle stampe vintage.
 


Punto di partenza concettuale per L’improduttiva sono stati i materiali iconografici contenuti in alcuni archivi di Reggio Emilia, attraverso i quali Andreani ha indagato il contesto storico e socio-politico della città, focalizzandosi sulle nozioni di confino e di prigionia, strettamente connesse alla storia delle donne.
Elementi del periodo intorno alla seconda guerra mondiale sono stati approfonditi attraverso il patrimonio documentale della Biblioteca Panizzi e di Istoreco – Istituto per la Storia delle Resistenza e della Società contemporanea; mentre un archivio privato e i materiali dell’Ex Ospedale Psichiatrico San Lazzaro, conservati presso la biblioteca scientifica Carlo Livi, hanno offerto all’artista la possibilità di una immersione nell’esperienza di vita (nascosta) delle internate dalla fine dell’Ottocento al secondo Novecento, restituite da Andreani alla storia attraverso una serie di sette ritratti (le “Sette Sante”).

La prima opera realizzata, che dà significativamente il titolo all’intera esposizione, è ispirata a una fotografia dell’inizio degli anni Quaranta che ritrae le allieve della scuola di taglio e confezioni istituita a Reggio Emilia da Giulia Maramotti, madre del fondatore della casa di moda Max Mara – azienda la cui prima sede originale era l’edificio di via Fratelli Cervi che oggi ospita la Collezione.
Lo sguardo di una delle sarte, beffardamente puntato verso l’obiettivo del fotografo, è il dettaglio fatale, il punctum che agisce come detonatore e trafigge lo spettatore – seguendo il pensiero del critico e semiologo Roland Barthes – che Andreani rileva ed enfatizza come nodo centrale per espandere il discorso, in cui chi osserva è chiamato direttamente in causa. L’interferenza dell’immagine corrisponde al luogo in cui l’artista trova il suo punto di ancoraggio per una riflessione sull’emancipazione femminile e il potere della divergenza.

In occasione della mostra sarà realizzato un libro con contributi di Lucrezia Calabrò Visconti, curatrice presso la Pinacoteca Agnelli di Torino, e del filosofo Emanuele Coccia.

 29 ottobre 2023 - 10 marzo 2024

Visita con ingresso libero negli orari di apertura della collezione permanente.
Giovedì e venerdì 14.30 – 18.30
Sabato e domenica 10.30 – 18.30



upcoming - mostre temporanee

Manuele Cerutti
QUEM GENUIT ADORAVIT
10 marzo – 28 luglio 2024
 


Manuele Cerutti, pittore torinese, presenta presso la Pattern Room della Collezione Maramotti QUEM GENUIT ADORAVIT, nuovo corpus di dipinti e opere su carta specificamente sviluppato in una dimensione progettuale originale.

Partendo da esperienze autobiografiche semplici quanto intense – la propria paternità e i primi anni di vita del figlio – Cerutti si è focalizzato sulla creazione di un’entità destinata ad assumere, inaspettatamente, sembianze infantili: una creazione inconsapevole, quasi involontaria, che attinge largamente al vissuto vegetativo delle piante e, nella tradizione alchemica, dei minerali.

Per anni l’artista ha infuso forma pittorica e presenza performativa a oggetti comuni – a volte mutili o frammentari, sempre privati della loro funzione primaria – che popolano il suo studio: una vecchia caffettiera, tubi e bastoni ritorti, scarti di plastica, ossi di pollo, sgabelli, palette, secchi e vasi multiformi divengono protagonisti di nature vive in cui i dettagli del quotidiano, attraverso nuove composizioni, si fanno interpreti di un tempo sospeso, originario, a tratti sacrale.
Tema iconografico ricorrente della nuova mostra è un telo per pacciamatura di plastica nera annodato intorno alla gamba dell’attante umano raffigurato nelle opere. Naturale estensione del suo corpo, questo involucro rimanda alla tecnica della margotta, che consente di ottenere nuove piante inducendo la nascita di radici a partire da un punto del fusto o di un ramo della pianta madre.

Questo metodo di riproduzione agamica, che avviene cioè mediante separazione di una parte qualsiasi del corpo dell'individuo genitore, si lega per consonanza all’esplorazione allegorica e mitologica dell’artista sulla partenogenesi, un tipo di riproduzione in cui la cellula-uovo è slegata dall’atto fecondativo.
Sullo sfondo della memoria di nascite straordinarie, al limite mostruose, nella mitologia antica, l’individuo al centro del racconto-per-immagini di Cerutti porta su di sé le sembianze dell’artista che, sottoposte a un costante processo di verifica e di moltiplicazione, debordano in soggetto universale.
Il soggetto di queste opere è afflitto da un’inestinguibile ferita alla gamba: una parte di sé che delicatamente avvolge con il telo, una ferita feconda di cui si prende costante cura, un’inaspettata materia germinativa che si dà come insorgenza di altre vite e direzioni. Questa figura archetipica sfugge alla definizione di eroe contemporaneo. Essa incarna piuttosto una difformità rispetto al canone, un’interruzione dello sviluppo lineare, suggerendo un sentimento di inadeguatezza e di fragilità. Elemento fuori equilibrio – spesso inserito e sospeso in rappresentazioni tanto articolate e dettagliate da apparire reali –, egli tenta, attraverso una serie di azioni, di assimilare la forma di conoscenza del bambino, riconoscendo nel movimento e nel procedere asimmetrico una via di possibilità.



Il territorio in cui si muove, oltre l’interno dello studio, è il paesaggio ai margini di Torino, quei luoghi familiari all’artista percorsi dall’entropia in cui la città inizia a ibridarsi con la campagna, dove i fiumi scorrono sotto ai cavalcavia, le rovine industriali si mischiano alle terre incolte e un sottopasso di cemento può magicamente trasformarsi in un monumentale portale atterrato da un racconto di fantascienza.
Ma il territorio di esplorazione è per Cerutti, in primo luogo, la pittura stessa, che egli definisce “impronta continua del fare”.
Che sia il soggetto a convocare la propria nitida apparizione sulla tela o il processo pittorico, con i suoi strati, le velature e le cancellazioni, a dare passo e sostegno alla composizione, la ininterrotta ricerca nel linguaggio pittorico riecheggia nell’andare del protagonista di queste opere, tra partecipazione e distacco, meriti e colpe, tentativi di recupero e rinunce: verso l’emergere di un attaccamento inesprimibile (a cui fa riferimento il titolo della mostra, “Adorò colui che generò”), è possibile inciampare nello stupore, creando nuove relazioni con il proprio stare nel mondo.

In occasione della mostra sarà realizzato un libro con contributi del sociologo Gian Antonio Gilli, del poeta e scrittore Valerio Magrelli e di Elena Volpato, curatrice e conservatrice presso la GAM - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea di Torino.
 
10 marzo - 28 luglio 2024

Visita con ingresso libero negli orari di apertura della collezione permanente.
Giovedì e venerdì 14.30 – 18.30
Sabato e domenica 10.30 – 18.30

Chiuso: 25 aprile, 1° maggio



La collezione permanente

Alex Katz - January V

La Collezione comprende diverse centinaia di opere d'arte realizzate dal 1945 a oggi, di cui oltre duecento in esposizione permanente, che rappresentano alcune delle principali tendenze artistiche italiane e internazionali della seconda metà del XX secolo. È fondamentalmente costituita da dipinti, ma sono presenti anche sculture e installazioni. Gli artisti sono rappresentati con opere significative soprattutto nel periodo della loro apparizione sulla scena artistica, quando cioè il loro lavoro introduceva elementi di sostanziale novità nella ricerca contemporanea.

La collezione permanente inizia con alcuni importanti quadri europei, indicativi delle tendenze espressioniste e astratte degli anni Cinquanta generalmente definite “informali”, e un gruppo di opere protoconcettuali italiane. Presenta poi un nucleo importante di dipinti della cosiddetta Pop art romana, seguito da un numero consistente di opere di Arte Povera.
A questi movimenti succedono nella Collezione opere fondamentali neoespressioniste italiane (Transavanguardia), significativi esempi di neo-espressionismo tedesco e americano e un gruppo considerevole di opere della New Geometry americana degli anni Ottanta-Novanta. Nel 2019, in occasione di Rehang, le ultime sale del secondo piano dell'esposizione permanente sono state riallestite per accogliere alcuni dei progetti presentati nei primi dieci anni di apertura della Collezione.

Mimmo Paladino - Cimento


Alle opere del XXI secolo, che per la maggior parte non sono incluse nell’esposizione permanente, sono dedicate mostre tematiche negli spazi del piano terra. La Collezione costituisce dunque essa stessa un “work in progress”, poiché intende continuare ad accogliere e testimoniare i nuovi percorsi che l’arte di oggi va mano a mano esprimendo.


Opere permanenti

 

Eva Jospin   
Microclima (2022)

Modalità di visita: flagship store di Max Mara Milano Ingresso di Corso Vittorio Emanuele, Milano. L’opera è visibile anche all’esterno da Piazza del Liberty.
Orari di apertura del negozio
lunedì - sabato 10.30-20.00
domenica 11.00-20.00


Margherita Moscardini   
The Fountains of Za’atari - Mahallat el-Ghouta94, Block 8, District 4 (2019)

Modalità di visita: Parco Alcide Cervi, Reggio Emilia
Ingressi da Piazza Fiume e da via Gazzata
Orari di apertura del parco:
1 maggio – 30 settembre dalle 7.00 alle 24.00
1 ottobre – 30 aprile dalle 7.00 alle 20.00
(Il getto della fontana si aziona la domenica in questi orari:
da maggio a settembre dalle 11.00 alle 11.30 e dalle 18.00 alle 18.30
da ottobre ad aprile dalle 11.00 alle 11.30 e dalle 16.00 alle 16.30)

 
Jason Dodge   
A permanently open window (2013)

Modalità di visita: Via Fratelli Cervi 61, Reggio Emilia
L’installazione è visitabile su richiesta nelle giornate di sabato e domenica nei seguenti orari:
- da aprile a settembre dalle 17.00 alle 18.30
- da ottobre a marzo dalle 13.00 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 15.00


IL LUOGO

Un luogo per l'arte contemporanea
 
 
Il vecchio edificio
In via Fratelli Cervi 66 era originariamente situato lo stabilimento della casa di moda Max Mara, che aveva iniziato la sua attività nel 1951. L’edificio, commissionato nel 1957, fu progettato dagli architetti Antonio Pastorini ed Eugenio Salvarani e venne poi due volte ampliato dalla Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia nei successivi dieci anni. Si trattava di un disegno radicalmente innovativo per la sua epoca, incentrato com’era sulla piena valorizzazione di una ventilazione e di un’illuminazione naturali, con la collocazione degli elementi di servizio all’esterno del corpo centrale, allo scopo di creare uno spazio totalmente versatile.
Nel 2003 l’azienda, che nel frattempo si era notevolmente ampliata, si trasferì in una nuova sede generale edificata alla periferia di Reggio Emilia e gli spazi dell’edificio originale vennero destinati a ospitare la collezione d’arte contemporanea del fondatore di Max Mara, Achille Maramotti.


Il nuovo edificio
Per la conversione della struttura in spazio espositivo, l’architetto inglese Andrew Hapgood ha scelto un approccio trasparente e rispettoso, conservando la cruda essenzialità della costruzione e conformandosi alla logica del progetto originale che la concepiva come struttura adattabile a molteplici scopi e capace di trasformarsi secondo diverse necessità.
Tre sono stati i nuovi e salienti interventi che hanno connotato tale conversione. Un primo intervento chiave modifica la percezione dell’edificio nel suo contesto, attraverso un nuovo orientamento del suo ingresso principale e un ripensamento del suo aspetto fondamentalmente industriale, evidenziato dall’architettura e dall’entrata principale: è stato realizzato un nuovo “taglio”, parallelo a via Fratelli Cervi, creando ampie entrate sulle facciate est e ovest che accompagnano il visitatore al centro della nuova galleria. Al pianterreno sono disposte la reception, le sale espositive per mostre temporanee, la biblioteca/archivio e gli uffici.

Sono stati poi creati due nuovi volumi all’interno del corpo di fabbrica, che lasciano filtrare la luce naturale nel cuore del pianterreno. Uno spazio alto tre piani è stato collocato sopra l’ingresso principale e al centro della collezione permanente e a esso si ritorna più volte nel corso della visita. Tale spazio, insieme a un altro ambiente alto due piani che ospita i dipinti di maggiori dimensioni, è illuminato da tre nuovi lucernari lineari, nascosti sopra la struttura primaria in calcestruzzo. La distribuzione della luce solare avviene qui attraverso riflettori interni ai lucernari verticali: viene mantenuto in tal modo un contatto con l’ambiente esterno e con la natura mutevole della luce.

I primi due piani dell’edificio sono dedicati alla collezione permanente. Le gallerie sono ampiamente illuminate a giorno dalla vetrata perimetrica originale, coi gradi di esposizione solare e i livelli luminosi controllati dalla tettoia solare esterna installata negli anni Settanta e in seguito ristrutturata.

Il contesto paesaggistico è stato progettato secondo gli stessi principi della conversione dell’edificio, utilizzando cioè specie vegetali e soluzioni ornamentali tipiche della zona, allo scopo di rafforzare l’idea di una ricolonizzazione del luogo come paesaggio post-industriale.

LO SPAZIO

Percorso di visita della collezione permanente
Le opere dell’attuale esposizione permanente si susseguono in quarantatre sale, distribuite sui due piani dell’edificio con un criterio flessibile basato di volta in volta sulla successione cronologica delle opere, sulla loro omogeneità all’interno delle varie tendenze artistiche e sulle specificità nazionali degli artisti, consentendo in tal modo un molteplice livello di lettura dell’arte dopo la Seconda Guerra Mondiale. Mentre il primo piano ospita dipinti e sculture italiani ed europei dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta, il secondo piano propone opere americane ed europee dai primi anni Ottanta all’inizio degli anni Duemila.
 


In ciascuno dei due piani uno spazio aperto accoglie installazioni e sculture dagli anni Settanta a oggi.

Due opere occupano un posto particolare: l’installazione Caspar David Friedrich di Claudio Parmiggiani, allestita nel cavedio che si sviluppa tra i due piani del corpo di fabbrica, e l’audio installazione di Vito Acconci Due o tre strutture che s’aggancino a una stanza per sostenere un boomerang politico, per la cui presentazione è stato integralmente ricostruito lo spazio che l’aveva originariamente ospitata nel 1978.


BIBLIOTECA

L’Archivio d’Arte e la Biblioteca della Collezione Maramotti raccolgono il patrimonio documentario e bibliografico relativo alla collezione d’arte contemporanea, quale testimonianza della sua memoria, della sua storia e della sua identità.
 

Collocati al piano terra della Collezione, l’Archivio conserva la documentazione in formato sia cartaceo sia digitale riguardante gli artisti e le opere della Collezione e la Biblioteca ne custodisce i libri e i cataloghi. Quest’ultima si caratterizza inoltre per le sezioni dedicate ai libri d’artista, alla poesia visuale e concreta e alle riviste d’arte d’avanguardia degli anni Sessanta e Settanta.

L’attività di digitalizzazione dei materiali si sviluppa insieme a un costante aggiornamento, in un sistema di dialogo fra documenti d’archivio, libri e opere d’arte, teso alla valorizzazione del patrimonio artistico mediante una continua ricerca. Per tale motivo, sia l’Archivio sia la Biblioteca sono aperti su appuntamento a studenti, ricercatori e appassionati d’arte.

Le parte più cospicua della Biblioteca è dedicata alle pubblicazioni sugli artisti della Collezione e ai testi di arte contemporanea, come saggi, monografie di artisti, cataloghi di mostre, di biennali e di fiere d’arte, a cui si affianca un’ampia collezione di libri d’artista.

L’Archivio è costituito da tutta la documentazione relativa alle opere e agli artisti della Collezione Maramotti dagli anni Sessanta ai giorni nostri ed è in continuo accrescimento con i materiali sui progetti e sulle mostre della Collezione dalla sua apertura nel 2007 ad oggi, in previsione di una loro futura storicizzazione.

Nel corso degli anni sono state organizzate iniziative di promozione delle risorse librarie e archivistiche grazie a mostre come Il Corpo figurato (2015), Rehang : Archives (2019), Show Case (2021) e Studio Visit (2021-2022).

Attraverso l’ordinamento sistematico del materiale inerente le opere e gli autori, l’Archivio e la Biblioteca aspirano a diventare sempre più un luogo per esplorare e per conoscere nuove possibilità di ricerca legate al mondo dell’arte contemporanea.




Per informazioni e appuntamenti:
biblioteca@collezionemaramotti.org
Tel. 0522 382484



Il Premio

Max Mara Art Prize for Women, in collaborazione con Whitechapel Gallery

Giunto alla sua nona edizione, il Max Mara Art Prize for Women, è un prestigioso premio biennale per artiste emergenti che si identificano nel genere femminile, istituito nel 2005 da una collaborazione tra Max Mara Fashion Group e Whitechapel Gallery. La Collezione Maramotti si è unita come ulteriore partner nel 2007.
 
È l’unico premio per le arti visive dedicato ad artiste emergenti del Regno Unito, con la finalità di promuoverle e valorizzarle in una fase cruciale del loro percorso attraverso una maggiore visibilità e le risorse necessarie a sviluppare un nuovo e ambizioso progetto mediante un sostegno creativo e professionale essenziale in termini di tempo e spazio. Il premio è rivolto ad artiste (incluse persone cisgender, transgender e/o non-binarie) di qualunque età che vivono e lavorano nel Regno Unito che non hanno ancora esposto le proprie opere in una mostra personale. A ogni edizione una giuria composta da una gallerista, una critica d’arte, un’artista e una collezionista, e presieduta dalla direttrice di Whitechapel Gallery, seleziona un gruppo di artiste dal quale sceglie una rosa di cinque finaliste. Alla vincitrice, selezionata in virtù del valore della proposta presentata, è offerto un periodo di residenza in Italia della durata di sei mesi organizzato dalla Collezione Maramotti e completato da un’esposizione conclusiva. La residenza, sviluppata sulla base delle esigenze e degli interessi particolari dell’artista e della proposta presentata, offre in particolare le risorse e lo spazio necessari a realizzare un nuovo progetto, destinato a rappresentare il fulcro di una grande personale allestita presso Whitechapel Gallery di Londra e alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia. Quest’ultima poi acquisisce l’opera, che diventa parte della sua prestigiosa collezione artistica in modo da assicurare all’artista sostegno e riconoscimento anche al di là del biennio coperto dal premio.
 
 
La specificità ed eccezionalità con cui il Max Mara Art Prize for Women riconosce e sostiene il processo creativo sono all’origine del British Council Arts & Business International Award conferito nel 2007.
 
a cura di Stefano Superchi
 
 
 
 
Orari di apertura

La visita alla collezione permanente è accompagnata, su prenotazione e riservata a un massimo di 25 visitatori per volta.
Ingresso gratuito.

Orari di inizio visita della collezione permanente: giovedì e venerdì ore 15.00; sabato e domenica ore 10.30 e ore 15.00.
Per gruppi di almeno 15 persone è possibile organizzare una visita accompagnata su richiesta scrivendo a info@collezionemaramotti.org.

L’accesso alle mostre temporanee è libero giovedì e venerdì dalle 14.30 alle 18.30; sabato e domenica dalle 10.30 alle 18.30.

Tutto il percorso espositivo è accessibile a persone con difficoltà motorie.

L’accesso di animali – anche di piccola taglia – all’interno degli spazi espositivi non è consentito.

Chiuso: 1 e 6 gennaio, 25 aprile, 1° maggio, dall’1 al 25 agosto, 1° novembre, 25 e 26 dicembre.

L'installazione permanente di Jason Dodge, A permanently open window, è visitabile su richiesta nelle giornate di sabato e domenica nei seguenti orari: da aprile a settembre dalle 17.00 alle 18.30; da ottobre a marzo dalle 13.00 alle 13.30 e dalle 14.30 alle 15.00.


 
(le informazioni sulla Collezione Maramotti sono tratte dal sito https://www.collezionemaramotti.org/it/home)
 








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