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06 gennaio 2024

CRITICHE A CONFRONTO #2 - Le otto montagne

Per la rubrica CRITICHE A CONFRONTO (che compara due recensioni dello stesso film), parliamo dell'opera LE OTTO MONTAGNE, un film del 2022 scritto e diretto da Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch.

Adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 2017 di Paolo Cognetti, ha vinto il premio della giuria al 75º Festival di Cannes. Il film ha vinto inoltre 4 David di Donatello, tra i quali quello per il miglior film.

CRITICHE A CONFRONTO

Titolo: LE OTTO MONTAGNE
Regia:
Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch
Cast:
Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Filippo Timi, Elena Lietti, Elisabetta Mazzullo, Lupo Barbieri, Cristiano Sassella, Elisa Zanotto
Anno:
2022

 


La recensione di Federica Rizzo

La potenza del cinema

"Le otto montagne", ispirato al celebre libro di Cognetti, tocca le corde dell'anima e scalda il cuore come poche altre opere riescono a fare.

Fatevi un regalo e correte al cinema; questo è un film che tocca le corde dell’anima e scalda il cuore come poche altre opere riescono a fare.

La Valle d’Aosta con i suoi paesaggi mozzafiato fa da sfondo alla storia di Pietro e Bruno, due ragazzi la cui amicizia nasce tra le montagne e lì rimarrà radicata per sempre. Un’amicizia che sfida il tempo, il silenzio, l’attesa, le intemperie, le incomprensioni, le diversità e non si fa carico di futili convenevoli.

Borghi e Marinelli si confermano una coppia vincente e gli attori più talentuosi del panorama italiano attuale, bravura straordinaria e genuina complicità. Dai loro personaggi trasuda la gravità, il rimorso, la malinconia dei sogni infranti, la tristezza della separazione, la gioia della condivisione. Vengono dette poche parole in questo film, come anche nel libro da cui è tratto; scarno di dialoghi, ma carico di sentimento e consapevolezza che questo tipo di amicizia quasi non avesse bisogno di cura, tanto era forte il legame. Bastano poche parole misurate per comunicare, basta una pacca sulla spalla, uno sguardo accondiscendente, un sorriso tra la barba folta.

Ho amato il libro, ma credo di aver amato di più il film, molto emozionante; i due registi ci hanno confezionato un piccolo gioiello e ce lo hanno donato.

Ma è soprattutto un film malinconico, e le canzoni di Daniel Norgren calzano a pennello. Magari poi due non se lo dicono neanche, ma glielo si legge negli occhi che passerebbero la vita ad aspettarsi, a trovarsi, a prendersi. Perché a volte non è necessario dirsi tutto, il silenzio e gli sguardi comunicano più delle parole, ma si arriva ad un punto in cui il silenzio innalza muri molto spessi dentro i quali si rimane confinati e poi, sommersi.

(qui trovate la recensione pubblicata sul sito Heraldo.it)



La recensione di Giovanna Anversa

Capita di rado che un film renda onore al libro da cui è tratto, Le Otto Montagne, è uno di quelli.

Protagonista l’amicizia, potente forma d’amore in cui non entra il sesso ma vi entra tutto il resto. La conoscenza profonda e l’accettazione della diversità dell’altro, la fusione, l’essersi dentro anche se lontani. Un amico è luogo in cui rifugiarsi e stare in silenzio, dirsi tutto senza bisogno di usare le parole, è sapere quando ha bisogno e correre subito da lui. “Chi lo conosceva come me? E chi mi conosceva come lui?”

Non è un film lento come ho spesso letto, rispetta semplicemente il ritmo della montagna, altra fondamentale protagonista, dove si svolge la storia. È la storia dell’appartenenza a un luogo da una parte e della ricerca del proprio posto nel mondo dall’altra. È il rapporto complicato con padri complicati di cui non si capisce la vita, se non dopo tanto tempo, ed è lo stringersi ancora di più in quell’affetto vero e potente che cura le ferite ed elargisce qualche risposta. Non è la natura a fare da cornice “la natura è un concetto astratto! I boschi, i sentieri, i ghiacciai, i pascoli che calpesti, indichi col dito e vedi, ogni cosa ha un nome.” I rumori, gli odori, i colori, il passaggio delle stagioni, rispettarne i ritmi e assoggettarsi, come ogni essere vivente fa, che sia albero o animale, è come stare nel ventre materno.

Sono diversi Pietro e Bruno, il primo cresce in città, non sa che fare del suo futuro, il secondo cresce in montagna e sa fin da bambino che da lì non se ne andrà mai. Così la montagna di Bruno diventa anche la montagna di Pietro e senza di lui non ha più senso tornarci, quella montagna che fu anche di suo padre, quello che non conosceva. E in quel luogo che culla gli animi e dilata i pensieri, Pietro e Bruno diventano un’anima sola, gli occhi di uno lo specchio dell’altro, i silenzi che sanno spiegare e le filosofie che rimbalzano ogni volta che parlano.

Strepitosi Marinetti e Borghi, meravigliosa la fotografia, efficace, sublime e commovente la musica di Daniel Norgren che accompagna magistralmente sentimenti e paesaggi.

 










 

1 commento:

  1. Annamaria Piccinelli13 gennaio 2024 alle ore 14:39

    Per me in questo confronto di recensioni, vince Anversa. Vorrei aggiugere anche che a me del film ha interessato molto anche un piano secondario, diciamo conseguente: la diversità tra uomo e donna nel rapporto di coppia e nella famiglia. La donna tende a mette queste due cose al centro della propria esistenza, l'uomo no. Nella vita credo sia importante sapere questa cosa e rispettarla.

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