Giuni Russo
Un’ estate (involontariamente) al mare
Estate 1982. L’Italia inebriata dal successo ai Mondiali di calcio, canta un tormentone di una, fino ad allora, sconosciuta cantante, androgina e con una voce fuori dal comune. "Un’estate al mare", scritta da Franco Battiato con gli arrangiamenti di Giusto Pio, irrompe nella penisola pigramente distesa in spiaggia.
Di queste hit estive Giuni rimase involontaria prigioniera, gli diedero il successo e la fama, ma era altro da quello che avrebbe voluto.
Giuni Russo non soffre di un eccesso di commemorazioni e tributi, che, se vogliamo, non è un male, anzi. Il Comune di Alghero una decina di anni fa le ha intitolato uno slargo affacciato sul mare, il Mirador Giuni Russo, non solo perché nella fantasia popolare Giuni avrà sempre le sembianze di una divinità balneare, nata fra onde e ombrelloni, ma perché il mare rappresenta il legame tra la Sicilia nativa e la Sardegna elettiva, dove Giuni Russo prenderà casa, a Portobello di Gallura. Da adulta racconterà che quando era ancora bambina, a Palermo, giocando per strada aveva sentito una ragazzina dire: “Ad agosto viene mia zia dalla Sardegna”. Il suono della parola “Sardegna” da allora le rimane dentro.
Dotata fin da bambina di una voce fuori dal comune, da soprano lirico, Giuni Russo aveva provato a sfondare nella musica da giovanissima, nei tardi anni Sessanta. La sua carriera è fatta di stop e ripartenze. Debutta al Festival di Sanremo nel 1968, a diciassette anni, con il nome di Giusy Romeo. Tra gli esordienti di quella edizione c’è anche Al Bano, che diventerà presto una celebrità.
Giuni invece non trova il successo, tutt’altro, però a Sanremo incontra nella hall Louis Armstrong, che le regala un bocchino d’argento. Si trasferisce a Milano, dove conosce Maria Antonietta Sisini, musicista di origini sarde, arrivata nel continente insieme alla madre divorziata. Mentre prova a trovarsi uno spazio nell’ambiente discografico, si integra in quel piccolo e atipico nucleo familiare, che si allarga, le fa spazio e l’accoglie. Diventa, per la madre di Maria Antonietta, una seconda figlia.
Il pubblico conosce e adora la Giuni Russo degli anni Ottanta, mentre della sua storia precedente è rimasto ben poco nella memoria.
Dopo il grande successo, che significò anche stabilità economica, Giuni Russo intraprende una propria strada, non è interessata a collezionare tormentoni estivi, non vuole identificarsi esclusivamente con la sua icona pop balneare. Si avvicina a una musica di ricerca, tra l’operatic pop e la musica sacra, assegnando all’uso della voce il massimo grado di libertà espressiva. Unica ed inimitabile, è stata l’antesignana in Italia della musica di confine e il suo percorso artistico, prima e dopo i tormentoni estivi, è sempre stato libero da ogni costrizione o imposizione delle case discografiche.
E ne ha, consapevolmente, pagato il prezzo.
A partire dal 1988 l’interesse per la spiritualità imprime una nuova direzione alle vite di Giuni e Maria Antonietta. Leggono testi di filosofia esoterica e di mistica, da Rudolf Steiner a Le tavole smeraldine di Ermete Trismegisto, da san Giovanni della Croce a Teresa d’Avila e Ignazio di Loyola. È un cammino che le porta a conoscere e frequentare un convento di Carmelitane Scalze a Milano.
Quando Giuni si ammalerà e capirà che non le resterà molto da vivere, chiederà alle Carmelitane Scalze di poter riposare definitivamente tra loro. Le Carmelitane, a sorpresa, accettano. Come verrà spiegato nell’omelia pronunciata al funerale da una consorella, Giuni, in fondo, è stata una carmelitana, ovvero “una persona che col canto aveva rallegrato gli animi di tutti i fratelli”. Se ne va il 14 settembre 2004 e da allora le sue spoglie riposano al Cimitero Maggiore di Milano, fra quelle delle altre Carmelitane Scalze.
Stefano Superchi
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