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29 giugno 2024

PER RICORDARE ALDO

PER RICORDARE ALDO

foto di Tiziano Schiroli

 

Agli Amici del Po di Casalmaggiore una serata per ricordare Aldo Sarzi Braga.

Stasera, sabato 29 giugno, a partire dalle 21, agli Amici del Po di Casalmaggiore, verrà ricordato Aldo Sarzi Braga, fotografo, poeta, uomo di acqua dolce e conoscitore del Grande Fiume e del suo dialetto.



Gli anni di lavoro allo zuccherificio Eridania di Trecasali, l'attivismo ambientalista dagli anni '80, la passione per il fiume Po e per la fotografia e nel 2017 la scrittura de "La Magana", un libro di racconti e poesie in dialetto casalasco che parla di una imbarcazione da trasporto fluviale utilizzata da suo padre negli anni del Dopoguerra.

 


A lui si deve la discesa del Po, manifestazione che ogni anno rinnova tante iniziative nel nome di Umberto Chiarini.

Una serata speciale per una persona speciale, poetica ed intima, con le sue immagini a fare da sfondo alla narrazione dei suoi racconti, letti da Graziano Coppi ed Erminio Zanoni. Tecnici delle immagini e del suono Alice Storti e Marco Tenca

 

La serata è ad ingresso libero.

 

 

Il ricordo di Aldo nell'articolo di Giovanna Anversa per Oglio Po News (11 ottobre 2023)

Solito tavolino sul terrazzo del bar ristorante degli Amici del Po, il solito ritrovo per una ora di relax dopo il lavoro e prima di rientrare a casa, ma le voci sono più basse, gli sguardi meno brillanti, gli animi più tristi.

Si è spenta una luce al Lido, si è spezzata una racchetta, si fermata una barca: un amico è partito per l’altrove, per quel luogo dove tutti ci ritroveremo. Occhi lucidi e una birra Corona attorno a un tavolo, così ieri si sono stretti ad Aldo Sarzi Braga gli amici Paolo Antonini, Graziano Lanzetti, Simone Miceli e Mauro Lucotti, un abbraccio fatto dei soliti gesti per arrivare a lui, uno di quei compagni di vita che fan parte del nostro “persempre”.

Era tante cose Aldo: nato in una famiglia di barcaioli era appassionato conoscitore del fiume che amava moltissimo, giocava a tennis e fece a lungo parte dell’Atletica Interflumina, fu membro del Panathlon, corista all’Estudiantina, attore nella storica Compagnia Filodrammatica, ecologista convinto e innamorato della natura, fu tra i fondatori del gruppo dei Verdi e figura storica all’interno degli Amici del Po.

Presente fin dagli albori della società, a cui ha voluto un gran bene, ha contribuito alla sua crescita e al suo benessere come consigliere per molti anni e come presidente. La sua autorevolezza, il suo impegno e la sua presenza costante sono tra gli ingredienti che hanno portato gli Amici del Po a ciò che è oggi.

Negli anni 2000 – racconta Paolo Antonini – la sua elezione a presidente fu determinante a sanare una spaccatura interna, una profonda divisione che aveva determinato due compagini, sia tra il consiglio che tra i soci, di vedute completamente opposte. Il suo carattere, determinato ma giusto, corretto e leale, la sua inclinazione alla coesione, l’esperienza sindacale all’interno dello Zuccherificio e una forte capacità organizzativa han fatto sì che la divisione venisse superata. La sua nomina ha comportato il superamento dei dissapori e la ripresa di relazioni positive portando benefici alla società e alle persone. Da lì siamo ripartiti con spirito di collaborazione e ogni anno siamo cresciuti un po’. Ci lascia un’eredità di costruzione e impegno collettivo che cercheremo di portare avanti”.

Al Lido c’è tanto che parla di lui, della sua tenace partecipazione, della sua presenza costante, del suo amore per quell’angolo di terra che in tanti ci teniamo stretto ma che non esisterebbe se non ci fossero persone come Aldo ad occuparsene. Negli sguardi bassi e nelle voci rotte invece c’è la tristezza per la partenza di un amico, un dolore sordo che si sopporta insieme, a fari spenti, a sipario chiuso e che riporta alla memoria altri amici volati via le cui anime aleggiano in quel luogo del cuore davanti al grande fiume: Carlo Zaffanelli, Otello Nizzoli, Paolo Gabbi, Virginio Capelli e tanti altri.



Il Presidente, il Consiglio, i tanti i soci che lo hanno conosciuto si stringono alla moglie Patrizia, al figlio Daniele e a tutta la famiglia per la perdita un uomo di spesso valore, che in molti hanno amato, di un amico che ora vola libero.

Ci sono angoli di mondo che racchiudono vite per sempre, vite che vi hanno speso l’anima e che in fondo da quell’ angolo non se ne sono mai andate…. sulle acque che solcano una delle più belle curve del nostro Pater Padus, se si guarda bene, c’è sempre una barca che dondola.

Giovanna Anversa

 

26 giugno 2024

GIANNINA, LA BATTAGLIERA CON DUE PADRI. FADIGATI O GARIBALDI?

GIANNINA, LA BATTAGLIERA CON DUE PADRI

FADIGATI O GARIBALDI?


Quando si parla di Garibaldi, a Casalmaggiore la mente corre alla bellissima piazza con il listone in marmo bianco, unica o quasi nel suo genere, ma anche alla targa sulla facciata di Palazzo Mina-Tentolini che commemora la sua venuta in città il 2 aprile del 1862.
Che Garibaldi sia stato un po’ ovunque in Italia è risaputo, ma pare che dalle nostre parti fosse stato più spesso di quello che si immagini.
Prendendo spunto da una nota dello storico casalasco Costantino Rosa, che pubblico di seguito, ho cercato di saperne di più sulla storia di Giannina Repubblica, una storia che potremmo definire un romanzo popolare.


 



Misteri di casa nostra - Paolo Fadigati e il mistero Di Giannina Repubblica: figlia sua o di Garibaldi?
 
Il nobile Paolo Fadigati (il cui vestito da cerimonia indossato per il Congresso di Vienna si è potuto ammirare in questi giorni presso Villa Fadigati a Martignana di Po, dimora aperta in occasione della rassegna “Giardini e Cortili” di Dimore Storiche Cremonesi), dalla moglie Palmira Visioli ebbe tredici figli: Giovanna Palmira, Costantino Cesare, Costanzo Francesco, Costanza, Ippolito, Vittoria Garibalda, Garibalda, Daverio, Clelia, Anna Maria Elvezia, Palmiero, Giannina Repubblica, Caprera.
Sui primi dodici non vi furono dubbi né sulla paternità che sulla maternità. Sul tredicesimo, anzi la tredicesima, ossia Giannina Repubblica, si ebbero nel tempo tre versioni sulla sua paternità in particolare ma anche sulla maternità.

Palmira Visioli


Una prima versione è che Giannina Repubblica fosse semplicemente figlia di Paolo Fadigati e di Palmira Visioli. A tale bambina si affezionò in modo particolare il Garibaldi a tal punto che si pensò che fosse sua figlia (e lei si affezionò come ad un padre).
Una seconda versione sostenne che Palmira Visioli (udite udite!!!) giacesse con Garibaldi su invito e con il consenso di Paolo Fadigati, desideroso che almeno uno dei suoi figli fosse un “vero” garibaldino.
Una terza versione sostenne invece che la bambina nacque da un rapporto di Garibaldi con una signora di Rivarolo del Re rimasta nell’ombra e che la famiglia Fadigati la accolse e adottò come una propria figlia. Versione questa condivisa da Lucia Mainoldi in un suo articolo apparso nel febbraio del 2018 sul mensile “Casalmaggiore” (“Repubblica, la figlia del generale Garibaldi”).

Paolo Fadigati


Quale la verità? Mistero. Pare che la prima versione sia poi quella reale. Pare. Resta il fatto che la bambina, come sostiene in un suo studio Pierfranco Mastalli, fu battezzata regolarmente nella Chiesa di Rivarolo del Re con il nome di Giannina. A tal riguardo è noto l’episodio del battessimo fatto sempre a Rivarolo del Re, dove Garibaldi volle imporre il nome di Repubblica. Di fronte al secco diniego dell’allora parroco, l’Eroe dei due Mondi fece battezzare la bambina con acqua presa da una fonte fuori dalla chiesa, da un frate, Fra’ Pantaleo, che lo seguiva sin dalla spedizione dei Mille. Piccolo problema: frate Giovanni Pantaleo era spretato da quattro anni!
Altro mistero, stante il fatto che di questo episodio non esiste documentazione scritta.
Ed è nota la particolare dedizione del nobile Fadigati per la bambina, così come da parte di Garibaldi stesso. Insomma tutto poteva far credere che effettivamente Giovannina Repubblica poi chiamata “la Garibaldina” fosse figlia di Palmira Visioli e di Garibaldi, consenziente il Fadigati. Infatti la scrittrice Genziana Ghelli titola il suo lavoro sulla vicenda di Repubblica: “La Garibaldina Repubblica figlia di due padri”.
E Giovannina Repubblica tutto fece nella sua vita per far credere di essere stata una figlia del grande generale (gli altri figli di Garibaldi non la riconobbero mai) e dedicò tutto il suo entusiasmo a promuovere iniziative per tener viva la memoria di suo “padre”. Morì nel 1954 in povertà all’età di 86 anni, essendo nata a Rivarolo del Re nel 1868.
 
Costantino Rosa



Costantino Rosa cita un libro “La Garibaldina Repubblica figlia di due padri” di Genziana Ghelli, che fu così recensito da Stefania Panizzi il 21 giugno del 2010 su “La Cronaca di Casalmaggiore”.

Poco più di un mese fa dalle colonne del nostro quotidiano Enrico Cirani, appassionato di storia locale, aveva dato notizia dell’imminente uscita del libro “La Garibaldina Repubblica, figlia di due padri” di Genziana Ghelli, genealogista e psicoterapeuta, nel quale l’autrice ripercorre e ricostruisce le vicende legate alla nascita a Casalmaggiore della garibaldina Giannina Repubblica da sempre indicata come figlia naturale di Giuseppe Garibaldi poi adottata dal nobile locale Paolo Fadigati.
Questo pomeriggio il pregevole volumetto - 139 pagine dal racconto intenso e accattivante corredate da una ricca documentazione - verrà ufficialmente presentato per la prima volta dall’autrice nel contesto della sala consiglio di Arezzo in presenza di molte autorità davanti alle quali i nomi di Casalmaggiore e di Rivarolo del Re la faranno, inevitabilmente, da padrone. E’ in buona parte qui, nelle nostre terre della Bassa, che Ghelli ha condotto con pazienza meticolosa tra archivi parrocchiali e uffici di stato civile le ricerche che stravolgono la consolidata credenza che vuole la presunta figlia naturale di Garibaldi nata da una relazione con Palmira Visioli, inserviente del nobile Fadigati successivamente diventata sua sposa. Le cose non andarono esattamente così poiché dai documenti consultati in loco dall’autrice, che di Giannina Repubblica ha ricostruito l’albero genealogico, si dimostra che la stessa è nata a Rivarolo del Re (all’epoca faceva parte del Comune di Casalmaggiore) dove è stato rinvenuto l’atto di battesimo e che è la tredicesima figlia dei nobili Paolo Fadigati, maggiore garibaldino, e di Palmira Visioli.
 


In questo contesto la figura e la presenza fisica a Casalmaggiore di Giuseppe Garibaldi s’inserisce nella profonda amicizia che ha legato “l’eroe dei due mondi” a Paolo Fadigati. Una presenza, quella di Garibaldi, così impregnante da intrecciarsi con le vicende più intime e riservate della nobile famiglia locale. Al punto che il dubbio circa la paternità di Giannina Repubblica tutt’ora resiste. Ed è attorno a questo dubbio, che è anche la fonte del temperamento forte e battagliero della garibaldina, che Ghelli snoda il proprio romanzo.
Esatto, un romanzo. Non si pensi, infatti, che il libro si traduca in una mera e asettica ricostruzione storica. Tutt’altro. Incaricata da un discendente di Giannina Repubblica a rispondere alla domande delle domande “io, chi sono?” Genziana Ghelli imbastisce - per usare le parole dell’autrice - “un’intrigante avventura: per Gianni (il discendente) che ritroverà il bandolo del proprio passato affidandosi a Nora, la genealogista appassionata; per Nora che si immergerà nei meandri, assolutamente veridici e documentati, di una lontana saga Risorgimentale che arriva fino ad oggi (...)”.
Ad accompagnare Nora a spulciare tra i documenti della parrocchiale di Santo Stefano c’è Alvise, archivista del duomo, “veterano di carte e prodigo di consigli”. Dalle pagine del romanzo scaturisce uno spaccato per certi versi intimistico e quotidiano del Risorgimento italiano in cui la figura di Giannina Repubblica s’impone, soprattutto nella fase milanese della sua esistenza, per grande carisma. Sullo sfondo l’ambiguità della sua paternità. Di chi è figlia Giannina Repubblica, di Giuseppe Garibaldi oppure di Paolo Fadigati? “Dopo averla incontrata nel suo mondo - così si legge nella postfazione - il fascino che è seguito prescinde dalla sua discussa origine”

Stefania Panizzi

 
 
Spostandoci verso Nord, esattamente a Lecco, il cerchio si chiude, perlomeno per quanto riguarda la vita terrena di Giannina, ma il mistero sulla sua paternità ci accompagnerà per sempre. Di seguito pubblico un articolo molto documentato di Dario Cercek apparso su Leccoonline.com (nella rubrica “Scaffale lecchese”) il 07 novembre 2021.

Al Monumentale sepolta una... Garibaldina. La sua storia in un libro.
 
C’è una tomba speciale al Cimitero Monumentale di Lecco. Un po’ dimenticata, non sembra neppure più attirare lo sguardo incuriosito dei visitatori meno frettolosi. Garibaldina Repubblica nob[ildonna] Fadigati, vi si legge. Ed è già tutto un programma politico. Suggellato dalla fotografia di una donna in camicia rossa a evocare glorie nazionali.
Di quella tomba, le cronache quotidiane si occuparono nel 2019, quando vi comparve un avviso dell’amministrazione comunale che ne paventava la rimozione, essendo ormai scadute le concessioni. Un’opportuna segnalazione sull’importanza storica del sepolcro fermò la macchina burocratica.




A togliere dall’oblio la figura di Repubblica Fadigati era stato, quasi una decina di anni prima, il libro “La Garibaldina. Repubblica figlia di due padri” di Genziana Ghelli, psicoterapeuta toscana ma anche esperta di ricerche genealogiche. Motivo per il quale si trovò un giorno a seguire le tracce di Repubblica, decidendo di consegnare il frutto dell’indagine appunto alle pagine del volume pubblicato nel 2010 da “Mauro Pagliai”, un piccolo editore fiorentino. “Storia romanzata di una ricerca”, il sottotitolo. Per quanto la realtà fosse già romanzesca di per sé. E un romanzo, la stessa vita di Repubblica Fadigati.



Furono i suggerimenti di uno studioso e gli interrogativi di un pronipote della “Garibaldina” ad avviare «un’intrigante avventura» con l’intento di chiarire il mistero che ancora circonda la nascita di Repubblica, vale a dire che possa essere una figlia naturale di Giuseppe Garibaldi, con il consenso esplicito, se non addirittura per desiderio, del padre anagrafico, il conte Paolo Fadigati. Di fede garibaldina talmente accesa da essere entusiasta d’avere una figlia che portasse nelle venne il sangue dell’Eroe. Anzi, di volerlo egli stesso, pregando la moglie di assecondarlo nella sua “follia”. E dite un po’ se già solo questo non è romanzo. Senonché l’andar per carte della protagonista del nostro libro, che ha nome Nora ed è alter ego dell’autrice, ci regala altre trame e altri intrecci degni dell’invenzione più ardita.

In realtà, il mistero dei due padri rimane tale ancora oggi, quasi settant’anni dopo la morte della Garibaldina.
Il conte Paolo Fadigati fu un combattente risorgimentale, un cospiratore tale da guadagnarsi carcere ed esilio in Canton Ticino. Un estremista, se stava dalla parte di Garibaldi. Per il quale nutriva autentica venerazione. L’Eroe contraccambiava la stima: fu più volte ospite nel palazzo della famiglia Fadigati a Casalmaggiore nel Cremonese e fece da padrino per due dei tredici figli del conte, quasi tutti con nomi da battaglia e molti morti anzitempo, come accadeva ancora nell’Ottocento.
Secondo la vulgata popolare, un bel dì, il conte Fadigati avrebbe appunto chiesto alla moglie Palmira Visioli (sposata tre lustri addietro, durante l’esilio ticinese) il “regalo” di giacere con Garibaldi per restarne incinta potendo così partorire un figlio che più garibaldino di così non si sarebbe potuto.

«Se così è stato – si chiede la Nora del libro – quali implicazioni ne vengono a galla! Un Garibaldi nuovo, disposto alle follie estreme di un ideale, compiacente al sogno dell’amico e incline a pensarsi esonerato dalla morale».

Stando a una versione meno scandalosa, e diffusa in diverse varianti, Repubblica sarebbe invece nata da una relazione di Garibaldi con una contadina delle tenute del nobile Fadigati che l’avrebbe poi adottata. I documenti attestano che la bambina viene alla luce a Casalmaggiore (più precisamente nella frazione di Rivarolo del Re) l’8 ottobre 1868. Le vengono imposti i nomi di Giovanna e Repubblica. Naturalmente, il parroco di Rivarolo ha da ridire. Così che sarebbe Garibaldi in persona a intervenire.
 


Al proposito, leggiamo in uno studio di Pierfranco Mastalli apparso nel 2012 sulla rivista “Archivi di Lecco”: «[Garibaldi] si precipitò da Caprera a Casalmaggiore, prelevò sposa e bambina tenendola avvolta in uno scialle di lana con a fianco il noto frate Giovanni Pantaleo incontrato in Sicilia e divenuto il cappellano dei Mille; volendole imporre il nome di Repubblica, al diniego del sacerdote (“E’ impossibile dentro questa chiesa”) egli mandò a prendere acqua dalla fontana e il frate la battezzò sulla piazza davanti allo sbigottito prete». Episodio che sarebbe stato raccontato dallo stesso Garibaldi in non precisate Memorie.
Ma a quell’epoca, frate Pantaleo ha già smesso il saio da quattro anni, «dopo essere stato denunciato per vilipendio della religione – ci racconta Ghelli - per il suo intento di creare una “Chiesa del Popolo”» e successivamente prenderà anche moglie.

In realtà, Repubblica è battezzata regolarmente nella chiesa di Rivarolo, anche se soltanto con il nome di Giannina, il 1° novembre 1868. Nei documenti religiosi e in quelli civili, il padre riconosciuto è il conte Fadigati.
Ma il dubbio che l’autentico genitore fosse invece Garibaldi avrebbe accompagnato la vita e la memoria di Repubblica, ormai soprannominata “la Garibaldina”.

«Si, tutti fantasticano di Palmira - leggiamo in Ghelli -, come colei che, più che una figlia, partorì un segreto. Di chi? Da chi, davvero, proveniva quella bimba bruna dall’indole ribelle? E perché Paolo la trattava diversamente dagli altri figli, aspettandosi da lei che fosse più maschio degli altri maschi di casa? E perché Garibaldi aveva per lei un’insolita predilezione, tanto da richiamarla a sé, quando egli fu a Milano? Poi, concordavano tutti che quella famiglia – nobile sì, ma molto bizzarra – di segreti strani ne aveva ben donde e ne recitavano a bocca piena l’elenco mi par di sentirli: “Vi ricordate?  (…..) Ma Palmira è la figlia di Pio Visioli…. Brava gente. Lui ha sempre fatto gli affari suoi e anche bene, nel commercio. E Paolo Fadigati, invasato quanto ti pare…. Ma vuoi che…..?”».

Già, «vuoi che….?». E così, i discendenti vorranno sapere sì, «ma non troppo». Sarà sempre un detto e non detto, sussurri, dubbi che lei stessa non dissipava: «Questo grande Eroe – scriveva parlando della propria infanzia e di Garibaldiaveva per me un’affezione speciale. Mi teneva sulle sue ginocchia, mi chiamava la sua cara bambina, mi baciava, passando la sua mano gloriosa fra i miei capelli e da Lui stesso fui battezzata col nome di Repubblica. Un giorno mia madre si lagnò con Lui per il mio carattere rivoluzionario e instancabile nel giuoco. – La mia grande vivacità lo indusse a chiamarmi a sé facendomi notare che è ben vero che avevo il sangue garibaldino nelle vene, ma tuttavia la mia spensieratezza avrebbe finito per guadagnarmi dell’insensata».



Ma in nessun libro di Garibaldi e su Garibaldi – osserva ancora Genziana Ghelli – si fa menzione di Fadigati e del gruppo casalese: «Eppure le lettere di Garibaldi a quest’ultimo esistevano, erano reiterate, e non facevano trasparire indifferenza. Tutt’altro. Allora… perché? E perché, nella contemporaneità di crescita e perfino di incontro dei figli di Garibaldi - seppure si insistesse a chiamarla figlia o figlioccia (che è ben altra cosa) di Garibaldi e la si inviasse, quale rappresentate della Società Reduci Garibaldini, a onorare festività ed inaugurare monumenti garibaldini, nessun discendente della stirpe ufficiale, né intimo o affine ha mai fatto cenno, non fosse altro che per denunciare una impostura? Se fosse stata ritenuta una poveretta un po’ pittoresca o addirittura insana di mente non avrebbe ricevuto gli onori e le menzioni che ebbe né l’amicizia degli amici politici del padre; sarebbe stata ridicolizzata, o perlomeno, da lei si sarebbero prese per bene le distanze. Perché tutto questo assordante silenzio?».

E comunque, Repubblica cresce garibaldina e spende la vita per mantenere vivi la memoria dell’Eroe e i valori risorgimentali, ereditati dal padre quale che sia. Partecipa a iniziative pubbliche, tiene conferenze, fonda la Società Garibaldini Indipendenti, «dopo avere ottenuto dal Municipio di Milano i locali di Porta Vittoria ed averne scritto lo statuto nottetempo» e non esita a sferrare un gran pugno sul naso a un individuo che prese per il petto un venerando seguace di Garibaldi, strappandogli dalle mani «la nostra cara a amata bandiera italiana. Il sangue mi bollì nelle vene».

«Nel 1898 – scrive lei stessa - ero la donna più popolare di tutta Milano (dove da tempo si era trasferita la famiglia, ndr). Lungo sarebbe descrivere la storia delle mie arditezze (imprese). Una delle molte fu quella che dovetti fuggire dalla gran Metropoli, per non essere messa in carcere, vestita da frate, avendo chi scrive fatto rivoltare l’Esercito a Porta Monforte che davano l’assalto al Convento dei Cappuccini per ordine del generale Bava Beccaris, il carnefice del popolo …».




Sposatasi nel 1892 con Augusto Armani, avrà cinque figli dai nomi inconfondibili: Garibaldi, Mazzini, Anita, Dolores ed Elvezia.
Crocerossina durante la Prima guerra mondiale, atea che il cardinal Andrea Ferrari vorrebbe convertire, aderisce al Fascismo e torna alla religione all’indomani della morte del figlio Mazzini, nel frattempo diventato gerarca e «ucciso in un’imboscata».
Sul periodo lecchese di Repubblica è Mastalli a fornirci qualche particolare: «Probabilmente intorno al 1909 fu a Lecco, si può credere col marito alla direzione delle poste, c’è chi ricordava che aveva abitato a Castello dove stava ancora nel 1920 forse dividendosi con la residenza di Milano. Si stabilì definitivamente a Lecco nel 1938. Ufficialmente, però, la prima residenza risale al 19 novembre 1953 in corso Bergamo 9, parrocchia di Chiuso, proveniente da Milano. I figli pare non le fossero di consolazione, ingrati e “cuori di sasso”. Nel 1945, viveva con solo 600 lire, era ormai quasi cieca e si faceva guidare dalla sua cagnolina, unico conforto. I vicini di casa non mancavano di soccorrerla con qualche minestra, la ricordano come una signora distinta nel portamento pur molto particolare. Il Comune faceva quanto possibile. Il suo misero stato dopo la guerra non abbatteva la fierezza della figura. Quando appariva al mercato di Lecco indossava la sua giubba rossa».




Le fortune famigliari si sono ormai esaurite da tempo e deve ricorrere alla carità pubblica: Ghelli pubblica la lettera che la stessa Fadigati invia all’Opera assistenziale: «Prego, e chiedo se vi è possibile, accordarmi qualche buono di supplemento di minestre od altro, essendo sfinita di esaurimento fisico. Sino ad ora non ho mai chiesto nulla, ma ora sono proprio costretta a rivolgermi alla vostra pietà».

«Malata, isolata, sofferente – scrive Mastalli -, morì di angina il 24 novembre 1954. Il funerale fu seguito da tante bandiere comprese quelle rosse». Il settimanale cattolico “Il Resegone” riporta la cronaca del corteo dal Santuario della Vittoria alla basilica, di San Nicolò con tre figli al seguito del feretro, racconta della commemorazione al cimitero da parte di un veterano garibaldino, della presenza delle associazioni d’arma coi vessilli e delle scolaresche e degli assessori comunali, descrive la salma avvolta nella bandiera che conservava nella propria abitazione e che era detta “delle sette battaglie”. E aggiunge, il cronista: «Era una delle due figlie viventi di Garibaldi: l’altra, Clelia vive tuttora a Caprera, ha 91 anni» Del resto, «nello stesso biglietto commemorativo stampato dai figli – ricorda Mastalli -, Repubblica viene detta “Figlia dell’eroe dei due mondi”. Ugualmente, quando nel 1983 morì la figlia Elvezia, i giornali ricordarono il nonno Garibaldi».

Nel suo libro, Genziana Ghelli non si sbilancia «circa la veridicità della leggenda, che vuole Repubblica Giovanna Fadigati essere figlia naturale di Giuseppe Garibaldi». E crede comunque che «non sia stato questo dubbio a fare di Repubblica quella “persona spiccata” che è stata, poiché essere figlia del maggiore garibaldino Fadigati e della sua amata moglie Palmira Visioli, essere stata cresciuta nel mito dell’Eroe Garibaldi, che la teneva tra le braccia, aver vissuto in mezzo alla grande epopea risorgimentale tra uomini e donne di grande fede politica, è dose più che sufficiente per non essere una fanciulla qualunque».
E continua: «Forse, l’effetto di questa ambiguità di provenienza si intravede più nella discendenza a seguire, che per questo mito non ha potuto guardare con certezza alle proprie radici e per questo le ha disattese nella memoria. Senza poter godere della saldezza di alcune risorse che in queste avrebbe comunque trovato. D’altro canto, è stato proprio questo dubbio di paternità ad incuriosire e a far iniziare le ricerche, riportando questa donna alla nostra attenzione. Ma dopo averla incontrata nel suo mondo, il fascino che ne è seguito prescinde dalla sua discussa origine, è stato come entrare in intimità con un mondo ancora capace di forti ideali, di passioni, di lotte tenaci. Oggi li riterremmo soggetti fanatici, se non “originali” fino alla follia».

Dario Cercek




Genziana Ghelli
La Garibaldina
Repubblica, figlia di due padri
Storia romanzata di una ricerca


Trascinavo. Trascinavo gli altri fuori dai loro giorni stretti. Anche questo era ereditario? Da quale dei miei due padri? Ecco, l’ho detto: sì, figlia di due padri, e li ho amati entrambi. Se fossi stata un maschio avrei avuto ancor più il loro amore, ma già da quella dose mi sono fatta colmare.

Solo l’investigazione delle proprie radici permette alla nostra consapevolezza di fare rispettosa memoria e, con questa, guarire alcune delle nostre assillanti incertezze, quelle che si aggrovigliano intorno a un nodo cruciale: “Io, chi sono?”.


A cura di Stefano Superchi

23 giugno 2024

Henri de Toulouse-Lautrec in mostra fino al 30 giugno a Rovigo

Henri de Toulouse-Lautrec in mostra fino al 30 giugno a Rovigo

 

Più di 200 opere per raccontare il grande artista francese e la Parigi di fin de siècle



A Palazzo Roverella a Rovigo la grande mostra su Henri de Toulouse-Lautrec (1864-1901), artista francese tra i più rappresentativi della Parigi di fine secolo.

Superando l’approccio che tanto spesso riduce Toulouse-Lautrec alla sola attività di creatore di manifesti, questa mostra si sofferma sulla sua attività di pittore, con dipinti e pastelli provenienti da importanti musei americani ed europei, oltre che francesi.



La mostra ricostruisce l’ambiente parigino in cui operava l’artista mettendolo a confronto con realisti, impressionisti e simbolisti con cui condivideva esperienze e momenti di vita quotidiana.



Oltre alle celebri Affiches, dipinti e disegni preparatori dell’artista sono affiancati in un rapporto dialettico ai lavori dei numerosi artisti attivi contemporaneamente negli stessi ambienti e che spesso affrontano le stesse tematiche.



60 opere dell’artista, su più di 200 opere complessive, evocano la vivacità della scena artistica parigina.



La mostra è curata da Jean-David Jumeau-Lafond, Francesco Parisi e Fanny Girard, con la collaborazione di Nicholas Zmelty.


 
 

Contact center
0425 460093
info@palazzoroverella.com

palazzoroverella.com



22 giugno 2024

“A Hard Day’s Night”, buona musica in riva al fiume

 “A Hard Day’s Night”,

buona musica in riva al fiume

sabato 22 giugno, 21:45,

alla Canottieri Eridanea di Casalmaggiore (ingresso libero)

 


Questa sera, sabato 22 giugno, serata dedicata agli amanti della buona musica ed in particolar modo del quartetto più celebre di Liverpool.
Serata aperta a tutti alla Società Canottieri Eridanea di via Antonino Primerano a Casalmaggiore, alle 21:45 un viaggio nella storia dei Beatles con “A Hard Day’s Night”, un concerto ma non solo, musica e racconto che si intrecciano sulla sponda sinistra del grande fiume, che in serate così non ha niente da invidiare al Mississipi o tantomeno al Mersey.
A farvi rivivere le atmosfere beatlesiane tre musicisti di primo livello: Ricky Belloni, Andrea Cervetto e Alex Procacci, nomi non nuovi a chi bazzica il mondo del Rock e del Prog italiano.

Ricky Belloni

Ricky Belloni è stato per vent’anni (dal ’75) chitarrista e voce nei New Trolls, in precedenza ha partecipato all’incisione dei primi album di Claudio Rocchi e degli Stormy Six oltre ad aver accompagnato Fabrizio De Andrè nella sua prima tournée del ’74.

Andrea Cervetto

Andrea Cervetto è un chitarrista eclettico che, tra le altre cose, ha partecipato al musical “We Will Rock You”, dopo essere stato scelto personalmente dal chitarrista dei Queen, Brian May.

Alex Procacci

Alex Procacci è un compositore, arrangiatore e molto altro, vocal coach in The Christmas Show, Peter Pan il Musical, We Will Rock You, La Divina Commedia: Dante’s Musical e I Promessi Sposi; è arrangiatore di Rapunzel Il Musical.


Organizzatore artistico della serata Franco Frassanito, che già di per sé è garanzia assoluta di qualità.

 

Franco Frassanito


a cura di Stefano Superchi

 


15 giugno 2024

Fares Cachoux, la potenza dell'arte minimalista

Fares Cachoux,

la potenza dell'arte minimalista

Stasera vi voglio parlare di Fares Cachoux un artista siriano scoperto per puro caso. Mi hanno colpito la potenza e la nitidezza minimalista delle sue opere grafiche “scrollando” su Instagram. Sono andato a cercare informazioni su di lui in rete ma ho fatto una certa fatica a trovarle. Forse per la sua provenienza o per una scelta personale, si trova qualcosa nei circuiti del “mondo arabo” o comunque francofoni, pochissime le informazioni sui siti italiani dedicati all’arte e alle mostre (se si eccettua una menzione sulla partecipazione di Fares Cachoux a “Dismaland”, una mostra-evento pensata e creata da Banksy).

Fares Cachoux, Al Houla Le Massacre © Adagp, Paris, 2023


A metà strada tra il manifesto, lo slogan e la grande pittura, l'opera di Fares Cachoux è un'opera d'arte impegnata. Dalla politica all'ambiente, passando per l'analisi delle nostre società e delle loro disfunzioni, il suo sguardo è sempre pertinente, saggio, incisivo.

Fares Cachoux, Wadha & Friends © Adagp, Paris, 2023


Nato a Homs, in Siria, nel 1976, Fares Cachoux ha studiato ingegneria informatica all'Università di Aleppo, prima di conseguire il master e il dottorato in arte digitale e comunicazione visiva a Parigi.
Ha vissuto e lavorato per quasi 10 anni per diversi musei negli Emirati Arabi Uniti e a Doha (Qatar). Osservando un mondo in bianco e nero (il nero del niqab per le donne e il bianco del thobe per gli uomini), ha guardato con umorismo al funzionamento di queste società tradizionali.
Nel 2021 decide di dedicarsi all'arte a tempo pieno e si trasferisce in Francia.

Fares Cachoux, Marianne © Adagp, Paris, 2023


Nelle sue opere, Cachoux racconta storie. Racconta ciò che vede e ciò che pensa con un vocabolario visivo ridotto all'essenziale. Dalla guerra in Siria ai naufragi del Mediterraneo, dalla complessità dei costumi sociali nel Golfo alle caricature politiche, dalla fragilità delle nostre società democratiche all'esaurimento delle nostre risorse ambientali. Ognuna delle sue opere è la riduzione di un evento, di una situazione, alla sua quintessenza.

Fares Cachoux, Freedom Girl © Adagp, Paris 2023


Con uno stile minimalista e audace, colori vivaci e semplici silhouette, l'artista mette il suo lavoro al servizio della libertà e della dignità umana. Artista impegnato, sa raggiungere un pubblico molto vasto con messaggi semplici e trasparenti. Come dice lui, «È qui che risiede l'enigma! bisogna riassumere eventi complessi con un minimo di elementi, senza perderne il senso».
Cachoux ha tenuto la sua prima mostra personale a Parigi nel 2015, dopo essere stato invitato da Banksy a partecipare alla mostra Dismaland. Oggi le sue opere sono regolarmente pubblicate su giornali quasi esclusivamente francesi, come Le Monde, Le Temps, Courrier International e l'Huffington Post. Il suo lavoro è presente anche nei libri di testo francesi per insegnare agli studenti a decifrare i manifesti politici.



I colori POP e l’apparente leggerezza caratterizzano le sue opere, che tuttavia sollevano questioni profonde inerenti a tutte le società moderne alla ricerca di un equilibrio tra “tradizioni locali”, società dei consumi e globalizzazione sfrenata. Tra questi temi figurano il patriarcato, che colpisce tanto l'Oriente quanto l'Occidente, e la comunicazione. Nel caso del niqab, come possiamo stabilire un dialogo semplice, autentico ed efficace con una persona di cui non possiamo vedere il volto e le espressioni? Tutte le società hanno più o meno sperimentato questa difficoltà durante la pandemia con l'obbligo di indossare una mascherina.


Oltre alla questione della comunicazione, c'è anche quella dell'identità, che riguarda tutti coloro che indossano una mascherina, un costume o un'uniforme, sia essa religiosa o professionale. Cosa dice di noi un'uniforme e cosa nasconde?
E se ciò che nasconde è l'esatto contrario del rigore, dell'austerità e dell'uniformità che trasmette? È così che le donne velate di Fares Cachoux diventano motocicliste trionfanti, eroine della Marvel o rocker indomite, esprimendo a loro volta la malizia, la loro forza e il loro desiderio di libertà, e incarnando così i paradossi e le complessità delle società orientali.


Come una lente d'ingrandimento, l'arte di Fares Cachoux mette in luce le contraddizioni e le disfunzioni delle nostre società contemporanee. Di fronte a noi stessi, possiamo scegliere se ignorare le domande che solleva o soffermarci su di esse. Ma quando l'artista lo fa con umorismo, quando riesce a sedurci, la nostra risata è un'ammissione di debolezza. Possiamo ancora fingere di ignorare il messaggio, ma una traccia rimane sempre in fondo alla nostra mente.


Se qualcuno di voi capitasse nel nord della Francia ai confini con il Belgio, dalle parti di Lille per intenderci, potrebbe approfittarne per vedere la sua esposizione all’Institut du Monde Arabe di Tourcoing, aperta fino al 14 luglio. Tutti gli altri, me compreso, si accontentino di godere delle sue immagini sul web, che comunque è meglio di niente.



 

Stefano Superchi







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