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16 gennaio 2024

GAIA'S CORNER #3 - Syd Barrett

Nella terza puntata di GAIA'S CORNER, Gaia Beranti ci fa un ritratto di Roger Keith Barrett, conosciuto da tutti come Syd Barrett, fondatore e leader dei Pink Floyd dal 1965 al 1968, quando, a causa di problemi di personalità fu spinto a lasciare il gruppo da Roger Waters e dopo una breve carriera solista si ritirò dalle scene. Barrett, fino alla morte nel 2006, si dedicò alla pittura e al giardinaggio, disinteressandosi della popolarità e facendosi vedere in pubblico sempre più raramente, alimentando così ancora di più la sua leggenda.

Syd Barrett

Cappellai matti, coriandolo e creatività



Eh niente, Gennaio è un fricandò di cose interessanti, musicalmente parlando, non ci si sta dietro. Con terribile ritardo dunque, si proceda.

06/01/1946

La Befana porta i natali in questa valle di lacrime a tale Roger Keith Barrett, per la cumpa “Syd”. Quello che era nei Pink Floyd, sì… e no.
Barrett ha un ruolo cruciale nella storia dei Pink Floyd, essendone il fondatore. Ma i Pink Floyd non sarebbero quello che sono ora se fosse rimasto con loro.
Nel bene o nel male? Sarebbero ben diversi da quello che conosciamo tra “Money” e “Wish You Were Here”. Barrett resterà nei Pink Floyd senza esserci fisicamente, ne influenzerà lo stile senza più esserne guida, come un fantasma perenne, un diamante che non smette di brillare in un cassetto.

La presunta schizofrenia, la tutt’altro che presunta foga nelle dipendenze: l’estrema fragilità di Barrett lo spinge sempre di più nel baratro, nell’allontanamento (qui la spinta è stata “assistita” diciamo) dai restanti Pink Floyd e alla fine nella sparizione dalle scene.
Questo getta un velo opaco sull’importante contributo di questo artista non solo alla band (punto primo) ma anche ad artisti suoi contemporanei (punto secondo). Vediamo di sollevarlo un minimo.


Partendo dal primo punto, andiamo metaforicamente per mano ad ascoltare il brano “Interstellar Overdrive”, tratto dal primo disco dei Pink Floyd e dell’era Barrettiana della band.
C’è molto della schitarrata incalzante da seconda metà anni 60, alla maniera di “I wanna be your dog” degli Stooges, per citarne una. Man mano che con un fantomatico razzo si sale nello spazio attraversando varie turbolenze, per approdare in un infinito senza forme dove l’organo di Wright tinge tutto di profonda inquietudine in una continua distorsione della chitarra.
La poetica di Barrett domina in entrambi gli album pubblicati durante la sua permanenza, i progetti sono figli suoi e poco hanno a che vedere con i Pink Floyd che diventeranno poi, ma ne influenzeranno profondamente il percorso: pur essendosi perso il rock psichedelico di Syd, è il primo che inserisce nella band quelle profonde e lunghe suite che tanto hanno dato al rock progressivo facendo essenzialmente scuola di un intero genere.  In quel capolavoro che è il “Live at Pompeii” i suoi compagni di viaggio includono il periodo Barrettiano in circa metà delle tracce totali, quasi come un ossequioso riconoscimento delle proprie radici, prima di partire su un nuovo razzo ed una nuova era con Waters al comando e il Lato Oscuro della Luna come traguardo.


In merito al secondo punto, citiamo uno a caso: un David Bowie grande fan di Barrett e riconoscente allo stesso del primato di aver fatto del vero primo rock made in England. Profondamente innamorato del disco solista di Barrett del 1970 e della suo stile nei primi Floyd, ne elogia la prima vera ricerca e sperimentazione sonora. Sempre per citare il disco sfiorato nel primo punto, il primo dei Pink Floyd, “The Piper at The Gates of the Dawn”, il tema dello spazio è preponderante (si parla di space rock come di sottogenere, anche se disconosciuto dai Pink Floyd come pertinente al loro lavoro). Nel secondo disco di Bowie, “Space Oddity”, compare lo spazio e pure piccole suite sognanti.
Sarà un caso? Scùlta an stüpid!

Menzione ultima. “The Madcap Laughs”, disco solista di Barrett (1970, citato poc’anzi), di estrema difficoltà interpretativa, prodotto in un periodo di quantomai profonda crisi, di galoppante disagio mentale. La sperimentazione esplode in un delirio difficile da seguire, ad un primo ascolto non si capisce niente: è come metter un 33 giri sul giradischi e poi prendere a ripetuti calci il mobiletto che lo regge. Va avanti, poi torna indietro, poi oddio ho perso il filo poi che tonalità è. Un vero casino, tipo i suoi capelli in quegli anni.
Poi, come al coriandolo sul guacamole, provi a dargli una seconda opportunità: quello che sembrava totale mancanza di melodia in realtà nasconde un suo scheletro, provando a seguirlo la traccia assume senso pur mantenendosi bislacca e veramente strana. Il risultato è un’atmosfera da Alice in Wonderland, dove “tutto sarebbe come non è e tutto quello che non è, sarebbe”.

A questo punto avete due indicazioni spicce per correre a provare.

Risplendi, Diamante Pazzo, per l’eternità.

 

 Gaia Beranti

 


 


 

2 commenti:

  1. Nooo vabbèè!!!pelle d oca ❤️

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  2. Vogliano tante altre chicche come come questa!!! [Al9000]

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